Lo ammetto: rido per tutto. Sarà che sono cresciuto a pane e Zelig, nel periodo in cui Ale e Franz sembravano due comici.
E che, crescendo, ho imparato ad apprezzare anche il lato artistico della risata, quello sociale e il risvolto amaro che si porta dietro.
Sì, rido anche col black humor, a volte anche del blue humor (quello fatto, in larga parte, di scorregge).
È bello ridere, e non lo intendo a mo’ di post Instagram di un profilo motivazionale, quella roba asettica con la classica frase scritta in corsivo e lo sfondo di una spiaggia al tramonto, ma come un “fatti una risata, sforzati, magari finisce che ci prendi gusto”.
Anche a causa di questa deformazione del mio sistema-simpatia, pensavo alla battuta di Chris Rock su Jada Pinkett Smith, quella che ha scatenato l’ira funesta di Will Smith.
E non per decidere se indignarmi o no: in tutta onestà, c’è poco da discutere a riguardo.
Mi chiedevo se fosse una bella battuta. Davvero ha fatto ridere qualcuno?
Bene, a me no.
Sia chiaro, l’intro non è una menata, ma forse ha bisogno di una precisazione: rido di tutto ciò che fa ridere. Non sono una persona che detta lo standard di ciò che è divertente e ciò che non lo è, per carità, ma non provo vergogna a ridere, anche quando ad essere presa di mira è un’altra persona.
Ma ritorniamo a Zelig. Ne ho sentite a migliaia di battute sulla pelata di Claudio Bisio, alcune divertenti, altre per nulla. Così come ne ho sentite tante su amici o parenti, calvi anche loro.
Anche qui: alcune divertenti, altre no.
E occhio: quella battuta non fa ridere non perché Jada sia malata. Sarebbe fin troppo semplice liquidarla così, quanto meno con riferimento alla scrittura della punchline: non penso che sia un parametro valido per valutare il livello di qualità di una battuta.
Tante, tantissime battute della comicità italiana, anche odierna, prendono di mira chi ha patologie: uno che non delude mai, sotto questo punto di vista, è Valerio Lundini, poco da fare.
L’ho visto due volte a teatro, non perdo una puntata della sua “Pezza”: recentissima quella in cui intervista una coppia di ragazzi non vedenti. Certo, bisogna saper fare comicità del genere, direte voi. Ed è proprio questo il punto, dico io.
Negli States, per qualche motivo che non indagherò qui, la presa in giro, il roasting, va fortissimo. Quel prendere di mira una persona in particolare, distruggerla, “farla arrosto”, per tradurre letteralmente il corsivo qui sopra, è una comicità estremamente popolare oltreoceano, ma altrettanto difficile da portare in scena, rischiosa e molto spesso deludente.
Tant’è che non esistono spettacoli di due ore dedicati a tale scopo, nessuna stand-up si dedica solo a questo, al massimo lo fa qualche programma televisivo da 20 minuti, tipo South Park.
Proprio quel cartone animato, così pieno di parolacce e scorregge (ho scritto per due volte questa parola in un solo contributo: piccolo sogno che si realizza), mi ha insegnato una cosa importantissima: non esiste una regola per far ridere. Semmai, esiste la responsabilità di far ridere.
Ben venga il politicamente scorretto, anzi: penso fermamente che ce ne sia un forte bisogno; ben venga anche il roasting; ben venga tutto ciò che può far esprimere liberamente l’arte del comico: solo così avrà la responsabilità della sua arte.
E non è una cosa di poco conto: saper determinare i limiti della propria arte è una grande responsabilità.
Una di quelle con cui tutti gli artisti hanno fatto i conti: «l’arte consiste di limitazione», diceva Chesterton.
E, nel caso di Rock, il limite è segnato dal contesto in cui agiva.
Ecco, forse ho trovato la definizione giusta: la sua battuta era brutta, poiché fuori luogo.
Immagino le famiglie di Chris Rock e Jada Pinkett Smith, sedute ad un unico tavolo, mentre mangiano una bella pizza. In questo contesto, quello delle quattro chiacchiere fra amici, forse quella battuta tanto male non sarebbe stata.
Certo, poi va misurato anche il grado di offesa sotteso alla battuta, ma approssimiamolo a zero, come si fa tra buoni amici. Una persona amica può permettersi di prendermi in giro, anche prendere in giro il mio corpo. E ci mancherebbe il contrario: può farlo perché io posso dirgli quanto mi senta a disagio e, se è davvero amica, smetterebbe subito di farlo.
Bene, ora domandiamoci se sia possibile chiedere una cosa del genere al comico che si esibisce davanti alla platea degli Oscar, classico esempio di micro società nella quale una debolezza personale mostrata può distruggere una carriera.
Quella di Chris Rock, nel contesto degli Oscar, non è una battuta che fa ridere.
Peggio: è un’osservazione violenta.
Metto un disclaimer, a scanso di equivoci: Will Smith non ha giustificazioni per quel che ha fatto.
Ritengo però necessario astrarre la battuta di Rock dalla reazione di Smith, per capirne veramente il valore.
E non riesco a non vederci un’aggressione, una violenza verbale.
Nulla di divertente, nemmeno in chiave black humor.
Non mi va di cadere nel buonismo, perciò ripeto: davanti ad una pizza fra amici, è una battuta lecita, forse anche divertente. La responsabilità di far ridere è tutta qui, è tutta in questa differenza: quella di contesto.
E non ammetterlo è solo un tentativo di giustificare tutte le volte in cui quella battuta fuori contesto è stata la nostra, quella con cui abbiamo rovinato la serata o l’umore di qualcuno. E della quale non vogliamo pentirci, per orgoglio, trovandoci a sbandierare una libertà che, però, ha incontrato il limite della libertà altrui, da non scalfire mai.
È una nostra responsabilità, molto più importante rispetto a quella di far ridere.
Non penso serva un codice deontologico dedicato ai comici, credo piuttosto che sia necessario svestire la maglietta da tifoso del politicamente scorretto, anche e soprattutto per non ritrovarsi a tifare la stessa squadra di Checco Zalone quando ha sbagliato la serata di Sanremo.
Perché la battuta di Chris Rock non è nient’altro che questo: un flop, una scelta sbagliata, della quale, come giusto che sia, si deve pagare la conseguenza. Di sicuro non la galera o un taglio dalle scene.
Ma, almeno, la giusta dose di critiche, senza retro-pensieri sull’importanza sociale di dare della «pelata» ad una persona.
I problemi del mondo sono altri, sono d’accordo: ridiamoci su.
Purché le battute facciano ridere.
Cosentino, nato nel 1992, diventa avvocato dopo aver preso un Master in Diritto Penale d’Impresa e vissuto qualche esperienza lavorativa fra Londra e Berlino.
Incuriosito da tutto ciò che la mente umana riesce a partorire, si appassiona facilmente ai mondi immaginari dell’universo nerd, al cinema, alla musica e ai videogame. Adora lo sport, mastica politica, mangia qualcosina di economia e afferma insistentemente che diventerà il re dei pirati!