La serie che stavamo aspettando.

Per chi non conoscesse Sarah Paulson (improbabile, altrimenti c’è un serio problema), è necessario, se non addirittura obbligatorio, recuperare ogni serie televisiva in cui compare la sua elegante ed imponente figura.
L’attrice quarantacinquenne, dopo cinque candidature agli Emmy per American Horror Story, dopo essere rientrata nelle 100 persone più influenti del pianeta per il Time, e dopo essersi nascosta sotto il tavolo del programma di Ellen Degeneres a causa dell’instancabile voglia della padrona di casa di trollarla, ha trovato e definito in maniera ancor più netta le sue capacità attoriali, già impeccabili, ed anche il genere che le si confà maggiormente.

Difficile da definire quest’ultimo da me che sono un profano, ma in questo calderone inserirei un’eleganza sopraffina, mista ad un pizzico di gotico e di drammatico, con una verace tendenza al thriller psicologico. Insomma, le mie papille esultano.
Ratched è l’espressione massima della sua essenza di attrice: sia per il personaggio interpretato, sia per ogni elemento della serie TV di Netflix, sembra essere cucito su Sarah stessa.

Ratched riprende la storia dell’infermiera de Qualcuno volò sul nido del cuculo con la regia di Ryan Murphy che rende il tutto meravigliosamente impeccabile, perché come sappiamo, qualsiasi spin-off non è facile da gestire, ma qui gli errori son ben pochi.
Non stiamo mica parlando della serie Joey, lo spin-off di Friends.
Non la ricordate? Ecco, appunto.
Tornando alla nostra serie, essa è ambientata nel 1947, alla fine della seconda guerra mondiale, quando Mildred Ratched, donna con un passato oscuro, decide di trasferirsi in California per entrare nuovamente nel mondo medico, come infermiera, all’interno di un centro psichiatrico, gestito da Richard Hannover, lustre scienziato, affascinato dalla mente umana e dalle molteplici capacità che in essa risiedono. È qui che la storia nasce e prosegue, tra antipatie, sotterfugi, segreti, outfit perfettamente abbinati ed una voce (consiglio di guardarlo in inglese) dal volume e tono, oserei dire perfetti.
Mildred, ovviamente interpretata brillantemente dalla Paulson, ha un obiettivo nella sua vita e non può che perseguirlo ad ogni costo, ma spesso dovrà fare i conti con il proprio passato, con l’incertezza e le insicurezze del proprio presente e con le paure del futuro.
Aspettatevi scene crude (ma non troppo) che vi porteranno a strane smorfie, abbinate ad una realtà che sembra allontanarsi dai tempi in cui è ambientata, fatta di eccessi e controindicazioni, a volte.
Ma una serie TV, per avere successo ed essere la più vista su Netflix US ed Italia nelle prime 76 ore dalla sua uscita, deve essere composta da un Team perfetto.
D’obbligo la menzione a Sharon Stone, che, con i suoi 62 anni, ci ricorda quanto sia inutile utilizzare delle creme antirughe, perché lei sarà comunque più bella di noi. La sua capacità interpretativa non è sconosciuta, anzi, ma la figura della madre ossessionata dal proprio figlio, tra soldi ed eccessi, è stata gestita in maniera incredibile.

Ora passiamo a Finn Wittrock, nei panni di Edmund Tolson, paziente della clinica psichiatrica; lo conosciamo fin dai tempi di American Horror Story, ma non si riesce a stancarsi della sua interpretazione e di come sia riuscito a rendere armonioso quel connubio tra crudeltà e vulnerabilità. In una nuova realizzazione di Harry Potter, sarebbe un perfetto Mangiamorte.

Menzioni d’onore a Judy Davis e Cynthia Nixon, due attrici sensazionali, che tra medicina e politica, tra dissapori e diversità, rendono giustizia a due personaggi meno complicati ma magistralmente interpretati. Sono state quel giusto pepe che si inserisce nei piatti romanacci (Cynthia se lo sarà portato da “Sex and the city”); i loro personaggi portano scompiglio, fanno cambiare idea ad ogni cambio scena e soprattutto, non restano scontati.


Jon Jon Briones, invece, è il primo delle mie tre meravigliose scoperte. L’attore, Richard Hannover nella serie TV, è magnifico nel suo ruolo. Il suo 1,65 di altezza riesce a toccare livelli altissimi, con una continua e brillante esibizione di capacità recitative, miste ad espressioni facciali che da attoruncolo di paese sogno di realizzare notte e giorno, ma con scarsi, scarsissimi risultati.

Passiamo, adesso, a Brandon Flynn. Se non aveste capito chi fosse, beh, è uno dei pochi, pochissimi, veri attori di “13 reasons why”. Dal ragazzo di liceo tossico e trasandato, riesce ad interpretare magistralmente, grazie a quegli occhi blu, la tossicità di una malattia mentale, tanto da cimentarsi nel figlio pazzo, con braccia e gambe amputate, della bellissima Stone. Credetemi, le sue capacità si vedono tutte… non solo la bellezza!

Infine, la mia più grande sorpresa: Sophie Okonedo. L’attrice londinese, nei panni di Charlotte, si è cimentata in una prova di coraggio, più spaventosa di quella di Ciao Darwin ovviamente, ed ha portato a casa il pari merito con la protagonista; incredibile ed indimenticabile. Non la conoscevo, ma recupererò ogni sua interpretazione. È già estremamente complicato avere un unico ruolo, ma averne molteplici nella stessa serie è disumano, oltre che per pochi.

Nel complesso, anche altri personaggi sono stati straordinari, ma è una serie così ben fatta che si dovrebbero scrivere milioni di pagine per una descrizione puntuale.
I luoghi, le ambientazioni, gli outfit, l’intesa tra gli attori, sono i punti di forza di questo thriller dalle note oscure e dalle luci perfette, che vi farà innamorare a prima vista.
Al posto vostro, approfitterei di questo tempo per iniziare ad accendere Netflix e godervi i colori accessi di Mildred e la sua capacità di tenere i segreti, passando per l’insaziabile voglia di battere, combattere e raggiungere l’obiettivo prefissato
Alla fine, sono certo che sarete d’accordo con me…
… c’è da diventare pazzi, ma in questo caso eviterei di dirlo ad alta voce.
Social Media Strategist, cosentino classe 1991, fluente in 3 lingue.
Laureato in Giurisprudenza per caso, in Marketing e Comunicazione per scelta, ha vissuto a Roma, Milano, Alicante, Boston, Londra… Ma per lui nessun posto è come “casa”.
Eletto vincitore della Hult Business Challenge da una giuria di Google per il suo progetto sui matrimoni calabresi intitolato “WEDDIE”.
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