Tutte le volte in cui Dante mi ha insegnato ad essere libera

"Ecco perché, allora, la lettura di Dante Alighieri ci apre ad un modo nuovo di capire il nostro mondo interiore ed esteriore, perché ciò che lui ha fatto è osservare e osservarsi, porsi delle domande. Ma soprattutto, perché la Commedia è, quasi certamente, l’opera letteraria nella quale è più evidente quel meccanismo per il quale ciascuno noi tende a riconoscere la propria storia nelle storie che vengono raccontate per cercare risposte, magari trovare qualcosa che ci riguardi e che sia ancora presente, vicino, vivo."

Non mi stupirebbe sapere che il primo ricordo che abbiamo di Dante sia, principalmente, quello scolastico, di quelle lunghe ore di italiano investite a leggere La Divina Commedia commentandola e magari imparandola a memoria. Non mi stupirebbe neanche sapere che, magari, a qualcuno il buon poeta fiorentino sia venuto in odio perché imposto e reso una banale lettura.
Del resto, è comprensibile pensare che oggi, nel 2021, la lettura della Divina Commedia possa risultare molto lontana da noi. Certo, si tratta di un testo in versi, artificioso e studiato, scritto sette secoli fa e ben distante dai romanzi che ingolfano le nostre librerie. Tra l’altro, molte delle cose che Dante racconta non sono più quelle con cui noi ci confrontiamo quotidianamente. Perfino la stessa idea del vivere umano non è più quella che abbiamo noi. Tanto per cominciare, il mondo in cui Dante viveva era quello in cui al centro del cosmo c’era la Terra insieme agli altri pianeti e il sole che gira intorno; i confini del mondo coincidevano con quelli dell’Europa centro-meridionale al cui interno si scontravano le due più grandi potenze conosciute: papato e impero.

Ogni cosa dell’universo di Dante può sembrarci assolutamente superata. E allora la domanda sorge spontanea: cos’è che rende Dante così attuale? Una prima risposta potrebbe essere che Dante, tutto sommato, non è poi così attuale, di fatto lo dice bene il professor Grimaldi:

“[…] perché crede in tutta una serie di cose che non ci appartengono più: crede che la donna sia naturalmente inferiore all’uomo, che l’omosessualità sia un peccato, che la sete di conoscenza dell’uomo debba avere dei limiti.”

Ma, a ben vedere, ciò che ci rende così incredibilmente vicini al viandante smarrito nella selva oscura, è proprio quel senso di paura, angoscia nel trovarsi di fronte a quello che sembra un bivio nel cammino della vita – a chi non è capitato; è quel modo di intendere l’amore, fatto di emozione, brivido, gelosia, passione, incertezza. Ecco perché, allora, la lettura di Dante Alighieri ci apre ad un modo nuovo di capire il nostro mondo interiore ed esteriore, perché ciò che lui ha fatto è osservare e osservarsi, porsi delle domande. Ma soprattutto, perché la Commedia è, quasi certamente, l’opera letteraria nella quale è più evidente quel meccanismo per il quale ciascuno di noi tende a riconoscere la propria storia nelle storie che vengono raccontate per cercare risposte, magari trovare qualcosa che ci riguardi e che sia ancora presente, vicino, vivo.

Siamo nati liberi, libertà che è la base della dignità di ogni essere umano; libertà che ci permette di compiere scelte, affermare la nostra individualità ed unicità. Marco Lombardo, nel sedicesimo canto del Purgatorio, ci ricorda che ciascuno di noi agisce in base a quella volontà che spesso è governata da irrazionalità, paura, caso, e proprio il risultato delle nostre azioni, magari spesso negativo, ci spinge ad “accusare” qualcun altro. Ma se davvero ci fosse altro a dominare i nostri gesti, il libero arbitrio sarebbe nullo, e non sarebbe giusto essere premiati per la virtù e puniti per la colpa. Forse il caso dà inizio alle azioni umane, almeno ad alcune, ma, comunque, l’uomo può scegliere tra bene e male, e proprio la volontà è in grado di vincere ogni disposizione celeste – o casuale. Gli uomini sono dunque guidati dal proprio intelletto, che è una forza ben maggiore di quella delle influenze astrali. Ed è stato Dante a ricordarmi l’importanza delle mie scelte, la forza del mio pensare. È dalla lettura di questi versi che ho imposto a me stessa di essere io stessa l’ago della bilancia, di lasciare che fossi io a decidere. Di lasciare che il cielo agisse solo quando fosse il caso.

