Era nervoso, agitato, le mani leggermente sudate perché non sapeva più se stesse facendo la cosa giusta o l’ennesima sciocchezza, e il dubbio non fu fugato neanche quando lei aprì la porta.
Non si vedevano da mesi ormai.
Si erano lasciati al telefono, perché dal vivo, guardandosi negli occhi, non ci sarebbero mai riusciti.
Lei lo fissò un istante in più del dovuto, e lui, ancora una volta, non riuscì a decifrare quella espressione: sorpresa o disagio?
Avrebbe voluto abbracciarlo o sbattergli la porta in faccia?
Scelse una via di mezzo: continuò a guardarlo, come se volesse capire se lo stesse immaginando o se fosse davvero lui, ed aspettò la sua prossima mossa.
Si conoscevano bene e lui capì che quel silenzio voleva dire “Ti ascolto”.
Non era bravo con le parole, e questo lei lo sapeva molto bene.
Per questo decise di far parlare le canzoni al posto suo, quelle che dicevano tutto quello che lui non era mai riuscito ad esprimere.
Le consegnò una lettera con un mezzo sorriso imbarazzato e gli occhi pieni di malinconia, e andò via.
Lei rimase perplessa, ma la curiosità era tantissima.
Lo seguì con lo sguardo mentre scendeva la rampa di scale e quando non lo vide più aprì la busta.
Iniziò a leggere la lettera e fu come avviare una playlist.
Come mai sono venuto stasera? Bella domanda…se ti dicessi che mi manca il tuo cane, ci crederesti?
Sorrise con gli occhi già lucidi, abbozzò un sorriso e un ‘No’ con la testa per rispondere a quella domanda, perché sapeva che lui non aveva mai amato il suo cane; lui amava solo lei.
Queste cose vorrei dirtele all’orecchio mentre urlano e mi spingono ad un concerto:
Ti sogno tutte le notti; neanche le conto le volte che ti penso. La vita che cazzo è senza di te?
Senza di te, chi sono io? Un libro in francese che poi non lo so neanche bene io. Scusa se penso a voce alta.
Scusa se ti dico certe cose ma a qualcuno devo dirle e l’unico qualcuno che conosco sei tu.
Sei tu il mondo che passa attraverso i miei occhi .
Sei tu tra le luci di mille città, tra la solita pubblicità, quella scusa per farmi un po’ ridere. Mille volte ti ho cercato, ti ho pensato un po’ più forte…
Perché non ti sento ma tutto qui parla di te, e solo Dio sa quanto vorrei che fosse silenzio.
Da quando si erano lasciati, anche lei aveva l’impressione che tutto e tutti intorno a lei lo facessero apposta a ricordarle di lui, di loro.
E ogni volta, un pugno nello stomaco. Fu quasi tentata di interrompere la lettura ma continuò.
Fra l’altro ti volevo dire:
Menomale che esisti che sennò ti avrei dovuto inventare da zero, come fanno gli artisti. Invece sei qua, sei vera.
La mia vita mi sorprende e mi riempie di domande, e tu non hai risposte, ma sorridi al momento giusto da farmi incazzare e poi dal niente ridere di gusto.
È vero sono polemico ma per te ho pianto un oceano Pacifico, mi sto mettendo in ridicolo ma volevo dirti…
No, niente!
Lei storse la bocca, perché quella reticenza non l’aveva mai sopportata e lui lo sapeva benissimo.
Aveva immaginato la sua reazione leggendo quella frase, e continuò a scrivere, anche se con molta fatica.
Vedi quanto costa poi parlarne? Vorrei solo capire perché sei l’unica forza che ho.
Sapessi i pensieri che ho perso, che ho scacciato via dalla mia testa, perché tu ci dormissi comoda dentro e ti sentissi speciale come in un giorno di festa.
Mi dici che non funziona più, ma forse ho dato tutto per scontato e mi ripeto che scemo non saper fingere. Forse è solo che mi manca parte di un passato lontano come Marte.
Ascoltando quelle parole, lei ripercorse mentalmente tutti gli attimi che avevano vissuto insieme, fotogramma per fotogramma, e ogni immagine, ogni discussione, ogni esperienza condivisa ritornò alla memoria.
E fece maledettamente male…
Facciamo finta che sia tutto okay, che non c’è niente che non rifarei; ma non è vero, cambierei ogni cosa, gli sbagli miei li lascerei ad un sosia. Ma che ne sai quanta fatica ogni volta per essere meglio di prima?
Quante volte ci siamo scambiati il peggio di noi? Quante volte hai detto “stasera è meglio se te ne vai”, perché sapevi che non me ne sarei andato mai. Tu mi fai impazzire.
Ogni volta che aveva pronunciato quella frase ridendo, non capiva mai se lui lo dicesse perché era pazzo di lei o se effettivamente perché lo facesse diventare pazzo: di gioia, di gelosia, di perplessità.
Ma stare insieme male non lo sappiamo fare. Ti ho dato tutto di me; forse ti ho dato il peggio di me che tanto il meglio era uguale. Ora che piangi a fare?
E lei effettivamente, stava piangendo.
Ti vorrei amare ma sbaglio sempre, e mi vengono i brividi.
Ho rovinato tutto un’altra volta e sei sparita via con la tua roba, pezzi di cuore a terra, sono un disastro, ok. E scusa, scusa; sarei te l’unica cosa al mondo da non perdere.
