"In nove e-mail su dieci è presente almeno un tizio X che risponde dopo circa venti giorni, suggerendo di contattare tizio Y, che a sua volta consiglia di parlare nuovamente con tizio X. Dopo circa un mese e mezzo di attesa si scoprirà che bisognava contattare, sin dall’inizio, un tale tizio Z, panacea di tutti i mali".

Alzi la mano chi non si è mai pentito di essersi iscritto all’università.

Ogni mattina fisso un paio di pergamene incorniciate nel corridoio e non sono poi così soddisfatta. Sospiro e penso che essere acculturati sia fondamentale, ma avrei potuto dare una piega diversa ai miei sogni. Fortunatamente, nella vita c’è sempre tanto da fare e da costruire, si può sempre rimediare.

Ripenso alle tasse e a qualche boccone amaro di troppo. Nei confronti dei miei coetanei la nenia è sempre uguale: il 90% delle persone si è amaramente pentito della facoltà scelta, oltre a lamentarsi profondamente del sistema universitario italiano.

Ogni (ex)studente gioisce, senza dubbio, al solo pensiero delle segreterie: selve oscure popolate da esseri mitologici, specializzati nel maltrattamento degli studenti, quei poveri imbecilli grazie ai quali a fine mese viene loro accreditato uno stipendio. Tra i magici abitanti delle segreterie, i più acclamati a furor di popolo, sono quelli che passeggiano per ore nei corridoi pucciando i tarallini nel caffè.

Che belle le file interminabili al sapore di bestemmia… E le e-mail? Quelle senza risposta?

In nove e-mail su dieci è presente almeno un tizio X che risponde dopo circa venti giorni, suggerendo di contattare tizio Y, che a sua volta consiglia di parlare nuovamente con tizio X. Dopo circa un mese e mezzo di attesa si scoprirà che bisognava contattare, sin dall’inizio, un tale tizio Z, panacea di tutti i mali.

Vogliamo parlare dei problemi pronti a spuntare, come porcini nel sottobosco, a pochi giorni dalla laurea? Chi non ha mai combattuto contro numeri di matricola sbagliati, tasse pagate che risultavano non pagate, esami sostenuti che non risultavano convalidati ed esami mai sostenuti che risultavano magicamente convalidati?

E che bella la guerra fra poveri, la competitività fra studenti che vogliono coccolare il professore di turno sperando di ottenere chissà cosa scoprendo che poi, in realtà, il premio in palio è al massimo l’amicizia su Facebook a fine carriera, forse.

Che dire, poi, della delusione delle menti brillanti che aspirano a un dottorato – nell’80% dei casi – costrette a divincolarsi tra bandi a intermittenza e il rifiuto di splendidi progetti, scartati come fossero sterco, solo per spianare determinate strade a discapito di altre?

Un grosso applauso spetta, inoltre, alle ricerche autofinanziate, quelle per cui nessuno sborsa neanche mezzo centesimo, se non il ricercatore stesso, perché “qualcuno ti ha forse obbligato a farlo? Ma che vuoi?”.

Soprattutto, però, la faglia più grande resta la mancanza di sinergia tra l’università e il mondo del lavoro: in nazioni come la Germania, sono le università stesse a segnalare i neolaureati alle aziende, mentre in Italia ciò non accade. Quando mancano le opportunità o quando queste vengono concesse a pochi, in un sistema a imbuto che non lascia scampo, nel migliore dei casi si hanno le famose fughe di cervelli, nel peggiore, si ha una gioventù stanca, senza fiducia in se stessa e nel proprio futuro. Il messaggio non deve essere quello di poter ottenere tutto facilmente, bensì che l’impegno sia la vera chiave del successo. Siamo tutti un po’ stanchi dei muri e delle barriere che tagliano le gambe alle vere eccellenze.

Però, miei cari, io voglio credere ancora nell’università di stampo meritocratico, in quella che pone la scienza, il progresso, la ricerca e il sapere al primo posto, quella in cui le menti – a prescindere dal ceto sociale di appartenenza – fioriscono dando lustro alla società, quella in cui non bisogna scendere a compromessi, chiudendo due e forse anche dieci occhi. Sogno ancora un’università in cui potersi esprimere liberamente, senza vedersi sbattere in faccia porte e portoni. Sogno un’università da cui ottenere un “pezzo di carta” che sia sinonimo di garanzia per concorsi reali, con dei veri vincitori.

È un gran bel sogno, ma vi chiedo di svegliarmi tra pochi minuti: devo finire di spolverare le pergamene.

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