Voi che vivete ogne cagion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate. 

Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto. 

Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto ch’i’ ’l dica,
lume v’è dato a bene e a malizia, 

e libero voler; che, se fatica
ne le prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica. 

A maggior forza e a miglior natura
liberi soggiacete; e quella cria
la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua cura.

Però, se ’l mondo presente disvia,
in voi è la cagione, in voi si cheggia;
e io te ne sarò or vera spia. 


(Divina Commedia – Purgatorio, canto XVI, vv. 67 – 84)



È grazie a Dante se riesco a dare all’amore un volto, una descrizione, una fisicità. È per l’amore di Paolo e Francesca, così violento, irruento, totale. Un amore che li condanna per l’eternità, sospinti in un valzer infernale, dannato. Una danza, quella dell’amore di Paolo e Francesca, che si tramuta in una leggerezza spiazzante che li trascina e l’avvolge. Un amore che li ha consumati e distrutti, fino a farli perire – per mano del tradito marito di lei e fratello di lui –  e condannarli per sempre. Dietro i versi celebri di Francesca da Rimini si cela quella che è la civiltà cortese, quella che ha assunto come fondamento l’esperienza d’amore in modo totalizzante. Francesca le “leggi” dell’amore le assume come spiegazione e/o giustificazione di ciò che ha fatto. Amore che al cor gentil ratto s’apprende, che si lega al cuore senza lasciare scampo. Amore che a nullo amato amar perdona, che non consente a nessuno che sia amato di non corrispondere all’amante. È l’amore la medesima forza che ha condotto Paolo e Francesca alla morte, rievocata spesso nell’arte per il suo eterno divampare. È cosi che Dante mi ha insegnato la libertà di un amore sbagliato che non conosce ragioni e prova a resistere alle convenzioni sociali che ne avrebbero impedito il compimento. Forse un amore capriccioso, ma pur sempre, vivo, vibrante. Un amore che ha scelto di esistere.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.  

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.  

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense”.

(Divina Commedia, Inferno, canto V, vv. 100 – 107)

Ed è con Dante che ho capito che bisogna spingersi oltre per continuare a navigare nel mondo, in libertà. Anche se per lui la troppa conoscenza è stata punita come un peccato degno dell’Inferno, so che ho bisogno di spingermi oltre per tentare di capire. Prima di tutto capire me stessa, le ragioni delle mie azioni, riconoscermi la libertà di poterlo fare; poi, per capire quello che ho intorno, non smettere di incuriosirmi. Non solo: mi ha ricordato la necessità che ho di capire i miei limiti, ed è una cosa che posso fare solo andando oltre le mie stesse barriere. Imparare, viaggiare, osare. Solo così si può avere contezza di ciò che si è e si vuole diventare. Ecco, come arde la fiamma che brucia e consuma il peccatore Ulisse che, per seguire virtute e canoscenza, si è spinto oltre le colonne d’Ercole, così sento addosso a me il richiamo di ciò che non conosco e che mi sta aspettando. C’è un mondo a disposizione.

Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi 

acciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.  

“O frati,” dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia 


d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.  

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”. 

(Divina Commedia, Inferno, canto XXVI, vv. 106 – 120)

Ed è per questi e troppi altri motivi che Dante e la sua Commedia diventano un atlante delle passioni, una commedia umana con protagonisti inediti – noi stessi – che ci ricorda quanto siamo, in fondo, fragili e spesso in balìa dei venti. Ed è proprio mentre navighiamo a vista d’occhio, spaesati e confusi, che la grande letteratura ci getta la sua àncora di salvezza. 

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