Quanto eri bella, Costituzione mia

"L'articolo d'apertura ha una frase che risuona nelle orecchie di tutti sin dalla nascita: la Repubblica sarebbe fondata sul lavoro. Insomma, già solo con il primo articolo, ci ritroviamo a ridere insieme a circa 40% degli italiani."

“La più bella del mondo”: così Roberto Benigni presentava la Costituzione italiana, portandola nei teatri del Bel Paese e sconfinando anche in televisione, all’alba degli anni ’10. Ai tempi, la nostra legge fondamentale aveva già più di sessant’anni, iniziava a sentire il peso del tempo che scorre, e che oltre dieci anni dopo, continua a farlo inesorabilmente, creando nuovi bisogni, introducendo nuove generazioni e nuove problematiche. Che una carta di settanta anni non è più in grado di intercettare.

Per quanto bella, bellissima, inizia ad essere vecchia. E a risentirne è il sistema: fondamenta deteriorate non possono reggere un grattacielo nuovo e tecnologico. Già, un grattacielo. È proprio così che dobbiamo inquadrare la nostra società: un enorme grattacielo al quale dobbiamo aggiungere un nuovo piano ogni volta che un nuovo interesse, meritevole di tutela, chiede spazio in una realtà sempre più complicata e, pure lei, bellissima. Non è facile costruire qualcosa di nuovo ogni volta, ma diventa molto più difficile, se le fondamenta iniziano a sentire la vecchiaia. Pensate a chi ci ha provato da zero, come l’Unione Europea. Quel grattacielo è davvero enorme, con grandi differenze economico-sociali fra i condomini; alcuni, come noi, ancora risentono di problemi fra coinquilini, rendendo tutto ancora più difficile. E, infatti, siamo ben lontani dalla Costituzione europea. Ma non possiamo mica spaventarci.

La difficoltà nell’affrontare l’agormento di una Nuova Costituente nasce dall’affetto che – giustamente – in tanti provano nei confronti della Carta, la vecchia casa dove si è abitato per tanto tempo. Un affetto che nasce dallo studio, seppur minimo, che le dedichiamo a scuola, poi inflazionato da chi ne tesse le lodi: da Benigni ai politici che vi si nascondono dietro, come fosse perfetta in tutto. Eppure, ormai è chiaro: non funziona più. E come ogni cosa che non funziona, si dovrebbe pensare a come cambiarla, come avvenuto anche in altre nazioni, anche in Europa.

E già: in Francia si vive la Quinta Repubblica, dopo altrettante Costituzioni (anzi: sarebbero sette, alcune promulgate a stretto giro l’una dall’altra), l’ultima delle quali risale al 1958. O ancora: in Grecia è stata cambiata più volte, l’ultima nel 1978; in Portogallo si vive la Terza Repubblica, costituita con la Carta del 1976. Inoltre, si darebbe finalmente ai giornalisti l’occasione di utilizzare correttamente l’espressione “Seconda Repubblica”, che ormai si riferisce al cambio di assetto partitico post-Mani Pulite e che, invece, è un termine tecnico, indice di un cambio a livello costituzionale di un Paese.

Di certo, però, il fine ultimo non può essere quello di fare un favore ai giornalisti, né vantare l’ultimo aggiornamento con i vicini di Unione. Quanto, piuttosto, dare un vero strumento di tutela all’Italia del 2022, che non può sentirsi più rispettata dalla Costituzione attuale. Senza lasciarsi andare al qualunquismo, basta già una lettura del primo articolo per rendersi conto che c’è qualcosa che non va. “L’Italia è una Repubblica democratica”: dove a stento vota il 20% degli avente diritto. E non esser mai intervenuti su tale dato che difatti continua a calare, è un problema di dimensioni enormi.

Ora, ci sono due alternative: o rinunciare alla democrazia, o cambiare gli strumenti democratici a nostra disposizione. E dopo aver letto qualcosina sugli stati non democratici, penso sia il caso di adoperarsi per la seconda strada, magari riconoscendo ai cittadini strumenti più efficaci rispetto alla raccolta delle firme – che puntualmente vengono cestinate dalla Corte Costituzionale. Vivere in uno stato in cui non viene riconosciuto alcuno strumento efficace per far partire la discussione riguardo leggi che regolano i diritti di nuove generazioni, significa non avere una voce. E no, non bastano le “petizioni” dell’articolo 50: il solo fatto che tu, che stai leggendo, non sappia cosa siano, ne è l’ennesima prova.

