Social e Minori: urgenza di regole ed educazione

"Vietare ai giovani l’uso del web comporterebbe un'inequivocabile compressione del loro diritto di espressione, informazione, apprendimento, socializzazione, persino di gioco: ecco quanto è fondamentale il ruolo degli adulti, dei gestori delle piattaforme, della scuola, gli unici che rimangono responsabili di ciò che può accadere ai minori sul web, per far sì che la vita online non comprometta il loro sviluppo armonico."

Le notizie sul rapporto tra social e minori rischiano di trasformarsi in una “galleria degli orrori”. Dalle sfide estreme alle istigazioni all’autolesionismo che portano, nella stragrande maggioranza dei casi – purtroppo – ai suicidi; dagli adescamenti alla pedopornografia; dalle risse, alle invettive, fino al cyberbullismo: questi sono solo alcuni degli effetti dell’interazione tra i minori e l’oscuro mondo del web.   

“Chiudete l’internet! Cosa aspettate?”; niente di più impossibile, ovviamente. Come risulta parimenti ovvia la necessità di intervenire prima che la preziosa sfera del minore vada a frantumarsi, irreversibilmente, in mille pezzi. 
Come? Servono regole, una sorta di educazione tecnologica rivolta ai bambini ma, più di tutti, ai loro genitori. 

Che cosa ne pensi dei social network? È la prima domanda che ho posto a R. e F. rispettivamente madre e figlia. R., poco più di 40 anni, avvocato e madre di F. che invece è un’audace e brillante bambina di 10 anni che frequenta la quinta elementare.
È un mondo che mi fa schifo”, mi risponde secca R., incapace di credere come chiunque oggi desideri mostrarsi senza inibizione e pudore ad un pubblico estraneo e così ampio. “Perché sei così cattiva quando parli delle mie cose?” – incalza F.

Delle tue cose?
Certo. Il telefono è mio”. F. mi racconta che usa il cellulare praticamente da quando è nata: “So usarlo bene, ci faccio tutto; chiamo, messaggio, vedo Tiktok, IG, gioco.” Mi spiega che adesso finalmente i genitori le hanno regalato il suo telefono personale, mentre alcuni suoi compagni di classe lo hanno addirittura dalla prima elementare (first reaction: shock! Io in prima elementare bevevo ancora il latte nel biberon nel sonno).
Tuttavia, sa usarlo da sempre perché è nata nell’era digitale. 

Perché hai concesso a tua figlia di usare lo smartphone?
Vuoi la verità? Per disperazione. Aveva sempre in mano il telefono mio o del padre e insisteva che i suoi amichetti ne avevano già uno e da tempo. Alla fine, abbiamo ceduto: le abbiamo regalato un telefono dicendole che avrebbe dovuto stare attenta e non nasconderci nulla”.

Mamma e papà possono controllarti il telefono? chiedo curiosa. “Mamma può vedere quello che faccio al telefono, basta che me lo chieda. Sono ubbidente. Però solo mamma, tu no.” (n.d.r. devo ammettere che la bambina conosce il significato di privacy).

Entriamo un po’ nel merito delle Social. Cosa pubblichi su IG e su TikTok?
Foto, mie. Però poche. E su TikTok, invece, seguo le mie amiche. Non seguo trend o gare, non mi piacciono”.

Hai paura?
No, cioè un po’ sì, però sto attenta gli hacker e agli sconosciuti. Se qualcuno mi cerca disinstallo il social e poi lo dico a mamma e papà. Una volta giocando a Fortnite è entrato uno sconosciuto. Sono uscita subito dalla stanza.”

Perché? Hai avuto paura?
“Diciamo di si. Io voglio solo giocare, non voglio trovarmi in pericolo”.

A proposito di pericoli… Lo sai cosa sta succedendo con TikTok?
Siì. So tutto, ma tranquilla, io sto attenta, non faccio niente di strano; guardo i balletti e provo le coreografie. Le mie amiche neanche fanno sfide o cose simili.

