L’opinione pubblica è una lavagna sulla quale la sera qualcuno scrive qualcosa e il giorno dopo tutti ne parlano.
Quel qualcuno, ogni tanto, è Netflix.
Nata come piattaforma streaming di film e serie TV, sta oltrepassando i limiti del suo oggetto sociale per divenire la fonte unica e sola dell’intrattenimento, al punto che ogni docu-serie e serie TV lanciata da Netflix rappresenta uno dei temi di discussione principali del giorno dopo, al pari delle notizie di cronaca e politica. Sono numerosi gli utenti che si fiondano a recensire subito la serie del momento, non soltanto da un punto di vista strettamente cinematografico, ma anche in rapporto alla sua portata come contributo alla formazione di una cultura.
Basti pensare a La Regina degli Scacchi, il cui successo strepitoso ha condotto ad un’analisi dettagliata del personaggio principale, facendo intravedere nella serie un messaggio femminista di rivincita dell’intelligenza della donna in un mondo di uomini. O forse dovrei dire che è stata la sovrapposizione di questo messaggio ad una serie di ben poca qualità – a parere di chi scrive – a condurre al suo successo strepitoso?
Stabilire il confine tra “è ciò di cui tutti parlano perché ha qualità” e “acquista qualità perché tutti ne parlano” è diventato estremamente difficoltoso. Se sono sempre esistiti i blockbuster, come Avatar, per i quali vi è un movimento delle masse considerevole anche a prescindere dalla vera bellezza del film, ora questo fenomeno sembra abbracci praticamente ogni – e dico ogni – produzione lanciata su Netflix. Se ogni serie TV riceve lo stesso grado di attenzione da parte degli utenti, come la meravigliosa The Crown, o La Casa di Carta, Vis a Vis, Bridgerton, Stranger Things, Elite e tante altre, è ovvio dedurre che qualcosa nei nostri divertimenti stia mutando.
A scatenare il nostro entusiasmo e stupore non è più la serie in sé ma la stessa piattaforma che la contiene, ovvero Netflix.
I trucchetti psicologici di Netflix
Netflix, in particolare, per garantirsi lunga vita, ci incalza con quei messaggi che gli psicologi definiscono “segnali caldi”, ovvero quelli che generano un’azione quasi immediata prima ancora che la mente abbia concretamente deciso se compiere o meno quell’azione. Per esempio, se vedo una notifica sul telefono, allungo la mano per prendere il cellulare. Dall’avvento della televisione e del cinema siamo stati condizionati da questi modelli; ma mentre prima il televisore era, dopotutto, un elettrodomestico che stava silenzioso sulla parete di casa e potevamo ancora scegliere se premerne il tasto di accensione o meno, questa scelta è diventata pressoché impossibile con Netflix.
Lui, Netflix, è presente nelle email che leggiamo al mattino, informandoci che “è stato aggiunto un nuovo film che potrebbe interessarti”; il pollice apre in automatico, l’occhio è attratto dalla locandina, la mente, che giunge qualche secondo dopo, inizia a pensare che stasera potrebbe guardare quello.
Fine della nostra libertà di scelta. Non abbiamo scelto. Abbiamo subito la scelta che è derivata da un comportamento automatico, attratti dal segnale caldo.
A ciò si aggiungono i messaggi che ci ricordano che la sera prima abbiamo lasciato la visione a metà o quelli che ci chiedono se Lupin ci sia piaciuto, facendoci sentire importanti per il nostro giudizio – e inducendoci a crearlo forzatamente, un giudizio. Lupin mi è piaciuto? Non lo so, sì, no; mi ha intrattenuto, ma non l’ho portato con me nella vita reale. Ha svolto il suo compito: divertirmi sul momento.
E se la sera non riesci a scegliere cosa guardare, Netflix ha anche l’innovativa funzione che sceglie per te in base a ciò che hai visto in precedenza. Così puoi mettere definitivamente in soffitta la tua capacità di discernimento. Netflix gioca con la tua mente… e il bello è che paghi mensilmente affinché lo faccia.
