“E tutti noi, senza fermarci un secondo, ricominciamo a correre, rischiando di cadere ancora una volta, fino a farci seriamente male, troppo (ma troppo poco per molti). Ecco dove dovrebbe risiedere, oggi, il segreto della misurazione del nostro più intimo troppo: nel nostro cammino”.

Mattia ha un brutto vizio: fuma.

Non sa quantificare il numero di sigarette che l’indice e medio della sua mano destra, tengono strette in una settimana.

Tantomeno in un tempo più lungo.
Eppure, ogni qualvolta qualcuno gli chiede “quanto fumi?”, risponde “non troppo”.

Punti di vista.
Ma né io né lui, quel troppo, sappiamo quantificarlo.

Varia inesorabilmente tra i bisogni più intimi e le giustificazioni a cui si vuole credere, fungendo da scusa perfetta quando si ha bisogno di nascondere qualcosa, perché, seppur esiste una risposta corretta, quel non troppo risulterà vago e darà modo di nasconderci.

Un po’ come quella maschera di Calimero, indossata nel Carnevale 1996, con la testa così grande da far chiedere a mio padre: “Luigi, sei lì sotto?”.

“Da quanto tempo non ci vediamo?” – “non troppo”, rispondo.

“Quanto ti piace guardare Sanremo con tuo marito?” – “troppo”, confermo cantando.

“Quante volte abbracci i tuoi genitori?” – “troppo poco”, mi difendo.

“Quanto mi vuoi bene?” – “troppo”, confermo.

Ancor di più, nel mio caso, quel tempo, quella quantità, quella qualità, non le riesco a misurare.

Forse penserete che abbia tempo da perdere.
Ma forse, ci pensiamo tutti troppo poco o forse sono troppo pretenzioso con me stesso.

Si perde più tempo a trovare un termine di paragone che a smettere di giustificarsi, scegliendo di dire la verità.

Preferiamo convincerci che tutto quello che facciamo stia seguendo il tempo giusto, per le ragioni giuste, senza analizzare la questione da un punto di vista oggettivo: quello in cui cui le nostre scuse non fanno capolino.

Questo è il fardello che da settimane mi porto nella testa, facendo lavorare i miei neuroni ad una velocità a dir poco imbarazzante, del resto, capita raramente.

La verità è che penso non possa esistere una reale soluzione a questa equazione, in cui gli addendi di orgoglio e le parentesi di giustificazioni, fanno a botte con tempo e valore che restano incognite.

Ed io, in matematica, non sono mai stato troppo bravo.

Viviamo in un’epoca in cui la rapidità nel terminare le consegne viene osannata a discapito di giovane vite e burn out regolari. Eppure c’è chi, a 31 anni, come Cristina, è felice di montare i lego di Harry Potter.
E chi dice che è troppo? Ma poi, troppo rispetto a cosa?

Non abbiamo il tempo di recuperare il respiro che a Giovanna viene chiesto nuovamente di correre, tra ginocchia sbucciate, sudore e battiti accelerati.

Non si ha il tempo di spegnere il computer, che ad Alessia viene chiesto di riaccenderlo per una scadenza sopraggiunta, tra occhi rossi, una forchetta per una pasta ormai fredda da ingerire e un prurito al collo dovuto allo stress.

E Mattia? Mattia continua a fumare troppo… ma troppo per chi?

E tutti noi, senza fermarci un secondo, ricominciamo a correre, rischiando di cadere ancora una volta, fino a farci seriamente male, troppo (ma troppo poco per molti).

Ecco dove dovrebbe risiedere, oggi, il segreto della misurazione del nostro più intimo troppo: nel nostro cammino.

Solo fermandoci, leccando le ferite, indossando protezioni e scarpe più comode, riusciremo realmente a camminare nuovamente.

Non nel cammino delle persone che ci amano o in quello di coloro che dicono di amarci. E nemmeno nel percorso dei nostri studi, breve o dilungato che sia. Tanto meno in quello del nostro lavoro, fisico o mentale che risulti, ma esclusivamente nei nostri semplici passi.

È Serafina a misurare i suoi passi, smontando la teoria secondo cui ogni falcata vale più o meno un metro; ogni sua falcata è lunga quanto desidera.

È Gioele a scegliere di rallentare, poi saltare, smontando le paure insite negli ostacoli più alti; ogni suo salto, ha la misura della voglia di percorrere quella distanza.

E Mattia? Mattia continua a fumare troppo… anche camminando.

Parliamoci chiaramente, siamo o non siamo il nostro unico punto di riferimento, temporale e qualitativo?

Le nostre risposte, il nostro tempo.

Le nostre risposte, il nostro valore.

La nostra vita, i nostri passi.

Senza paura del giudizio, ad ogni “sì, però quanto è questo troppo?”, faremo riferimento esclusivamente al nostro tempo.

“Da quanto tempo non ci vediamo?” – “non troppo”, rispondo, rendendomi conto che per me non è passato neanche un giorno da quando ci siamo incontrati l’ultima volta.

“Quanto ti piace guardare Sanremo con tuo marito?” – “troppo”, confermo canticchiando i motivetti delle canzoni del passato che fungono da risposta perfetta.

“Quante volte abbracci i tuoi genitori?” – “troppo poco”, mi difendo. Ricordando quanto io ami sentire il loro profumo addosso.

“Quanto mi vuoi bene?” – “troppo”, confermo… non voglio quantificare l’amore per te.

E Mattia? Mattia fuma sempre troppo… ma è lui la sua unica unità di misura.

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