Durante il primo anno di università, dopo una cena in un posto adesso chiuso, dopo i primi piccoli passi nella vita adulta, un mio amico mi chiese se da casa mia riuscissi a vedere le stelle. Ricordo che la domanda mi stupì un po’: non ci avevo mai fatto caso. Gli dissi che non ne avevo idea, così lui mi rispose che ci trovavamo in uno dei pochi punti di Roma in cui si potevano vedere chiaramente le stelle. Alzai gli occhi al cielo e constatai che aveva ragione, si vedevano benissimo.
Ogni volta che passo, di sera, per quella via poco illuminata, alzo gli occhi al cielo per vedere le stelle e riuscire a distinguerne la luce.
Negli anni mi sono affacciata spesso dalle finestre delle case in affitto che mi hanno vista crescere e, quasi mai, sono riuscita a vedere il cielo come in quel punto. Sicuramente ce ne saranno a migliaia, di scorci come quello, per tutta la città, ma quel punto lì mi ha sempre fatto sentire a casa. Ho attraversato le strade di Roma di notte e all’alba, ne ho assaporato la bellezza e l’antico incanto; ho respirato l’aria dei suoi palazzi e dei suoi sanpietrini; l’ho attraversata in lungo e largo, ma, il più delle volte, senza pensare a vedere le stelle. Anzi, spesso mi è sembrato di non riconoscere la luce della città da quella del cielo: la notte mescola e confonde, non lascia scampo. Che poi, chissà perché si sente il bisogno di alzare gli occhi al cielo a vedere le stelle. Magari per riempire la vista di bellezza, immensità, pace.
È difficile che, nella vita di tutti i giorni, si pensi ad una cosa come questa, presi come siamo dalla quotidianità, dal correre a perdifiato e farlo più veloce degli altri; ossessionati come siamo dalla perfezione, dall’istinto maniacale di avere tutto sotto controllo; bloccati come siamo in una routine che spesso soffoca un gesto semplice e scontato come quello di tenere il naso all’insù verso il cielo stellato.
In una città grande come Roma si ha la possibilità di avere tutto, dal teatro al grattacielo, dai monumenti ai multisala, dalla vita che vorremmo a quella che ci intrappola. E chissà quante altre cose ci sfuggono mentre tentiamo di tenere uniti tutti i pezzi, mentre ci imponiamo di riuscire adesso e sempre, senza concederci una tregua. Ma il punto è che la giostra concede lo stesso giro ogni giorno, lasciando spesso che ci risucchi, ci convinca che la normalità, se davvero esiste, è quella e non conosce sosta.
In questo perpetuo dover essere la versione migliore di me a 18, 19, 20, 21 anni – fino ad oggi, che ne ho quasi 27 – ci sono stati momenti in cui, per forza di cose, mi sono fermata un attimo mentre correvo. Perché dovevo vedere le stelle, dovevo ricordarmi che c’erano, che mi tenevano al sicuro. Forse perché dovevo prendermi del tempo per vedere le cose così com’erano, senza dover rendere conto a me stessa e agli altri; forse perché sentivo la necessità di restituire forma e colore a ciò che mi circonda per essere in grado di saperne riconoscere davvero il valore. Forse perché dovevo far spazio anche ad altro. Ho provato a vedere il cielo dai finestrini degli autobus a fine giornata, oltre la coltre spessa di smog e nebbia, oltre la mia stessa testa, primo grande ostacolo. Ma non sempre ci sono riuscita.
È capitato che passassi in quella via poco illuminata e non guardassi il cielo, proprio perché le cose semplici sono, in fondo, quelle cose scontate di cui abbiamo sempre meno bisogno. O almeno questo è ciò che siamo portati a credere.
Il lavoro, l’autonomia, la vita sociale, l’aspetto fisico, definirebbero ciò che siamo, la qualità della nostra vita. Ma so per certo che nessuno la pensi davvero così. Perché allora a nessuno interesserebbe di un posto in cui vedere le stelle. E questo, non è possibile. A tutti, presto o tardi, capita di voler guardare le stelle: merito di un amore, un bisogno di quiete o di un piccolo spazio tutto per sé.
Forse con questa pandemia abbiamo provato, in parte, a riprogrammare le nostre abitudini, valutare altre priorità rispetto alle solite e riconsiderare cosa è normale.
Ecco, a me è successo, nel mio percorso di riassestamento e di novità, di passare del tempo in un paese piccolo piccolo, senza troppa linea telefonica o la fibra veloce, senza la farmacia o il panificio; in un posto che non conosce la fretta, ma sembra essere sospeso in un tempo in cui, ancora, è tutto concesso. Dopo alcuni mesi trascorsi lì, solo una sera di due settimane fa, mentre chiudevo le finestre, d’istinto ho alzato gli occhi al cielo. Le ho viste tutte, le stelle, le ho osservate con stupore e pace. Ed è successo che non ho dovuto interrompere la corsa per poter godere di quella vista, è bastato solo quel gesto, all’apparenza insignificante e banale per sentirmi completa.
Non ci sono direzioni giuste o sbagliate, esistono solo vie possibili da percorrere in quel momento, e la lezione che ho imparato è che non esistono luoghi senza stelle. Sia che esse siano delle persone, dei posti, dei ricordi.
Allora mi sembra chiaro che la realizzazione personale non risieda nel luogo in cui si vive, ma nel sentirsi appagati e in pace con sé stessi. Conta quell’istante in cui non è più importante dove ci si trova, ma come ci si sente. In quel caso, anche in una grande città con grattacieli e mille luci, sarà possibile trovare luoghi in cui vedere le stelle, se si sa dove guardare, se si smette, per un attimo, di affannarsi. Avere degli obiettivi è importante, certo, ma a volte vale la pena di godersi la vista, almeno per un po’. So che avrò sempre bisogno di continuare a correre, e so che dovrò farlo ancora per molto tempo, ma non intendo lasciarmi scivolare addosso quelle cose che mi rendono una piccola sognatrice.
Quindi sì, in qualche modo, mi sento come quella prima volta, a vedere le stelle nel cielo di Roma, oltre i tetti e i lampioni.
Docente, laureata in Lettere Classiche e Filologia Moderna.
Ha conseguito un Master in Economia e Organizzazione dello Spettacolo dal Vivo, perché il suo sogno nel cassetto è di diventare la giovane manager degli artisti lirici italiani nel mondo.
Dalla spiccata sensibilità, fa dell’istruzione la sua missione quotidiana, plasmando giovani menti, e fa volontariato in ospedale grazie alla sua prepotente voglia di aiutare il prossimo.
Appassionata di musica (di ogni genere), lettura e scrittura, soprattutto creativa.