"Come fai a nuotare se ti senti annegare prima ancora di mettere piede in acqua?"

Da piccola nuotavo, ma questo lo sai già, i tuoi amici te l’hanno raccontato.
Gitaiola” mi chiamavano, me l’hai rivelato tu anni dopo.

Gitaiola” perché, subito dopo il riscaldamento, poco prima dell’inizio delle gare, spesso mi tiravo indietro, mi facevo prendere dal panico e il cuore dava inizio ad un ballo furioso che lo trascinava via dal petto, su, verso la testa.
Era difficile concentrarsi con quella nebbia fra gli occhi, i polmoni pesanti e la gola chiusa.

Come fai a nuotare se ti senti annegare prima ancora di mettere piede in acqua?

“Preavviso di squalifica…” annunciavano poi le casse a bordo vasca.
Era quasi un sollievo.
A quel punto, quello che sarebbe venuto dopo non mi avrebbe fatto tanto timore.

È passato così tanto tempo dall’ultima volta che ho sentito quella frase, sono anni che la mia pelle non sa più di cloro.
Eppure delle volte mi sento ancora lì, a bordo vasca, il tuo ricordo sulle spalle come un accappatoio pesante che mi toglie il respiro; le mani tremano, tutto il resto sembra lo scenario sfocato di una recita a cui non voglio partecipare.

Chiudo gli occhi.

Ti ritrovo seduto all’ombra, sotto il tuo albero, avvolto dall’odore pungente del fumo.
“Fammi spazio.”
Seduti fianco a fianco, in un tacito accordo decidiamo di non guardarci negli occhi.
Nel cielo le nuvole prendono vita in una miriade di forme diverse.
“Guarda, quella sembra una balena, ti assomiglia un po’.”
La morte non ti ha cambiato per niente.
“Coglione.”
Per un attimo mi perdo nel suono della tua risata calda, invadente, a tratti irritante e lascio che una lacrima mi scivoli sul viso.
“Beh? Hai intenzione di dirmi cosa ci fai qui o vogliamo continuare a fare finta di nulla?”
“La verità?”
“La verità.”
“Ti odio.”
“E questo lo sappiamo già, andiamo avanti.”
“Non ho alcuna intenzione di chiederti perché tu l’abbia fatto, sono fatti tuoi…”
Continuo a parlare tutto d’un fiato interrompendoti con la bocca mezza aperta, in un’espressione che quasi mi strappa un sorriso.
“… ma non avevi alcun diritto di portarti via tutto il resto.”

Ripenso a quella mattina, l’eco delle sue urla al telefono scorre lungo la mia spina dorsale come una scarica elettrica.

“Per così tanto tempo non mi sono sentita in diritto di parlare, di star male: io non sono lei, non sono neanche fra tutti quelli a cui hai pensato mentre scrivevi la tua lettera.
E nel mio essere nessuno mi riconosco a fatica, sono solo un’ombra in quei ricordi sbiaditi, ingrigiti dal dolore che ti sei lasciato dietro.
Come in un album di vecchie fotografie vorrei solo poterne afferrare un paio: noi tre sul balcone, persi nell’ennesimo trip, quella sera in cui credevi di aver scoperto il senso della vita; oppure la prima volta che mi feci ascoltare XXXTentacion e restai a bocca aperta per i primi cinque minuti, mentre tu le sapevi già tutte a memoria; o magari quando finalmente ti preparai il tiramisù, aggiunsi anche qualche goccia di cioccolato, lo divorasti in quattro cucchiaiate, ma sapevo non avresti detto una parola solo per il gusto di non darmi soddisfazione.”
Avrei dovuto spaccarti una pirofila in fronte quando ancora ne avevo la possibilità. Ecco, vorrei poterti ricordare in uno di questi momenti e invece tutto ciò che mi rimane di te sono i sensi di colpa, le tue labbra viola, le braccia incrociate e la punta delle dita di un blu freddo come la stanza in cui eri steso. Sono stanca di ricordarti così.”
“Allora smettila.”
“Come?”
Con un sorriso alzi un dito al cielo, so che stai indicando una maledettissima scia chimica.
“Tu e le tue continue teorie complottistiche, che palle.”
A questo punto ridiamo entrambi, mi sei mancato.
“Vedi? Funziona. Io non posso tornare indietro e cancellare quella parte della tua vita, ma grazie anche alla più piccola delle cose, tu puoi provare a trascinare a galla quel lato di me che tieni nascosto.”

Sento il peso dei tuoi occhi azzurri su di me, so perfettamente cosa vorresti chiedermi.
“Le hai spezzato il cuore, le ci è voluto un po’, ma sta bene.”
Con la coda dell’occhio ti vedo sorridere.
“Lo so, è un carro armato.”

Quante volte ti ha salvato senza neanche rendersene conto?

Un’ultima domanda mi rimane incastrata in gola, so che non mi risponderai.
“Perché sei scappato? Dovevi solo aspettare il tuo “preavviso di squalifica”, metterti seduto e riprendere fiato.
Tutto il resto avrebbe fatto meno paura.”

Riapro gli occhi.
Le mani hanno smesso di tremare.
Ti voglio bene.

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