“Ogni volta che scegli, tu scegli , il tipo di schiavo che non sarai”,
è così che canta Lo stato sociale in “Niente di speciale”.
Facile a dirsi, un po’ meno a farsi , ed è strano come più si cresce, più si acquisisce senso di responsabilità più questo diventa difficile; forse più che scegliere, ciò che si complica è l’importanza delle scelte con le relative conseguenze che ne conseguono. Quattro anni fa il quadro sembrava già prendere forma.
Finisco le scuole superiori, prendo il diploma, mi iscrivo ad architettura, mi laureo, mi trasferisco al Nord, inizio a lavorare , faccio carriera, mi sposo, metto su famiglia, vivo una vita tranquilla e colorata, liscia come l’olio e… “Vissero tutti felici e contenti”.
Col cazzo!
Non che la mia vita ora non mi piaccia eh, solo che del quadro che avevo immaginato ne è uscita una tela impressionista, e non che sia una brutta forma d’arte, è solo che non ci capisco un tubo. Magari una minima idea, un minimo progetto che avevo, poteva rimanere in piedi, un po’ come quando si fa il castello con le carte, magari ne casca qualcuna verso l’ultimo. Io, invece, non sono nemmeno mai arrivato a concludere il primo piano, forse per colpa mia, anzi, probabilmente lo è. Sarà la poca pazienza, la voglia di avere tutto e subito, forse ho poca costanza o forse i miei sogni non erano mai del tutto miei ma un po’ degli altri.
Mia madre voleva un “laureato”, mio padre un calciatore, poi uno chef, nonna un pastore a capo di una chiesa e mio nonno un agricoltore… E io? Io cercavo di accontentarli , di non deludere nessuno, magari perché pensavo che tutto ciò avrebbe portato alla loro felicità, e che così facendo sarei stato un po’ più felice anche io; ché in fondo, tutto quello che volevo era questo: essere felice. Il problema è che non sapevo come.
Già da piccolo amavo leggere e collezionare aforismi, frasi e dialoghi presenti in film, libri, canzoni e monologhi che ci spiegavano come perseguire la felicità: da Silente a Benigni, da Schopenhauer a John Lennon; di quest’ultimo ho sempre amato il suo aneddoto del compito in classe alle elementari.
“Cosa vuoi fare da grande?” chiese la maestra.
“Voglio essere felice.” rispose il piccolo John.
“John penso che tu non abbia capito la traccia.”
“No, è lei che non ha capito la vita!”… Il gelo! Ecco il piccolo John con una chewing gum a forma di sigaretta ed un paio di occhiali da sole apparsi come per magia.
E poi… BOOOOM! La folla lo acclama, la classe fa la hola e la maestra rinuncia alla carriera da insegnante perché un piccolo bambino spocchioso delle elementari l’ha ammutolita. Ecco, è così che immagino siano andate le cose.
Grande John, però ora vuoi dirmi, anzi, ci vuoi dire il come? Avevo più o meno 8 anni quando ho letto di questo tuo aneddoto, e anche io odiavo le maestre…. Ma non ho mai capito nulla!
Al signor Benigni, invece, mi vien da chiedere come si fa a ricordare sempre quale cassetto aprire: io da buon sbadato o sciocco – termine con cui mi ha sempre definito mia madre – dimentico sempre quale sia!
Al signor Albus, Percival, Wulfric, Brian, Giovanni, Albano, Calogero Silente desidererei domandare quale interruttore premere per ri-accendere la luce (magari senza magia Calò), ma siccome “Mocciosus” ha fatto quello che ha fatto… Vabbé, basta, no spoiler!
Dal tizio degli “scioperi” (citando Frank Matano – se per caso leggendo non cogliete la citazione vi invito a guardare Fuga di cervelli) vorrei sapere com’è che si blocca questo famoso pendolo, e se lui non l’avesse capito, ho intenzione di provarci io, perché nonostante tutti questi dubbi e domande, queste belle parole continuano a darmi speranza e coraggio così come facevano quand’ero bambino e odiavo le maestre.
E sono proprio il coraggio, la forza, quella d’animo, che per me rappresentano le due caratteristiche principali per perseguire la felicità.
So che forse può sembrare banale ma, dopo due anni di pandemia, lo scoppio di una guerra , la trap e tutte le tragedie che ne conseguono, si deve avere forza e darsi tanto coraggio.
Forza di reagire, di credere che in un mondo in cui una montagna di soldi e di beni materiali valgano più di migliaia di vite umane, ancora può e deve esserci speranza. Speranza che le persone cambino e che quelle “buone” possano riuscire ad influenzare quelle che hanno scelto di non esserlo. Perché sì, la gente buona c’è. Mi dà forza vedere voi che scendete nelle piazze del mondo e protestate; mi dà forza sapere di gente che si offre di ospitare persone in difficoltà che scappano da un qualcosa più grande di loro; mi dà forza vedere delle grandi donne cantare in un pulmino , arrestate da piccoli uomini armati di fucili ed odio.
Infine di dà forza sapere di gente che nonostante tutto, giorno dopo giorno sceglie di lottare affinchè un giorno potrà tornare a sorridere ed essere felice. Gente coraggiosa, caparbia nell’andare avanti, perché vuole vivere la propria vita e allo stesso tempo desidera combattere contro le avversità che essa le ha riservato.
Nel mio piccolo oggi non posso programmare come andranno le cose, non posso essere sicuro di quello che farò o di quello che faranno gli altri 8 miliardi di persone intorno a me sceglieranno di fare, ma oggi posso scegliere di essere forte e coraggioso, di credere nei miei sogni e di imparare a metter su i castelli di carte senza arrendermi, non perdendomi d’animo.
Forse arriverò in cima, forse no, ma ci proverò; prometto che sarò felice per ogni piano in più che riuscirò a fare, nonostante i crolli, le scosse sui tavoli e i dispetti delle persone che ne saranno causa di crolli, loro non faranno altro che rendermi più orgoglioso dei miei successi.
Nella strada della vita, lungo il sentiero che porta alla felicità ci saranno sempre molti, forse anche troppi ostacoli e davanti ad essi non si può far altro che scegliere tra il fermarsi e il proseguire, ed io, nonostante tutto scelgo di intraprendere la seconda.
In fondo, forse, la felicità è solo una questione di scelte che ci permettono di non essere schiavi di una vita triste.