Ma, ovviamente, l’articolo d’apertura ha una frase che risuona nelle orecchie di tutti sin dalla nascita: la Repubblica sarebbe fondata sul lavoro. Insomma, già solo con il primo articolo, ci ritroviamo a ridere insieme a circa 40% degli italiani, fra disoccupati e inattivi. Un po’ troppi, anche pensando alle scelte politiche volte all’assistenzialismo che sono diventate centrali negli ultimi anni: dal Reddito di Cittadinanza alle riforme pensionistiche sbandierate in vista delle prossime elezioni (e che saranno a carico, ancora una volta, dei giovani: proprio quelli che non lavorano). Siamo sicuri che sia ancora il lavoro ciò su cui si “fonda” la nostra Repubblica?

E parlando di scelte politiche: la mortificazione del ruolo del Parlamento, fortemente voluta dalla politica e orientata dall’opinione pubblica, iniziata con l’abnorme uso di deleghe al governo e terminata con il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, dovrebbe farci porre almeno una domanda sull’importanza che questo riveste, ormai, nel nostro ordinamento. La Francia ha vissuto un periodo di transizione da una Repubblica parlamentare ad una semipresidenziale, proprio con l’ultima Costituzione: se l’Italia non si rispecchia più nel ruolo dei suoi rappresentati, sempre più sfiduciati dal popolo, forse sarebbe il caso di farsi rappresentare da una singola persona, nella quale ritrovare una figura di qualità politica degna del paese che governerebbe. Certo, questo ne presuppone l’esistenza, ma questo richiede ben altro approfondimento.

Ma sarebbe sbagliato fermarsi agli articoli organizzativi, soprattutto all’indomani del referendum meno votato della storia proprio a causa dei suoi quesiti troppo tecnici. Parliamo di quelli che regolano – o dovrebbero regolare – la vita di tutti i giorni: ad esempio, l’articolo 29, quello sulla famiglia. “Società naturale fondata sul matrimonio”: nel 2022, fa rabbrividire. Fa rabbrividire quel “naturale”, fa rabbrividire quel “matrimonio”. Ed è sinceramente difficile anche solo trovare una giustificazione, se non quella storica, che, per ovvie ragioni, non può più stare in piedi. Certo, l’interpretazione può sempre venirci incontro, ma una sostituzione dell’inciso sarebbe molto più auspicabile, almeno in una società che no, non fonda più sul matrimonio quella bellissima società che è la famiglia. Sostituzione che, per inciso, nemmeno si discute.

Così come non si discutono gli articoli dedicati ai rapporti economici, a quelli politici. Dal più che discusso articolo 39, mai applicato per timore delle ingerenze statali nei sindacati, ma che a conti fatti ne limita la possibilità di stipulare contratti collettivi di lavoro: anche questo, mai ritoccato, nonostante l’evidente necessità di riformare i sindacati. E diventa anche inutile parlare dell’articolo 36, quello che parla di una retribuzione tale da “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”: certo, qui la Costituzione non ha colpe, vista la programmaticità dell’articolo. Ma, ecco, sta tutto lì: perché non prevedere una difesa costituzionale a questa retribuzione, sempre meno tutelata?

Quelli politici vengono ben riassunti dal problema dell’articolo 48 e del suo inciso “il diritto di voto non può essere limitato”. La bassa affluenza alle urne, di cui abbiamo parlato, sarebbe quindi una scelta di chi non va a votare. Non fosse che, in effetti, il diritto di voto è limitato eccome: basti pensare agli studenti e ai lavoratori fuori sede, ma anche ad alcuni degenti, agli anziani. Non a chi è nato da un genitore italiano negli States, loro possono votare, gli viene recapitata la scheda a casa (!). E solo una riforma costituzionale può intervenire a tal riguardo, solo il massimo riconoscimento dell’importanza del voto può farcelo rivalutare.

Potrei continuare l’elenco, ma servirebbe a poco, se non a stancarci. Dopotutto, sono 139 articoli, ma la conclusione sarebbe sempre la stessa: sono 139 vecchi articoli. Bellissimi, ma poco aderenti alla realtà, che ormai si è plasmata in modo quasi opposto a quella che l’Assemblea Costituente aveva previsto.

Non sarà facile trovare punti d’incontro, ma sarà l’occasione per una profonda analisi della società che viviamo, affrontarla è l’unico modo per capire quale società meritiamo di vivere: nuovi diritti e nuovi bisogni meritano nuove tutele. E io, quelle tutele, le voglio tutte, solo così potrò considerarmi protetto dalla mia Costituzione.

Non parliamo di un semplice pezzo di carta, di una preghiera da imparare a memoria per poter dire di credere ancora in qualcosa. Io ci credo, eccome: per questo voglio che cambi. Da giovane, tornerà sicuramente ad essere “la più bella del mondo”,

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