Ora mi rivolgo a R.: Hai paura quando tua figlia gioca al telefono?
“Non molta. Ho fiducia in lei perché sa che deve stare attenta e in qualche modo riesco a tenere le sue attività sempre sotto controllo. Comunque, l’avverto sempre dei possibili pericoli che potrebbe incontrare e lei, per fortuna, è ancora un po’ fifona. Quindi, per adesso, mi sento ancora tranquilla.”

Condividi queste nuove abitudini tecnologiche e, soprattutto, ritieni necessario l’intervento di terzi nelle vite dei minori che iniziano ad interagire con il web?
Per me è impensabile vivere alle dipendenze dei dispositivi; anzi, io sono più che spesso sbadata e lascio il cellulare per ore in borsa, ma sono certa che mia figlia non immaginerebbe mai una vita senza telefono. Le cose sono cambiate, effettivamente i bambini di oggi sono nativi digitali. Sarebbe opportuno che qualcuno – la scuola, le istituzioni magari – supportino noi genitori nel complesso compito educativo che ai giorni d’oggi, secondo me, è amplificato rispetto al lavoro che dovevano fare con noi i nostri genitori”.

Ha ragione R. e, dopo aver mangiato una freschissima orata e tentato un balletto di TikTok, saluto lei e F.: quello in cui viviamo è un mondo veloce, a portata di click; un mondo pieno di possibilità ma anche di rischi e minacce.

Se è vero che la rete è divenuta a tutti gli effetti un mezzo di comunicazione, oggigiorno indispensabile per ognuno di noi, uno spazio virtuale in cui si esprime la nostra socialità mediante l’interconnessione sempre attiva degli utenti, è anche vero che una rete è sempre sinonimo di gabbia.

Siamo vittime della nostra condivisione, alla ricerca perenne dell’approvazione altrui per sentirci meno soli. Ci circondiamo di amici virtuali a cui diamo l’accesso alla nostra quotidiana intimità, non abbiamo più segreti, siamo completamente messi a nudo di fronte al web, eppure è impennata esponenzialmente la curva dei fenomeni depressivi, di suicidi, di comportamenti psicologici ritenuti borderline, perché la verità è che siamo su internet, ma non siamo felici. 

Chi, quindi, più dei giovani – appetibili e incoscienti cavie del genere umano – può cadere nel tranello in cui Dio solo sa chi ci sta facendo cadere?

Come F., altri miliardi di bambini pretendono dai loro genitori uno smartphone per accedere a Facebook, Instagram e soprattutto su TikTok; e i genitori, per non voler privare loro di questo “premio” non si tirano indietro. È difficile oggi essere genitori nell’era 2.0 pro: ma, obiettivamente, come conciliare l’evoluzione tecnologica e la tutela dell’incolumità psicofisica dei nostri figli (e nostra)?

Non possiamo trascurare un dato estremamente rilevante: la generazione Z è nata in un mondo in cui internet c’era già, non lo ha visto affermarsi prepotentemente a piccoli step, è “vita normale”, come era normale per noi la TV negli anni ’90.

È bene, però, tenere a mente che i c.d. under 18 sono qualificati come individui dotati di autonomi diritti: essi hanno il diritto di crescere e di sviluppare la propria identità in base alle proprie inclinazioni e in virtù delle differenti condizioni personali, familiari e sociali. 

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza aveva caldamente suggerito che – in primis dai quattoridici anni, limite aumentato adesso ai sedici – i ragazzi potessero prestare il consenso al trattamento dei propri dati personali (proprio come se fossero “grandi”) al momento dell’iscrizione su un social o per la partecipazione a un gioco online, senza l’intervento dei genitori. In realtà questa è una finta regola, elusa in quanto anche i più piccoli accedono ritualmente alle applicazioni aggirando i limiti; allo stesso modo, i minorenni possono entrare in contatto con contenuti riservati a chi ha più di 18 anni senza alcun problema.

