Tutti gli inglesi sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri

"La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza." - George Orwell

Nel Regno Unito, l’anno scolastico è iniziato all’insegna della censura. Il governo inglese ha inviato delle linee guida agli istituti scolastici, includendo il divieto di diffusione di materiale considerato politicamente estremista.

Cosa intende però, il caro vecchio Boris Johnson, per politicamente estremista? Gli esempi forniti all’interno delle stesse linee guida sono altamente specifici e includono:

  • Contenuti che incitino o appoggino azioni violente nei confronti di persone e cose;
  • L’incoraggiamento o l’approvazione di condotte illegali;
  • L’utilizzo o l’approvazione di linguaggio razzista o antisemita;
  • L’opposizione alla libertà di parola, di associazione o di religione;
  • Il desiderio di abolire o abbattere la democrazia, le elezioni libere ed eque e il capitalismo.

Dove sta il problema?

L’elenco sopracitato include sicuramente una vasta gamma di valori che rispecchiano il bisogno, per una società democratica, eterogenea e plurale, di arginare atteggiamenti che ledano la dignità dell’individuo e le sue libertà fondamentali – tutelate da più Stati e quindi da più Costituzioni, Trattati e Leggi.

Ma attenzione: il capitalismo non è un valore. Fermo restando che non è vietato né lo studio di buona parte della storia laburista inglese o della filosofia di Karl Marx e affini, resta comunque proibito lo studio di materiali prodotti da gruppi marxisti. Senza voler scomodare Marx, il capitalismo è di base una forma di oligarchia. È quantomeno stravagante che un capo di governo possa dare indicazioni che preservino la supremazia di un sistema economico su altri.

Questo non significa che bisogna fare la rivoluzione per abbattere il capitalismo, come auspicava Marx, ma che probabilmente è proprio questa la paura del governo inglese. Ed è evidente che, se un altro sistema economico viene considerato migliore rispetto al capitalismo, all’individuo – nel suo principio di libertà – non può essere vietato di perseguirlo, di anelarvi. O anche solo di ragionare in merito.

Perciò, sorge spontanea una domanda: cosa si nasconde dietro questo divieto?

A rispondere è proprio un inglese, che nel 1949 scrisse di una società distopica soggiogata al filone di pensiero politico del governo al comando: era George Orwell con il suo “1984”. Qualora non aveste letto questo capolavoro della letteratura, sappiate che il concetto principale del libro è molto semplice: la comunicazione è lo strumento alla base di qualunque forma di manipolazione.

Nel romanzo, Orwell parla di una lingua, la Neolingua, che il partito al potere crea intervenendo sulla lingua corrente, con una riduzione dell’uso e della quantità dei vocaboli allo scopo di limitare la capacità di pensiero e di analisi del popolo. Perché se io non ho un metro di paragone, non saprò mai distinguere tra ciò che potrei ritenere giusto e sbagliato, bene e male, morale e immorale, sicché nella mia testa non esisteranno affatto questi opposti, perché nessuno me ne avrà insegnato il significato.
Nessuno mi ha fornito un’alternativa.

In altre parole, il pensiero critico di un individuo può essere bloccato o manipolato nel momento in cui si eliminano dal discorso termini e concetti che potrebbero mettere in discussione lo status quo.
Questo perché, come dice Orwell stesso: “le masse non si ribellano mai in maniera spontanea, e non si ribellano perché sono oppresse. In realtà, fino a quando non si consente loro di poter fare confronti, non acquisiscono neanche coscienza di essere oppresse”.

Suona familiare?

Ciò che è più preoccupante, a parere di chi scrive, è il disinteresse generalizzato a fronte di episodi così impattanti sul futuro di una società. Perché esistono forme oppressive sottili, quasi invisibili, che trasformano – solo apparentemente in maniera banale – le azioni e il pensiero di intere generazioni, a unica ed esclusiva tutela di chi siede su una poltrona e cura i propri interessi economici.

Il sistema accademico anglosassone ha sempre millantato la sua capacità di insegnare ai propri studenti come ragionare con la propria testa, senza mai dare per scontata qualunque nozione venga sottoposta, poco importa quanto sia autorevole la fonte. Ad oggi, tuttavia, questo episodio pericolosamente grave non domina l’attenzione mediatica e nessuno è sceso in piazza per contrastarlo.

Circa 70 anni dopo la riflessione di Orwell, la storia continua ad essere riscritta per insegnare che “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”.
E forse è già troppo tardi.

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