Fece un profondo sospiro perché percepiva il peso e l’importanza di quelle parole che tante volte avevano cantato in macchina ma che non aveva mai ascoltato veramente.
Solo ora che le leggeva senza ritmo e musica in sottofondo, ne coglieva il vero senso.
Con te ho imparato il termine mancarsi, perdersi davvero senza ritrovarsi. Non ci pensavo su nemmeno un attimo a fare a meno di te; mi leggevi dentro come nessuno, e forse è vero che ne ho fatto di cazzate però ti ho amato sempre, te lo giuro.
Tu eri per me il pezzo del tetris longilineo, quello che lo aspetti una vita ma finalmente quando arriva ti risolve tutto. Tu eri per me la bestia più feroce che si riesce a domare solamente sotto voce.
Tu sei la mia voce, e sarà bello abbracciarti e dirti mi sei mancata. Ti dico che mi manchi, se vuoi ti dico cosa mi manca adesso che non ci sei più.
I giorni passano e tu non torni qui, e la voglia di andarmene via da qui. E che ne sanno gli altri di quando ridevamo come matti.
Ma che ne sanno gli altri di tutte quelle cose che ci siamo detti senza nemmeno parlarci. Ho conosciuto i tuoi difetti, i tuoi pregi e li ho scelti entrambi. Ho imparato a farmi male per salvarti, ho imparato a perdermi per ritrovarti.
Ti ricordi che sapore ha la vita mescolata insieme e poi divisa di nuovo a metà?
Lei se lo ricordava benissimo: un sapore ormai amaro che cercava di edulcorare riempiendo le sue giornate di cose da fare.
Ti ho detto che non posso stare senza di te, senza di te ho la nostalgia, perché sei come casa mia.
E se non sei tu la casa, io non so più abitare.
Comunque vada resti in ogni mio discorso, quante le volte che ho sbagliato e ti ho incolpato per quelle cose per cui io non mi sopporto e di capirti non sono mai stato in grado. Asciugo i pensieri come i panni stesi, ma perdo il filo se parlo di te.
Capisco che per quanto io fugga torno sempre a te che fai rumore qui, e non lo posso sopportare questo silenzio innaturale tra me e te. E non ne voglio fare a meno oramai di quel bellissimo rumore che fai .
E ti sento da qua, anche se alzo la musica, c’è un motivo se mi stai pensando.
In realtà lui non sapeva se effettivamente lo pensasse; certi giorni aveva il timore che si fosse dimenticata di lui, altre volte la speranza che lo ricordasse ancora, e in alcuni momenti aveva la certezza che lei lo pensasse esattamente come faceva lui: improvvisamente, con la stesso rimpianto che avrebbero potuto fare entrambi di meglio.
Potevano essere migliori, insieme.
Te lo avrò detto già tremila volte, se servirà te lo dirò di più, ti penso pure quando sto alle poste, spedisco lettere ai tuoi occhi blu.
E forse un po’ ti farà pena questa mia povera testa che sa ancora tutto di te perché per quanto mi sforzi, sei tutto ciò che mi resta.
Perché il tempo passa ma tu non passi mai.
E allora dimmi che cosa mi manchi a fare? Non mi importa se non mi ami più, e non importa se non mi vuoi bene. Dovrò soltanto reimparare a camminare se non ci sei tu.
Sapeva benissimo quanta fatica stesse facendo ad andare avanti senza di lei. In realtà anche lei andava avanti per inerzia, ma non lo voleva ammettere neanche a se stessa.
Però tu fammi una promessa, che un giorno quando sarai persa, ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi… Alle mie guerre perse, alle tue paci finte, a tutte le carezze che forse erano spinte…giuro che un po’ mi fa ridere.
E immaginando lui ridere, sorrise anche lei.
E se mi hai visto piangere sappi che era un’illusione ottica, stavo solo togliendo il mare dai miei occhi perché un addio suona troppo serio e allora ti dirò bye-bye.
Io non ti ho dimenticata, ricordati che io, ricordati che tu, siamo la stessa cosa.
Siamo due frane, che te lo dico a fare?
Ti vorrei sentire anche per un istante, ti vorrei abbracciare come ho fatto sempre, ti vorrei guardare senza dire niente, lasciare indietro quello che non serve.
Ti dico una bugia, è facile lasciarsi in un telefono.
…
Ed è bello così, anche se poi ti fa piangere questa nostra stupida canzone d’amore.
Ed è bello così anche se poi ti fa ridere questa nostra stupida canzone d’amore.
Tirò su col naso, si asciugò le lacrime che le incorniciavano il viso e, come se lui potesse sentirla, sussurrò: ” Sei proprio uno Scemo …”
E pensò che in fondo era stata una scema anche lei.
Cosentina classe 1995, laureata in Biotecnologie per la Salute.
Amante delle fiction al punto da conoscerne molte a memoria, legge sempre le interviste ai protagonisti e alla regia e adora sbirciarne il backstage, per comprendere a pieno il lavoro e la fatica che stanno alla base di un qualsiasi progetto.
Attenta e paziente osservatrice, ha spiccate doti di diplomazia e imparzialità.
Appassionata di scrittura, cinema, lettura di romanzi e musica!