A chi non è capitato di aprire il proprio feed di Instragram e trovarsi, stagliata tra un meme e l’altro, la frasetta motivazionale, l’aforisma sulla vita, la massima psicologica perfetta che arriva proprio nel momento in cui ci occorreva di più.
“Chi non ti dà il suo tempo, non lo merita”,
“Non eri innamorata di lui, ma della idea che ti eri fatta”,
“Questo messaggio è per te: amati”,
“Non aspettare il momento perfetto: sii tu a renderlo tale”.
Ma cosa succede quando la frasetta motivazionale diventa fuffologia a buon mercato?
Uno dei settori che sta prendendo più piede sui social, infatti, è quello dell’imprenditoria motivazionale/psicologica. Gli ultimi anni hanno visto un aumento esponenziale della comparsa sulle piattaforme di life coach, mental coach, psicologi del web: tutti pronti a vendere motivazione, voglia di vivere, conoscenza di sé, crescita personale, consigli psicologici, ricette del benessere, rimedi a paturnie psicologiche in pacchetti di reel da 60 secondi.
Musiche sensazionali in sottofondo a creare il proscenio perfetto per lui/lei, il guru, su uno sfondo cereo – anche se l’alternativa libreria alza sempre il livello intellettuale -, col mento protruso e leggermente inclinato verso l’alto, la voce flebile e calda riesumata da una recente convalescenza da covid-19 e… “I tre motivi per cui ti si incarnisce l’unghia mentre fai sesso”.
Scherzi a parte, il fenomeno sembrerebbe tanto più esponenziale quanto più diventi consistente e diffuso all’interno della società il comune senso di insoddisfazione nei confronti di una carriera lavorativa sempre più precaria e una vita relazionale condotta all’insegna della liquidità.
Così, il “trend” della motivazione e dell’ottimismo digitale, sta portando ad un considerevole aumento in termini di visibilità personale e di introiti a favore di coloro che ne stanno cavalcando l’onda.
E la situazione diventa ancora più “delicata” quando alla visibilità personale si aggiunge il guadagno determinato dalla vendita dei propri corsi, che non sempre hanno costi accessibili.
Peraltro, non essendoci una regolamentazione sufficientemente organica a riguardo, il filtro della deontologia e dei codici etici e disciplinari non trovano dimora, dando il via, nei fatti, a un vero e proprio tana libera tutti.
Problemi e rischi del fenomeno
Chiariamolo subito: la comunicazione sui social, che si tratti di politica o scienza, è sempre semplificante, superficiale, sbrigativa.
I social, infatti, costituiscono il riflesso condizionato al senso di noia. Tutto ciò che si fa o si legge sui social deve essere immediato, esauribile con pochi movimenti di pollice.
Il problema, però, è che gli effetti di una comunicazione superficializzante sulle questioni psicologiche non sono meno preoccupanti di quelli di una cattiva informazione politica.
La risposta a problemi psicologici, specie alle paturnie relazionali – decisamente l’argomento preferito dai guru -, diventa facile, deresponsabilizzante, autoreferenziale: “sono gli altri ad essere tossici, tu devi solo amarti di più”.
Il rischio psicologico è che si esacerbi l’isolamento del singolo, indirizzandolo verso il rafforzamento di una bolla autoconfermativa che piuttosto che condurre il paziente-follower ad affrontare il trauma, lo conduce a licenziarlo come una responsabilità altrui.
Vengono vendute certezze, risposte facili, millantando una crescita personale fatta di cambiamenti immediati, di ricette aneddotiche (tra citazioni e conturbanti esperimenti con gli accendini), tradendo così il senso profondo del metodo psicoterapeutico.
Lo psicologo non dà risposte e consigli, non taccia di tossicità – termine peraltro ampiamente abusato sui social sul presupposto che se qualcosa ci provoca ansia o angoscia deve essere automaticamente etichettata come tossica – non critica.
Al contrario, la terapia accompagna il paziente ad una concreta autodeterminazione: fatta di tentativi, errori, aumentando le possibilità emotive e di azione del singolo.
La psicologia non dà risposte, piuttosto definisce nuovi approcci alle domande della vita.
Ma spesso lo si dimentica: si tratta sempre di influencer. Qualunque influencer, infatti nel somministrare e valutare i contenuti si concentra prevalentemente su parametri quantitativi, non qualitativi: numero interazioni, like, risposte, commenti, ecc.
