Cara Giorgia, donna, madre e soprattutto Presidente del Consiglio, vorrei solo ricordarti un po’ di cose e proverò a farlo nel modo migliore che conosco, con garbo, sarcasmo ma anche tanta rabbia accumulata, tutta quella che ho accumulato nel tempo.
Ho sentito davvero troppe baggianate in questo mondo che i dinosauri della politica hanno confezionato per noi, assecondando i loro piaceri e non perseguendo i loro doveri.
La società l’ho sempre immaginata come un albero con portamento globoso.
Le radici ben salde al suolo sono, per me, i diritti di cui ogni uomo gode, garantiti dalla Giustizia e dalla Costituzione; il tronco proteso verso l’alto, lo immagino come le diverse strade intraprese dalla società nel corso della storia; foglie, fiori e frutti siamo noi, le persone, diverse ma comunque uguali per lo Stato, che continuamente mutano dando all’albero nuovi aspetti.
Purtroppo, questo sogno di società, negli ultimi decenni, è svanito in mille promesse mai mantenute, in campagne elettorali così eccessive da non risultare coerenti con l’operato. Negli ultimi decenni, ho visto un mondo politico andare avanti in apparenza, ma con sempre meno diritti garantiti, uguaglianza di genere futuristica e un lavoro dignitoso che sembra pura utopia.
Le radici, ovvero i nostri diritti garantiti dalla Costituzione come nel primo articolo che recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” li davo davvero per scontati, eppure, dagli ultimi avvenimenti e delle sue dichiarazioni, cara la mia Presidente del Consiglio, tutto sembrano tranne che scontati.
È di pochi giorni fa la sua dichiarazione “Tra il rubare e il reddito di cittadinanza c’è il lavoro. Andate a lavorare!”.
Fa paura pensare che sia proprio lei a non vedere cosa succeda nel suo paese, a fare della retorica sul meridione e sullo spaventoso tasso di disoccupazione, e allora io cittadina italiana oggi vorrei fare politica!
Con una grande voglia di cambiare le cose, con una grande rabbia per quello che sto vivendo, anzi, che stiamo vivendo, la illumino su ciò che succede nel nostro bel paese.
Come l’ingegnera Ornella Casassa, ma come molti altri giovani compresa me, ho voglia di lavorare, di realizzare i miei sogni, di realizzarmi a livello professionale o anche solo di portare uno stipendio a casa, vista la povertà che avanza.
Questo paese, cara Presidente, non consente nulla di tutto questo, o meglio non lo consente a tutti allo stesso modo. Non sempre è possibile ambire ad un lavoro stabile e la frustrazione più grande è data dal fatto che voi politici ci riempiate di parole e raccontiate una realtà che non esiste, non la vedete, anzi peggio, la ignorate.
Oggi, io, vorrei far crollare questo muro di parole e smontare la narrazione che voi volete fare di noi giovani e della realtà lavorativa in Italia, dell’uguaglianza di opportunità che questo paese offre e dirvi che una riforma del lavoro serve ora e subito.
Ci si riduce a dover accettare condizioni indicibili tra stipendi e orari da schiavi dell’antica Roma; ci si ritrova a non poter seguire la propria inclinazione, a non poter portare a compimento il proprio percorso. Si arriva a non credere di poter costruire un futuro migliore e a vivere, piuttosto, in un presente costellato di eterne privazioni e sacrifici… Quando basterebbe stabilire un salario minimo e garantire a tutti dignitose condizioni di lavoro!
È ingiusto e fuori discussione dover continuare a combattere per diritti garantiti dalla Costituzione, così come spiega in modo perfetto Luigi Ferrajoli:
“Grazie a questi due principi costitutivi dell’identità della Repubblica – il lavoro e la sovranità popolare – la Costituzione italiana segna una svolta rivoluzionaria nella storia del costituzionalismo. L’incipit della Costituzione italiana ribalta questa concezione, facendo del lavoro il principale fattore della dignità della persona e introducendo, insieme, il suffragio universale quale corollario della sovranità popolare.
Il lavoro […] non è più una merce, ma un valore. E’ il valore costitutivo della dignità della persona, che in quanto tale forma un presupposto di diritti fondamentali: non solo di tutti i diritti della persona, ma anche dei diritti conferiti al lavoratore […], oltre che della sfera pubblica, primo tra tutti il diritto a una retribuzione ‘sufficiente’, come dice l’articolo 36, ‘ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa’.
