Ti racconterò tutte le storie che potrò: l’eredità di Paolo Borsellino nelle parole della moglie Agnese

Foto: Tony Gentile/Sintesi
"Agnese ha voluto rendere omaggio all’uomo che ha amato e alla sua vita: ci racconta, infatti, di come Paolo Borsellino abbia condotto la sua vita da uomo normale, come viveva in famiglia, come cresceva i suoi figli. Ci parla dell'uomo anziché del giudice, le vesti in cui siamo stati abituati a vederlo."

Ti racconterò tutte le storie che potrò è l’eredità che Paolo Borsellino ha lasciato alla moglie Agnese, ai suoi figli e ai suoi nipoti.
Agnese, saggia donna dal cuore immenso, ha deciso di trasmettere le stesse storie che lei per prima ha sentito raccontare a suo marito ai posteri e alle nuove generazioni che hanno assistito e continuano ad assistere, attonite, alle immagini che ogni 19 luglio vengono proiettate su ogni piccolo o grande schermo. 

Ti racconterò tutte le storie che potrò è diventato un piccolo volume, edito da Feltrinelli nel 2015, che grazie alla penna di Salvo Palazzolo ha restituito voce ad un Uomo, simbolo della lotta alla Mafia e non solo.

Agnese ci parla del suo amato marito Paolo, del suo esempio e non solo del suo lavoro di contrasto alla criminalità organizzata e della sua sinergia con l’amico Giovanni Falcone. Ha preferito non evidenziare gli ultimi attimi della sua vita, i misteri che avvolgono ancora la storia della sua morte: di questo si sono riempite milioni di pagine di giornali.

Agnese ha voluto rendere omaggio all’uomo che ha amato e alla sua vita: ci racconta come Paolo Borsellino abbia condotto la sua vita da uomo normale, come viveva in famiglia, come cresceva i suoi figli. Ci parla dell’uomo anziché del giudice, quello con le vesti in cui siamo stati abituati a vederlo.

Ti racconterò tutte le storie che potrò era una frase che lo stesso Borsellino le recitò come promessa di vita: le avrebbe raccontato tutte le storie, ogni giorno una nuova, per tenere viva e accesa la fiamma del loro amore. 

In brevi ed intensi capitoli descrive i ricordi di una vita accanto ad un eroe civile, “che era un uomo normale, innamorato della moglie, giocoso con i figli, timido ma anche provocatorio, generoso e indimenticabile”.
Proprio dalla lettura di queste storie sorge una riflessione: ricordiamo sempre i servitori dello Stato, primi tra tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, come degli Eroi che hanno avuto il coraggio di lottare incessantemente, fino alla morte, contro la Mafia dimenticando sempre che coloro che definiamo Eroi null’altro sono che Uomini. 

È vero, sono uomini coraggiosi, certo; ma non possiamo dipingerli come eroi così da rendere “stra-ordinario” nel senso di atipico e anormale ciò che in adempimento dei loro doveri professionali, civici e sociali gli stessi hanno portato avanti. 

Essi hanno portato avanti un misero ideale di legalità, giustizia, civiltà: valori che dovrebbero far parte di ognuno di noi, valori che dovrebbero rappresentare la normalità, l’ordinarietà, non l’eccezione. 
Siamo mafiosi quando definiamo Paolo Borsellino un eroe.
Siamo mafiosi quando chiudiamo gli occhi davanti ai soprusi nei confronti dei più deboli.
Siamo mafiosi quando fuggiamo dalla verità.
Siamo mafiosi quando approfittiamo delle amicizie, delle conoscenze, “solo perché così fan tutti”.
Siamo mafiosi quando diamo la colpa del declino italiano alla Mafia perché non reagendo, non ribellandoci, noi tutti siamo parte di quel disegno criminoso che gli antropologi chiamano Mafia. 
Siamo la mafia perché non abbiamo il coraggio di aprire gli occhi, come hanno fatto i vari Falcone e Borsellino, e semplicemente dire orgogliosamente di no

Paolo è stato un Uomo normale, certamente esemplare, ma non straordinario.
È stato un uomo che ha vissuto nella correttezza e non nell’ombra dell’assoggettamento ad un sistema che si credeva e si crede tutt’ora più forte di lui.
La Mafia è fatta di persone: se più persone non fanno la Mafia, la Mafia muore. 
Per questo mi piace leggere e rileggere le parole di Agnese, perché grazie a lei ho imparato a vedere in un uomo che ho sempre ammirato un esempio di normalità, non un prototipo di eccezionalità.

Ed ho capito una cosa importante: la Mafia è dell’ordinarietà che ha paura.

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