"Mi manca poter imparare attraverso il viaggio, fotografando vie, ascoltando racconti, musiche, scrutando volti, sentendomi quasi un’altra o assolutamente me stessa. Viaggio per essere intimorita e ispirata da posti nuovi, per sentirmi sorpresa e sfidata da nuove esperienze che non possono accadermi, quando leggo un libro o guardo un telefilm su Netflix."

Siamo in ostaggio del Covid da un anno.

Più di trecentosessantacinque giorni in cui siamo stati privati di teatri, cinema, palestre, cene tra amici, compleanni, viaggi.
Nel valzer infinito di DPCM e chiusure, la mobilità si è ridotta all’osso, per non dire che si è totalmente dissolta nelle infinite pieghe di questa situazione drammatica.
Qualche spirito più audace ha osato spostarsi questa estate – Sardegna sì, Sardegna no – ma, l’abituale scappatella in una capitale europea e la visita all’amico all’estero sono scomparse dai nostri radar da tempo immemore.


Sul mio tavolo vedo troneggiare l’astuccio rosso di Pippi Calzelunghe acquistato a Stoccolma, tra le vie luminose e colorate di Gamla Stan, che mi fissa, ricordandomi quanto mi manchi impilare nel mio piccolo trolley celeste un paio di jeans, delle felpe e dei maglioni per andare alla conquista di un nuovo posto.

Cavolo, mi manca l’eccitazione di prenotare un aereo – economico e spesso all’ultimo momento -, cercare un alloggio conveniente ma in centro, leggere le recensioni su AirBnb o Booking.
Per anni il viaggio è stata la mia ricompensa per tutto: sessioni finite, compleanni, lauree, regali.

Il viaggio è sempre stata la mia gratifica preferita, l’obiettivo che mi ponevo per attraversare una strada lunga e spesso faticosa. Era l’idea di mettermi su un aereo, chiudere gli occhi e arrivare altrove, che mi rendeva felice, leggera.

Anche con le turbolenze, le ansie del caso e le terribili lotterie di Ryanair.

Mi mancano gli aerei alle sei di mattina chemannaggiallamiseriamachimelhafattofare, le navette per gli aeroporti, le edicole dove comprare il giornale o il libro di turno, il dutyfree, le file all’imbarco, le corse da un gate ad un altro, perché maledizione lo hanno cambiato all’ultimo.

Mi mancano le nottate in aeroporto a girarmi i pollici e a provare a dormire sulle scomodissime poltrone, mentre intreccio gambe e braccia in tutti i modi possibili per evitare di essere derubata. 

Nella mia quotidianità, moltissimi degli oggetti che uso sono stati comprati nei viaggi fatti negli anni, e a ciascuno di essi è legato un ricordo speciale, un piccolo quadro della mia galleria personale.

Penso al mio taccuino del cuore, comprato a New York, al portadocumenti preso a Londra, ai quadretti comprati a Lisbona, al fumetto di TinTin comprato a Bruxelles, al profumo al sandalo preso a Marrakesh. Ecco, tutti questi oggetti rievocano una vita passata che muore dalla voglia di riesplodere, fiorire di nuovo.

Perché i luoghi, anche se per poco, ci appartengono, nonostante mutino – e noi con loro.

Infatti, ciò che diversamente si piega alla prova del tempo, è un ricordo impresso, nitido, di un tempo felice. 
Conservo gelosamente anche gli scontrini dei ristoranti, dei biglietti dei treni – anche quello del tunnel dell’Oresund, ormai praticamente grigio e illeggibile.

Delle tante privazioni a cui ci siamo dovuti abituare, una delle più faticose è stata proprio quella di tenermi lontana dai viaggi.

Nell’ultimo anno ho perso i biglietti per tornare in Belgio e in Francia, tutti viaggi desiderati, voluti, progettati con amici che, da sempre, sono stati incredibili compagni nelle avventure più insolite e folli.

Quindi eccomi che ripenso alla vista di New York di notte dall’Empire State Building, classica e un po’ scontata, con le mille luci che arrivano fino al cielo, mentre si confondono e si dissolvono l’una nella nell’altra; oppure a quella volta in cui da Brighton a Londra ce la siamo presa troppo comoda e ho dovuto correre a perdifiato per tutto l’aeroporto di Gatwick per evitare di perdere l’aereo – salvo poi scoprire che era in ritardo di mezz’ora.

Mi manca farmi raccontare la storia di una città da chi la vive ogni giorno, come ad Edimburgo, quando un signore al quale avevamo chiesto un’indicazione ci ha deliziato con la storia della Old Town. I suoi occhi brillavano, e anche i nostri: eravamo felici.

Ecco, mi manca quella ricchezza che puoi trovare solo viaggiando, quel senso di completezza che provi quando ti guardi intorno e realizzi di essere nel posto che desideravi.

Mi manca quel senso di spaesamento nel non sapere dove andare, quali mezzi prendere, magari sbagliare e tornare indietro.

Mi manca intingere i churros nella cioccolata calda e farmi sgridare al Reina Sofia perché ho fatto la foto alla Guernica di Picasso.

Mi mancano le risate degli amici intorno ad un tavolo, mentre commentiamo una battuta fatta dal cameriere sulle moules frites o i momenti di stupore di fronte la bellezza di ciò che non si conosce.

Mi manca poter imparare attraverso il viaggio, fotografando vie, ascoltando racconti, musiche, scrutando volti, sentendomi quasi un’altra o assolutamente me stessa.

Viaggio per essere intimorita e ispirata da posti nuovi, per sentirmi sorpresa e sfidata da nuove esperienze che non possono accadermi, quando leggo un libro o guardo un telefilm su Netflix.
Viaggio per mettermi alla prova, accettare i rischi, testarmi, capovolgere convinzioni, cambiare opinioni e pregiudizi.
Allora, mentre cammino per le strade del mio quartiere, mi rendo conto di voler vedere più da vicino i fiori rosa e viola che illuminano il vialetto d’ingresso della casa di fianco, fiori che avevo notato in precedenza ma sempre ignorato.

Perché sono stata così disattenta con ciò che mi è familiare e così attratta da ciò che è estraneo? L’impulso di allontanarsi, partire, era una risposta a una spinta dalla noiosa routine della vita quotidiana? O forse era l’attrazione di luoghi esotici in terre lontane? O forse era solo un desiderio di espansione che poteva essere vissuto solo uscendo dai confini della mia città e comfort zone

Il viaggio ci offre una facile fuga, un cambio di scena che ricarica i nostri sensi. Rinunciamo alle comodità di casa e partiamo per strada e per mare. Ma c’è qualcosa di speciale nel volo, magari la sensazione di fuggire non solo dai confini creati dall’uomo sulla terra, ma anche di allontanarsi dalla terra stessa, per quanto a lungo l’aereo rimane in volo. Anche prima di arrivare in un nuovo paese, il volo diventa una porta per nuove esperienze.

Quindi sì, senza viaggiare mi manca un pezzetto di me, quella sempre pronta con lo zaino, il trolley e la prenotazione per la prossima meta. Perché il viaggio non è solo scoprire qualcosa di nuovo sugli altri, ma è anche apprendere qualcosa in più su sé stessi, sul nostro modo di stare al mondo. Esplorarsi, oltre che esplorare.
Quale ricchezza più grande di questa?

Allora, rimetto nella borsa il mio astuccio di Pippi Calzelunghe, promettendo a me stessa di potermi regalare, presto, una nuova avventura. Chissà che non la raggiunga a Villa Villacolle… 

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