I fatti sono ormai ben noti: il DDL Zan è stato definitivamente “affossato”; gli applausi e l’esultanza della parte destra dell’emiciclo parlamentare hanno inondato telegiornali e social dividendo, una volta di più, l’opinione pubblica, i cittadini.
Ha quindi vinto, ancora, la politica della contrapposizione, la politica del “con me o contro di me”.
La questione, dunque, solo apparentemente “interessa” la comunità LGBTQ+ (e utilizzare il termine “comunità” già fa trasalire) ma l’intera popolazione italiana.
Ma procediamo con ordine. Il Disegno di Legge Zan è intitolato “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità̀ di genere e sulla disabilità”.
Il contenuto del disegno, nell’allargare quanto previsto dalla Legge Mancino estendendone l’applicabilità a soggetti diversi da quelli già previsti, istituiva, ad esempio, anche la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia.
Una giornata che avrebbe avuto lo scopo “di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità̀ di genere, in attuazione dei principi di eguaglianza e di pari dignità̀ sociale sanciti dalla Costituzione”.
Ulteriori misure, ulteriori precetti, sono contenuti nel Disegno di Legge, ma quanto accaduto non ha attinenza con questo.
Quel che è accaduto nell’ultimo periodo nel Bel Paese intorno a questo Disegno di Legge è che si è assistito all’ennesima campagna elettorale di contrapposizione su quelli che sono diritti civili, anziché discutere al fine di trovare un punto di incontro che potesse soddisfare tutti.
Del resto, era una grande fetta della popolazione a chiedere, a gran voce, la promulgazione di questi precetti normativi e, pur dovendo considerare che alcuni punti del Disegno fossero controversi, era dovere del Parlamento (del Senato nel caso specifico) discutere – anche animatamente – del contenuto del Disegno.
Invece, il Senato della Repubblica Italiana ha votato (con voto segreto) il non passaggio all’esame degli articoli, così come previsto dall’art. 96 del regolamento del Senato, rendendone praticamente impossibile la promulgazione in questa legislatura.
E mentre in altri Paesi leggi a protezione dei diritti civili di tutti sono realtà ben consolidate, mentre alcuni Paesi iniziano a emettere documenti di riconoscimento privi di informazioni circa il genere della persona, mentre in molti Paesi aggredire qualcuno per il sol fatto di amare qualcun altro dello stesso genere è un’aggravante di reato, in Italia, in quello che è lo specchio del nostro Paese, una parte dell’emiciclo al termine di una votazione esulta come fosse allo stadio.
Esulta perché ritiene di aver battuto, sconfitto un avversario, aver tenuto lontano l’altro, ciò che diverso – almeno politicamente – è da se stesso.
Esulta perché ha affermato, una volta di più, che il Parlamento non è più il luogo della discussione, ma dell’affermazione di forza dove si specchia un Paese diviso e sempre meno civile, culturalmente forte e rispettoso della diversità.
Quegli applausi non hanno ferito solo le persone che quel Disegno avrebbe potuto legittimare, proteggere, riconoscere, ma un intero Paese.
Avvocato, classe 1987, nasce nella provincia di Cosenza e qui completa gli studi classici.
Laureato in Giurisprudenza presso l’Università Commerciale Bocconi, svolge la pratica forense tra Cosenza e Milano e vive per un periodo negli States per un tirocinio in un prestigioso studio legale internazionale.
Opera nel settore legale in terra natìa da diversi anni.
Appassionato di scrittura, letteratura, musica, calcio e pesca sportiva