Perdonami padre perché ho peccato

"Ho letto il Cantico dei Cantici, ho pensato alle estasi dei santi che i teologi stessi paragonano ad un orgasmo, ho pensato alla Maddalena. Avevo bisogno di giustificare quel senso di colpa, che puntualmente spariva ad ogni suo abbraccio."

Stanno facendo discutere le nuove linee del documento del Dicastero per i laici, dove si ripropone il tema della castità prematrimoniale.

Ma sono davvero linee “nuove”?

Anche ai meno esperti di teologia, queste non possono apparire come una novità. Il rapporto sessuale, visto da un occhio estremamente cattolico, è stato sempre posto come il coronamento del matrimonio, e mai come “preparazione”. Il documento, quindi, non può apparire così eclatante, né retrogrado, bensì semplicemente in linea con il precetto cattolico.

Questi titoli spesso compaiono, fanno rumore e poi muoiono, senza incontrare il gusto di spiriti libertini e risultando distanti dalla realtà. Ma se a qualcuno fa sorridere, questa distanza mette in crisi tanti altri.

Si potrebbe pensare che qualcuno abbia bisogno del benestare del Vaticano per fare l’amore. E forse a volte c’è chi lo cerca, per mettere a tacere il senso di colpa di chi, come me, per un periodo della vita, ha vissuto l’essere cattolico come un susseguirsi di leggi e, dunque, giudizi. Eppure la legge del piacere è accattivante, ed induce ad amare ancora, perché non c’è nulla di male nel godere, nel perdersi in un irrefrenabile orgasmo.

Quando ho incontrato il mio attuale compagno, lui stava combattendo contro un tumore, aveva le difese immunitarie molto basse e questo ci ha costretto a vivere il primo anno “a distanza”. Ci mandavamo baci dalla finestra, da dietro un vetro; per stare pochi minuti insieme usavamo mascherina e guanti. Tutto questo proprio durante i primi mesi, quando hai quelle famose farfalle nello stomaco per cui ti mangeresti il mondo (ma soprattutto lui).

Eppure abbiamo vissuto la castità e, sinceramente, sono grata a quel periodo di attesa, perché ci ha permesso di parlare, di conoscerci, di darci quel tempo per scoprire le persone che eravamo. Abbiamo imparato quanto fosse prezioso un abbraccio, ogni lunedì, quando i valori delle analisi erano buoni. E io mi perdevo nei suoi abbracci, mi ci rifugiavo per una settimana intera. Abbiamo scoperto la sensualità di uno sguardo, la ricchezza di un bacio, la bellezza di poterci stringere la mano. In pratica, tutto quello che il covid ha negato a tutti dal 2020, noi lo avevamo vissuto già qualche anno prima.

Chiamatela castità, chiamatela “forza di causa maggiore”, anche dopo la malattia abbiamo continuato a non fare l’amore, a darci del tempo e a scegliere di aspettare il matrimonio. Entrambi siamo credenti, e ci sembrava la scelta più giusta.

Abbiamo aspettato, tanto. Abbiamo sempre sognato il nostro matrimonio, ma il lavoro non arrivava. Qualche persona di chiesa ci suggerì di sposarci, “tanto poi vi mantengono i vostri genitori”, ma noi avevamo studiato, volevamo realizzarci e non accontentarci di essere mantenuti. E, per quanto ci amassimo, non si paga un affitto con pane, amore e fantasia. Per questo motivo siamo partiti, per fare quell’esperienza che mancava sui nostri curricula.

E così abbiamo mancato la promessa, dopo circa otto anni di fidanzamento.

È stato il nostro atto rivoluzionario contro uno scenario lavorativo che ci vedeva distanti, ma era anche il coronamento di un amore coltivato, maturo, pronto per essere vissuto, preso a morsi, gustato. Ed è stato un passaggio così naturale, che non capivo perché avessimo aspettato così tanto. Eravamo felici, complici, noi: padroni dell’universo. Eppure, i primi tempi, mi sentivo tremendamente in colpa. E non capivo.

C’è un brano del Vangelo che amo particolarmente, quello dell’emorroissa. Gesù è circondato da tanta gente, eppure una donna che perdeva sangue da anni, riesce a sfiorargli il mantello, e lui si sente “toccato”. I suoi discepoli gli fanno notare che è circondato dalla folla, è inevitabile che qualcuno non lo tocchi. Eppure lui intende un tocco diverso: chi ci ama, ci tocca il cuore in un modo unico. È un tocco che avvertiamo, è un’impronta nell’anima. Toccare, sentire, è qualcosa di propriamente umano.

Eppure mi sentivo in colpa.

Ho letto il Cantico dei Cantici, ho pensato alle estasi dei santi che i teologi stessi paragonano ad un orgasmo, ho pensato alla Maddalena. Avevo bisogno di giustificare quel senso di colpa, che puntualmente spariva ad ogni suo abbraccio.

Eppure, che c’era di male ad amare il mio fidanzato, dopo anni che ci conoscevamo? Mi sono sussurrata “ama e fa ciò che vuoi”, e ho capito che non era il Signore a giudicarmi, ma ero io stessa e una religione trasmessa e vissuta come un susseguirsi di regole.

Cercavo un’approvazione che non potevo trovare. Ciò che da cristiana praticante mi sconvolgeva e che, però, non riuscivo a trovare neanche la comprensione, ma solo un insopportabile giudizio. Come si fa a parlare di Chiesa Madre, se poi, all’interno, non ci si sente accolti? E soprattutto, perché tra tanti peccati, il sesso sembra sempre avere un peso maggiore?

In uno scenario in cui si lamenta la diminuzione di matrimoni cattolici, non si può rilanciare con la castità prematrimoniale. Si deve puntare, a mio umile avviso, all’accompagnamento delle coppie, con una mente più aperta e gli occhi puntati al presente. L’amore è un’invenzione di Dio, siamo essere creati fisicamente per fare l’amore.

Non chiedo alla chiesa di non parlare di castità, ma di affrontare il discorso sotto diversi punti di vista, perché anche il più credente può sentirsi escluso. Il sesso è la spezia dell’amore.

Con il mio compagno abbiamo seguito anche il corso prematrimoniale. Al sesto incontro (finalmente) si è parlato di sesso. E lo si è fatto attraverso la testimonianza di una coppia che aveva aspettato il matrimonio: non è mai stata nominata la parola sesso, mentre la parola preservativo è stata nominata solo durante il settimo incontro, dal sacerdote, in un corso tenuto da sei laici. Peccato che gli astanti erano tutti conviventi, e due coppie anche con figli a carico.

Questa situazione è l’emblema di come la Chiesa (ahimè) a volte parli un linguaggio distante dalla realtà. Come sentirsi parte di una comunità, se ci si sente giudicati? Solo un sacerdote, parlando del donarsi reciproco, ci disse “poco importa se avete anticipato i tempi, qui non vi giudica nessuno. L’importante è amarsi”. E a quella frase mi sono venuti gli occhi lucidi, perché dopo tanti anni, finalmente, mi son sentita di nuovo accettata in casa.

Perché l’amore spiazza sempre, il giudizio allontana. Sempre.

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