Storie di Scienziate che (non) ce l’hanno fatta

"Ricorre oggi, 11 frebbraio, la Giornata Internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, per combattere i pregiudizi e superare gli stereotipi verso una parità di genere in campo scientifico".

Ricorre oggi, 11 frebbraio, la Giornata Internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, per combattere i pregiudizi e superare gli stereotipi verso una parità di genere in campo scientifico.

La presenza femminile nelle materie STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) è minore: secondo i dati dell’Eurostat, nel 2020 la percentuale di donne che lavorano nella scienza era del 41%, in Italia la percentuale scende al 34%.

Se si guardano i dati precedenti, la presenza femminile nelle STEM è in crescita, circa il 2% in 10 anni, ma non è ancora abbastanza.
Si tratta di un retaggio ancestrale secondo cui le donne sarebbero più portate per le arti e la letteratura, meno per le scienze.

Nulla di più falso: le studentesse di materie scientifiche ottengono risultati più alti rispetto ai loro colleghi maschi, ma le prospettive di carriera sono differenti.

La storia ci è testimone di questa triste realtà.

Pensiamo a Ipazia, raffigurata nella Scuola di Atene di Raffaello, matematico e filosofo nata fra il 355 e il 300 d.C. che formulò ipotesi sul movimento della Terra, cercando di superare la teoria secondo la quale la Terra era al centro dell’universo. Inventò l’astrolabio, il planisfero e l’idroscopio, strumento con il quale si misura il peso specifico dei liquidi.

L’essere donna in un clima di fanatismo religioso che relegava la donna ad angelo del focolare, la portò alla morte per lapidazione.

Con un lieto fine è, invece, la travagliata storia dell’ateniese Agnodice che, travestita da uomo, riuscì a studiare medicina e, diventata ostetrica, svelò il proprio sesso alle pazienti per metterle a proprio agio.

Per questo venne condannata a morte, ma salvata dalle mogli degli ateniesi che, circondato il tribunale, minacciarono di uccidersi se la sentenza non fosse stata revocata.

Raccontiamo anche di Alice Ball, la prima afroamericana a laurearsi all’Università della Hawaii. Fu lei, infatti, ad individuare delle molecole in grado di combattere la lebbra.
Morì a 24 anni, e le sue scoperte vennero rese note come “Metodo Dean”, nome del Rettore che ne rivendicò la falsa paternità.

Solo dopo diverso tempo vennero riconosciuti ad Alice i meriti della sua ricerca scientifica. Viene ricordata il 29 febbraio, forse perché troppo impegnativo ricordarla ogni anno.

Parliamo poi delle tre scienziate della Virginia che, oltre ad essere donne erano anche nere: Katherine Johnson, genio della matematica, Dorothy Vaughn, aspirante ingegnere, e Mary Jackson, informatica.
Tutte assunte dalla Nasa, dove si lavorava per inviare l’uomo nello spazio.

E sempre nel campo dell’astrofisica ricordiamo le nostre contemporanee Samantha Cristoforetti, prima astronauta italiana nello spazio, Lucia Votano, astrofisica, Fabiola Gianotti, a guida del gruppo del CERN di Ginevra che ha scoperto il bosone di Higgs e Sandra Savaglio, astrofisica cosentina, che lavora negli Usa.

Tra la chimica e la medicina hanno vissuto le loro vite Marie Curie, Rita Levi Montalcini, Maria Montessori, fino ad arrivare ai giorni nostri con Ilaria Capua e i suoi studi sull’aviaria.

Si aggiungono le tre ricercatrici Maria Capobianchi, Francesca Colavita e Concetta Castilletti, che hanno isolato e sequenziato il virus del COVID-19, rendendo immediatamente pubblica la loro ricerca e infine Maria Caramelli, che ha contribuito al monitoraggio della Sindrome della mucca pazza.

Eppure la storia non è maestra: ad oggi, è ancora esiguo il nome di donne in ruoli decisionali e con una retribuzione pari a quella di un collega uomo.

Sono storie di donne che (non) ce l’hanno fatta, perché hanno dovuto sempre combattere di più rispetto a un uomo.

Hanno dovuto ascoltare frasi come “E i figli dove li lasci?”, “Ma come ti presenti con quei capelli?”, “Chiediamo anche al tuo collega!”; scienziate che, al pari di un uomo appellato con il proprio titolo ( dott., prof., ing.,), sono state chiamate “Signore“.

Un uomo avrà sempre una giustificazione per un comportamento errato: “Forse la moglie non gliel’ha data stanotte”; la donna, anche, ma non riguarderà il marito, bensì i suoi ormoni, “Hai il ciclo vero?”.

Passeggiando per i corridoi di tante Università sentirete il profumo di donna misto a quello di alcol al 70% che racconterà di donne che lavorano nei laboratori, accettano contratti a tempo determinato. Le targhette alle porte, però, recheranno per la maggior parte nomi maschili, uomini che apporranno il loro nome su ricerche condotte da team completamente al femminile.

Il disequilibrio, però, esiste anche negli stipendi: in tutte le professioni la differenza salariale tra uomini e donne in Italia è del 6%, mentre la percentuale cresce al 15% nel settore Information and Communication Technology (ICT).

È solo risanando il divario di genere, migliorando le politiche di assunzione, offrendo pari opportunità di carriera che potremo convincere le ragazze ad iscriversi alle STEM.

Alle donne di oggi chiedo di seguire l’esempio di mia madre: raccontate alle vostre bimbe e ai vostri bimbi le storie di donne come Ipazia, del mito di Minerva, appassionatele con esperimenti domestici.

Questa parità servirà anche agli uomini, perché saranno più liberi di scegliere, lontani dagli stereotipi divenendo uomini rispettosi delle loro colleghe.

Sono sicura che continueremo a raccontare tante storie di Scienziate perché, miei cari colleghi e signori uomini, ricordate sempre che la Scienza si declina al femminile.

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