Le risposte facili, che confermano l’opinione di partenza dell’utente, sufficientemente generiche, idonee a creare agili meccanismi di immedesimazione, creano adesione e consenso. Eppure, affrontare i propri traumi, o più semplicemente le proprie paturnie, può significare anche sentirsi dire cose non proprio piacevoli.
Quella dello psicoterapeuta è una poltrona scomoda: le sedute sono come degli interventi chirurgici “a cervello aperto”.
Peraltro c’è un ulteriore problema, e non di poco conto: il percorso psicologico è strettamente individuale.
Le formule generaliste, valide per una maggioranza – ma ne siamo sicuri? –, mal si adattano al bisogno terapeutico del singolo, portatore di bisogni e necessità che, anche in presenza di un medesimo problema, sono sempre individuali e unici.
La ricetta facile e generale rischia sempre di generare ulteriore frustrazione: un po’ come quando ai tempi del lockdown ci veniva continuamente propinato di fare esercizi fisici a casa, restando sempre attivi, quando magari, per alcuni, ciò rappresentava un fattore di stress a fronte di un’occasione di riposo e distacco dalla frenesia della vita quotidiana.
L’impressione dunque è che sui social il marketing spregiudicato prevalga sul buonsenso e sulla professionalità dei content creator: viene millantata un’offerta di aiuto non idonea in quanto non professionale.
Aiutare le persone in percorsi psicologici o anche solo di crescita personale richiede esperienza, tirocini, attività clinica, difficilmente comprovabili sulle piattaforme. Non solo, ciò che preoccupa maggiormente è che chi non padroneggia un argomento rischi anche di diffondere messaggi parziali, scorretti, dannosi, recando un danno a tutta la categoria.
Il problema dei social, purtroppo, è anche questo: ci si può proporre come “esperti” di qualcosa venendo considerati tali anche a dispetto di una reale esperienza e competenza che sui social è difficile testare pienamente.
I follower, i like, il contenuto imbonitore, la comunicazione costruita in maniera facile e mirata genera l’illusoria associazione tra un tale professionista e una determinata competenza.
Ciò avviene non perché ci sia stata una collaborazione pregressa o perché si è a conoscenza del percorso di studi specifico, ma semplicemente perché siamo venuti frequentemente a contatto con quei contenuti sulla piattaforma digitale.
Informazioni, peraltro, più accessibili di qualunque linguaggio medico del settore.
Un’occasione persa e un invito
Sdoganare la figura dello psicologo, della malattia mentale e – mi si consenta – della debolezza umana, sempre più evidente in una società sovrastrutturata, sempre più pretenziosa di perfezione da parte di uomini imperfetti, piccoli e fragili, indifesi dalla retorica dominante tesa all’individualismo egotista e arrivista, è un’opportunità importante.
Cambiare è lento, difficoltoso. È un percorso irto e tortuoso, che non offre particolari certezze, ma che permette di trovare piccoli equilibri nell’incertezza, senza avere la pretesa irraggiungibile di dominarla.
Bisogna capire se e cosa c’è che non funziona, analizzare, ponderare, trovare lo strumento giusto per intervenire, osservarne i risultati, seguiti da chi ne ha le competenze per farlo.
E, spesso, non si riesce nemmeno al primo colpo.
Perché la fregatura della vita è che ce ne vuole una per imparare a viverla con consapevolezza. Per cui, se qualcuno vi offre una ricetta sicura, un programma standardizzato e ben definito che promette risultati veloci, quasi sempre validi per chiunque, c’è solo una regola da seguire: applicare una sana diffidenza. E soprattutto, avere pazienza. Specie con sé stessi.
Perché quello che faceva i miracoli pare sia morto giusto qualche anno fa. E pure male.
Dovremmo crocifiggerli tutti?
Sai quanti santi sul calendario.
Cosentino laureando in Giurisprudenza presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro.
Amante della filosofia del diritto e di diritto costituzionale, materie che esprimono il suo bisogno di riflettere approfonditamente sulla natura e la necessità delle cose, coltiva un’insana passione per il mondo nerd e per il cibo, anche in qualità di food blogger.
Affannosamente curioso e amante del dibattito, è dotato di un animo ironico e mordace.
Appassionato di filosofia, politica e cinema!