È certamente necessario un intervento di natura legislativa o posto in essere dagli organi di controllo (nel caso anche di idonei interventi della Polizia Postale), ma ciò che più urge è un rinnovamento di matrice educativa e culturale. La competizione, il voler apparire (che si confonde, di conseguenza, con il voler essere) migliori, più belli, più bravi, più conosciuti degli altri si trasforma in una prova di esistenza che si conclude, senza soluzioni alternative, in sfide estreme, senso di inadeguatezza, narcisismo edulcorato, revenge porn, dipendenze non solo da sostanze di ogni genere ma proprio dalla iperconnessione in sé per sé: tutti pericoli giganteschi, soprattutto per chi “si crede grande”, ma è solo un bambino.

C’è bisogno, quindi, di genitori ed educatori in qualità di controllori, ovvero di “utenti più maturi” che tutelino la crescita e la maturazione online dei soggetti più fragili. Ma chi controlla i controllori? È sempre questa la domanda irrisolta, sin dalle origini del mondo.
In questo caso, la responsabilità è delle piattaforme che erogano il servizio, l’app, il network su cui decidiamo di spogliarci. Il problema è che in questo mondo viziato gira tutto intorno al denaro, dai miliardi di introiti che anche da un piccolo banner si ricavano sui social network: pensiamo davvero che a Zuckerberg possa interessare l’accertamento dell’età di un minore o la capacità negativamente persuasiva di un contenuto, se dalla visualizzazione dello stesso può diventare sempre più ricco?
Non interesserebbe a nessuno oggi, perché la coscienza umana è trafugata dalla necessità di avere sempre di più.

Eppure, quando i gestori dichiarano i loro servizi utilizzabili a partire da una data età, dovrebbero assicurarsi che non avvenga il contrario; se l’iscrizione richiede il consenso del genitore, come è per legge sotto i 14 anni, essi dovrebbero accertarne l’autenticità mediante l’attivazione di sistemi qualificati a tale scopo.
Questi esempi, insieme al lavoro sinergico delle forze di polizia e della magistratura, possono divenire utili per la prevenzione e repressione, ad esempio, dell’adescamento online dei minorenni e per la lotta alla pedopornografia.

L’UE, in realtà, ha previsto con la direttiva 2018/1808 sui servizi dei media audiovisivi, l’introduzione di sistemi di verifica dell’età e sistemi di parental control affidati alla vigilanza dei genitori. Inoltre, lo stesso provvedimento introduce misure per assicurare un’adeguata tutela dei diritti dei minorenni a proposito di audio e video, anche generati dagli utenti, per contrastare le fake news e per regolamentare le comunicazioni commerciali online.

Ebbene, anche alla luce di quanto raccontatomi dalle meravigliose R. e F., credo sia innegabile l’urgenza di un intervento pluridisciplinare per iniziare i giovanissimi all’educazione digitale: i genitori, così come la scuola, (la legge sull’educazione civica – n. 92 del 2019 – prevede infatti che siano svolte attività di educazione alla cittadinanza digitale) hanno la responsabilità di educare, accompagnare e vigilare sul comportamento dei minori sia in rete che fuori da essa, senza però essere lasciati soli. C’è bisogno delle istituzioni, degli esperti, di qualcuno che dia loro la consapevolezza delle conseguenze della cultura della sovraesposizione in cui si trovano a crescere i propri figli imparando a conoscere, altresì, gli ambienti digitali frequentati dagli stessi, così da poterne fare occasione di confronto e conversazione e permettere loro di aprirsi e chiedere aiuto se in difficoltà.

Così come i genitori, anche i gestori delle piattaforme vanno messi di fronte alle loro responsabilità e indotti a controllare attivamente quanto accade online, a partire dall’accertamento dell’età degli utenti. 

L’urgenza più grande, però, è che i giovani, grazie agli insegnamenti dei loro genitori o precettori, comprendano e si convincano che esistenza virtuale ed esistenza reale non vanno confuse: non è necessario apparire per esistere.

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