Sono passati novantotto giorni dall’inizio di questo nuovo anno e il 2023 ha già iniziato a lasciare segni indelebili. Tra novità e abitudini, la mia pelle si è rivestita di rughe, cicatrici, lividi e sorrisi.
A gennaio, quel bigliettino stropicciato del biscotto della fortuna, portava con sé ottimi auspici e con il mio solito e infantile modo di fare, ho scelto di crederci appieno, convincendomi che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Febbraio, il mese purificante per i latini, per me è sempre stato bisestile .
Se da un lato c’è l’idea che sia gennaio a durare troppo, nella mia vita è proprio febbraio a non finire mai.
L’oroscopo me lo ha più volte ripetuto – “Periodo lungo, intenso e con obiettivi da raggiungere”.
Con il mio solito e meravigliato modo di fare, scelgo di leggerci il meglio e vivo bene.
Il terzo mese di questo anno, è il più duro per me.
Non so come vestirmi, ho sempre troppa fame e le energie si deteriorano, tra un freddo eccessivo e un caldo soffocante.
La pratica dello “sfascino”, in voga sul nostro territorio meridionale, altrimenti noto come “iella” o “invidia”, conferma che quei mal di testa e quell’umore erano dovuti a molte persone che, in positivo, mi pensavano.
Con il mio solito e lusingato modo di fare, scelgo di gonfiare il petto e di continuare per la strada giusta.
In questi ultimi giorni, invece, mi è stata lasciata una frase: “siamo noi ad attrarre la nostra stessa positività”; la mia mente ha così iniziato a filtrare i pensieri, garantendo maggiore spazio a tutto ciò che non riapre ferite, ma spinge a ricucire.
Novantotto giorni, milioni di personalità e quel modo di fare che non lascia scampo.
Ma in una vita in cui si sceglie di vedere il bicchiere mezzo pieno, bisogna centellinare ogni piccolo versamento perché il liquido all’interno non si riduca; quello è un lavoraccio.
È come camminare su delle scale bagnate e spesso, il corrimano, è troppo lontano. Cerchi di mantenere l’equilibrio, tra movimenti rapidi e frenate lente e sospiri di soddisfazione quando pensi di aver raggiunto stabilità ma, d’un tratto, cadi.
Chi è propositivo, cade, come tutti gli altri, e nel momento in cui la mano che viene sempre tesa all’altro viene a mancare, da terra, con lo sguardo verso il cielo, ci si chiede chi ci sarà a sostenerci.
Anche noi chiediamo aiuto.
Siamo l’ancora di una barca al porto, siamo il laccio di due converse rosso fuoco, siamo la molletta per un capo bagnato, ma alcune volte, anche solo poche, non raggiungiamo la sabbia nel fondale, ci snodiamo o perdiamo ogni molla.
Il sostegno non è cosa semplice:
Rose avrebbe potuto sostenere Jack su quella maledettissima porta in mezzo al mare ghiacciato;
mia sorella avrebbe potuto mantenere il segreto per quell’uscita di nascosto in piena notte;
San Pietro avrebbe potuto non rinnegare tre volte il Messia.
Eppure, quel sostegno, con tutte le possibilità che c’erano, manca.
Pensate a noi ottimisti come coloro i quali vogliono vedere solo il bello anche nel brutto; persone che, pur di giustificare qualsiasi singolo avvenimento negativo, cercano una motivazione che possa nascondere la sofferenza.
Pensateci come paladini della giustizia, che con il loro mantello proteggono il prossimo, volando e teletrasportandosi dove richiesto.
Pensateci come guide, insegnanti, amici, amanti, costruttori, collante di relazioni, risolutori, problem solver e molto altro, ma, credetemi, sono tutte profonde cazzate.
Soffriamo in silenzio e quel mantello che ormai non ondula con facilità al vento, è umido di lacrime e tristezza.
Noi ottimisti vediamo il bicchiere mezzo pieno, sorridendo e chiedendoci sempre “E se fosse realmente mezzo vuoto?”, per nascondere l’incertezza di un errore e la paura di soffrire.
Non siamo realmente positivi e mentiamo a noi stessi per non soffrire a nostra volta.
In quei “Puoi farcela!” condivisi, ci sono le parole che non sappiamo ripeterci. E intanto, ogni mattina, sospiriamo di fronte allo specchio e a bassa voce ci diciamo “Dai, oggi è un altro giorno”.
Evitiamo il nocciolo della questione, evitiamo il nostro stesso sguardo e per paura, ci rifugiamo in una finta gioia e serenità nelle quali vogliamo proteggere l’altro.
Tendiamo la mano per sostenere, ma il contro bilanciamento, dalla parte opposta, spesso manca, perché scegliamo di non farci sostenere e inevitabilmente, cadiamo, tutti.
È un grido d’aiuto il mio, per tutti noi ottimisti che vorremmo prendere e scuotere gli altri, quando in prima battuta non sappiamo scuotere noi stessi.
Il mio è un allarme per chiedere aiuto. Perché quando non accettiamo il sostegno, lo stiamo facendo per orgoglio.
È solo paura la mia, quella di un essere umano lontano dal corrimano.
Non avere timore di restare in silenzio, ma butta sempre un’occhiata su un’ottimista; non sarà felice di ammetterlo, ma sarà felice di colmare quel bicchiere mezzo vuoto.
Social Media Strategist, cosentino classe 1991, fluente in 3 lingue.
Laureato in Giurisprudenza per caso, in Marketing e Comunicazione per scelta, ha vissuto a Roma, Milano, Alicante, Boston, Londra… Ma per lui nessun posto è come “casa”.
Eletto vincitore della Hult Business Challenge da una giuria di Google per il suo progetto sui matrimoni calabresi intitolato “WEDDIE”.
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