Sono le 13.05. Fa freddino. La radio che ho in cucina suona musica dolce e familiare. I social annunciano che a breve ci sarà la conferenza stampa del Premier Conte. Una manciata di minuti ed il nuovo DPCM sarà ufficiale, anche se le limitazioni per la diffusione del contagio, sono già tam tam da ieri. Forse chiuderanno in via preventiva anche gli spettacoli dal vivo. Questo virus sta colpendo l’anima del mondo, e c’è davvero bisogno di proteggere e proteggersi, non c’è dubbio.
Il teatro, suo malgrado, tornerà a serrare il sipario agli attori, e chiuderà nuovamente le porte a chi lo ama.
Ho sempre considerato il Teatro come una delle rare possibilità di sguardo diverso sul mondo, ed ho sempre amato alla follia il suo lasciarmi affamata di risvegli visionari. Ma il Teatro trema, e non solo lui.
Il lasso di tempo che va dalle 13.05 alle 13.30, lo attraverso con i sensi rarefatti, mentre le mie mani sono impegnate ad apparecchiare, spadellare, far ticchettare fornelli, far ruotare mestoli in pentole d’acqua bollente.
Ore 13.30. La tavola è apparecchiata, il pranzo è pronto. Io no.
“Ci dispiace per il comparto, ma Teatri, Cinema e tutto il cucuzzaro: chiusi!”
Sono confusa. Sto in silenzio, mentre ascolto lo stillicidio sanguinolento, goccia su goccia, del mio amore. Rabbia. Dolore. Frustrazione. Ero preparata a tutto questo, ma non riesco a frenare la lama di vetro della riflessione sul mio amore.
Ed ogni punto su cui rifletto picchia duro. La mia tavola rimane apparecchiata, ma non ho più voglia di mangiare. Preferisco cibarmi di pensieri, adesso. Ed eccoli li, uno dopo l’altro, si susseguono senza controllo. Li fagocito. Mi fagocitano.
Da quando l’arte del teatro è diventata innecessaria, frammentata ed elemento di cui poter fare a meno?
Di chi è la responsabilità della deprivazione di questa necessità? Chi ha causato la frattura che rende il Teatro elemento accessorio della vita?
Perché viviamo oggi, di un teatro di frammenti?
Frammenta chi guarda? Frammenta il teatro chi lo fa? Chi lo guarda e lo fa? O chi lo ama e basta?
Le domande sono troppe, affogo.
Vivo a latere del mondo dell’arte performativa da anni, come un’amante fedele, ma ahimè, non sono mai riuscita a definirmi con convinzione un’”artista”. Forse perché non mi sono mai sentita abbastanza colta o abbastanza addentrata nel sistema sensibile ed operativo, per potermi definire tale. Ho sempre temuto che il mio pensiero fosse superficiale, poco intelligente, fallace. Perché il teatro che vivo è un po’ fatto così, e mi fa sentire quasi sempre il peso del “troppo poco”. Mariangela Gualtieri, immensa poetessa del teatro Valdoca, riassume in poesia questo concetto in maniera più che efficace. “… io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo/all’essere e non lo so dire, non lo so dire,/io appartengo e non lo so dire…”.
Ma sono innamorata del teatro, come si ama un amore impossibile. E l’emozione dei suoi odori, dei suoi sapori e della sua fatica fisica e mentale che trasuda da ogni elemento, mi manca.
Sono innamorata del teatro come si ama l’uomo di un’altra. Con la necessità di espressione d’amore, ma con la consapevolezza che non potrà mai essere tuo, per sempre. Vorrei capire. Ma non so da dove partire.
Sono innamorata del teatro, e pensare di non avere un tempo per sentire e sentirlo mi fa male, malissimo.
Mi tormenta la sensazione che negli ultimi anni il teatro parli sempre di più a se stesso, dimenticando clamorosamente che il punto d’arrivo è un altro.
Il teatro è regalo, dono, generosità, bisogno di comunicazione. E se qualcuno non capisce cosa e perchè si voglia dire, forse un mea culpa è d’obbligo. La sua necessità si nega da sola ed il corto circuito è dietro l’angolo.
Forse il teatro è un amante narciso.
E allora quando, noi amanti fedeli, ci siamo abituati al suo carattere autoreferenziale?
E quando, il nostro grande amore, si deciderà a parlar chiaro senza continuare a dire che la colpa è sempre della moglie da cui dipende economicamente?
Da dove si inizia per riflettere sull’essenza della relazione e per affrontare l’amore nascosto in maniera costruttiva?
Forse parlando all’amore con amore.
Teatro, amoremio, perché non lavori su te stesso per vincere questo male in cui continui a specchiarti?
Teatro, amore mio, perché non lanci il tuo sguardo verso il mondo, senza giudicarlo come sciocco?
Teatro, amore mio, non aspettarti che il mondo ti ami, se tu non impari ad amare te stesso.
Anche se io continuerò ad amarti, per sempre.
Artista, nata in Sicilia e adottata dalla Calabria… Ma il mondo è la sua città di provenienza.
Laureata in DAMS, è mamma, moglie e co-fondatrice della società “Pagliassi”.
L’arte di strada e infanzia è ciò che colora le sue giornate, mentre sogna un mondo intero a colori – quello stesso mondo fatto di storie che ama ascoltare – e, fintanto che ciò non accade, trasforma quotidianamente la sua passione in un lavoro ricco di sacrifici e gioie.
Appassionata di lettura, scrittura e arte!