Oggi entrambi questi fondamenti della Repubblica […] sono in crisi.
[…] E’ in crisi il valore e la dignità del lavoro, che le politiche liberiste di questi anni hanno nuovamente trasformato in merce.”
Parole vere che fanno pensare!
Ferrajoli scrive, inoltre, che a tutto questo si aggiunge una politica che ha contrastato e favorito la svalutazione e mercificazione del lavoro con il capovolgimento del rapporto tra politica ed economia attraverso una politica subalterna ai poteri dei mercati.
Conseguentemente ad una serie di misure di governo, si è avuta una trasformazione della natura del lavoro: in nome della flessibilità si è rivoluzionato il rapporto di lavoro e la garanzia giurisdizionale dei diritti dei lavoratori; in nome della competitività si è registrato un notevole abbassamento di tutte le garanzie dei diritti dei lavoratori e dei salari reali.
Perciò, cara Presidente del Consiglio, così come espone il sopracitato giurista, c’è bisogno di guardare meglio alla Costituzione, radice salda di questo albero, attuando una riforma del lavoro che possa portare ad una riconquista dei diritti fondamentali dei lavoratori nei luoghi di lavoro, la garanzia di diritti al lavoro e dal lavoro e la tutela della libertà dal lavoro.
Il tronco di quest’albero un po’ inclinato ai voleri e non ai doveri della classe politica ci insegna che nell’ultimo quarantennio vi è stato un forte sbandamento ed è giunta l’ora di raddrizzare il tiro.
È scomparso quasi totalmente il concetto di ‘vecchia solidarietà di classe’ e di ‘soggettività politica dei lavoratori, fondate entrambe sull’uguaglianza nei diritti e nelle condizioni di lavoro e perciò sull’auto-rappresentazione del lavoratore come appartenente a una comunità di uguali.
Causa, in parte, di questa disgregazione è la distanza tra politica e società, e il futuro dei diritti dei lavoratori, oltre che dei diritti sociali, dipende in gran parte da una rifondazione democratica della politica.
Effetto della disgregazione è responsabilità delle sinistre, non a casa il voto operaio ha privilegiato per alcuni anni, e non solo in Italia, le diverse formazioni populiste rimanendo, di fatto, senza rappresentanza.
Noi giovani, noi cittadini, fiori e frutti di questa società viviamo con il peso delle vostre scelte sulle spalle. Regna un completo smarrimento, l’incertezza più totale e questo, cara Presidente del Consiglio, per me è solo la base per il fallimento di un paese.
Si parla di cervelli in fuga, dei meridionali in fuga, ma alcuni di quei cervelli, una parte di quei meridionali avrebbe tanto voluto rimanere nella propria città natia, che in molti hanno lasciato per inseguire opportunità di lavoro concrete e migliori.
E poi ci sono altri cervelli, altri meridionali e altri italiani ancora, che non hanno potuto o voluto muoversi dalla propria città, dal proprio paese, e di questi cittadini non tutti hanno un lavoro, perché non tutti vogliono lavorare secondo determinate condizioni e come paese democratico basato sul lavoro, dovremmo essere liberi di farlo, di dire di “no” e di scegliere.
E se ci fosse una “rivoluzione”? E se tutti si rifiutassero di accettare queste condizioni? Allora i datori di lavoro si adeguerebbero e il governo sarebbe costretto a fare qualcosa.
Ma non si può vivere sempre in uno stato di emergenza.
Io oggi ho provato a fare politica enunciando umilmente una prospettiva dalla quale poter ripartire, perché penso che questo paese ne ha urgente e disperato bisogno!
Appurato che quest’albero è pronto a crollare, rivolgo a lei la mia lettera, Presidente del Consiglio, fiduciosa che dall’alto del suo ruolo possa trovare un modo per far ripartire il paese, possa contraddire i miei pronostici sull’andamento del suo governo, possa dare una scossa a questa “mandria di dinosauri della politica” e regalare a noi anche solo la prospettiva di un futuro migliore!
Distinti saluti,
sua cittadina italiana e molto poco fan del suo governo, Mariachiara.
Nata a Cosenza il 27 agosto 1987, Dottoressa Agronoma di professione, progettista del verde per passione.
Ama il mare e l’enogastronomia, i viaggi e ogni forma d’arte.
Strimpella, canticchia e prova a divorare libri per hobby, ma il suo sogno nel cassetto è sentirsi sempre più libera di essere sé stessa!