Inoltre, sempre lui, Netflix, è anche in versione App, cosicché possiamo impegnare il tempo morto mentre siamo in fila in un ufficio, continuando la nostra serie preferita. Accidenti, che invenzione!
Ma non è che la mente umana ha bisogno anche di un tempo morto? Per riposare, per meditare, per pensare a noi stessi, ai nostri comportamenti, a come ci rapportiamo con gli altri. E poi, cosa stiamo perdendo con lo sguardo ricurvo mentre siamo in attesa che arrivi il nostro turno? Stiamo perdendo la capacità di leggere nel linguaggio del corpo dei nostri simili, stiamo perdendo la capacità di decifrare la realtà sotto i nostri occhi, sforzandoci di farlo attraverso una serie.
Che spreco di energie criticare Lupin
Il carattere intrinsecamente sociale delle nuove serie TV si scorge anche con la virulenza con cui vengono criticate. Esempio lampante è la recente polemica in merito alla serie Lupin, che è stata oggetto di un copioso dibattito sulla scelta morale di far interpretare un personaggio letterario notoriamente caucasico ad un attore di colore. Ciò è stato interpretato come una forzatura del politicamente corretto mirante all’inclusione di minoranze – che in Francia tanto “minoranze” non sono – stravolgendo la rappresentazione del romanzo.
Tutto questo fa molto ridere. Fa ridere perché tutte – tutte – le rappresentazioni cinematografiche non sono fedeli, in misura maggiore o minore, al libro o alla storia vera o agli eventi storici, da cui sono tratte. Perché improvvisamente ci si lamenti di questa consuetudine non è ben chiaro. Sarebbe opportuno lamentarsene quando i film storici reinventano la storia per fini di spettacolo, perché così facendo creano falsi convincimenti di cultura generale negli spettatori… ma non ci siamo mai prodigati troppo per farlo.
Quello che poi sembra essere completamente sfuggito agli utenti italiani è la pretesa internazionale della piattaforma, che non crea serie TV in armonia con il Paese nel quale saranno fruibili, ma le espande indistintamente all’intero mondo Netflix. In questo modo, quando Netflix Francia ha creato Lupin, costruendola sulla base delle preferenze di cultura e società mista francese, non ha minimamente pensato che la presenza di un uomo di colore potesse suscitare dubbi sulla bontà del personaggio. Guardare serie TV che non hanno collegamento con la nostra cultura, ma ostinarci a farne discendere una chiave di lettura della società nazionale, è un’inutile perdita di energie mentali. Anche la visione de La Casa di Carta ed Élite, di produzione spagnola, sono completamente estranee ai nostri parametri cinematografici, eppure continuiamo a giudicarle come se fossero “nostre”.
Inoltre, come si evince chiaramente dalla serie, il protagonista principale non è il famoso inarrestabile Lupin, ma un ladro contemporaneo che si ispira alle sue gesta, quindi per quale motivo abbiamo accostato il problema del razzismo e del politicamente corretto ad una serie che non ha nulla a che vedere con ciò, e che è stata il prodotto in un Paese che non ha sentore di tale storpiatura? La risposta potrebbe essere che la nostra bussola interiore su ciò che merita commento e ciò che non lo merita è andata in tilt.
Non si vuole negare che alcune rappresentazioni possano effettivamente essere la culla di una visione del mondo dal quale dedurre tendenze culturali, ma si critica il bisogno spasmodico di sovrapporre significati più ampi a riproduzioni che hanno poco da aggiungere alla visione della realtà. Questo bisogno non è sintomo di una mente attenta a significati profondi, ma di una condizione patologica che ricerca un qualcosa in più nei luoghi sbagliati.
Un film talvolta può anche essere solo un film. Può anche essere solo un piacevole diversivo senza doverci costruire sopra una qualche forma di realtà. Può anche essere un puntino insignificante nell’immensa produzione cinematografica. Può anche essere solo arte che ci emoziona. Può anche svolgere la sola funzione di intrattenerci.
Netflix sta cambiando la nostra società e lo fa nel senso di indurci a formare un’opinione ad ogni costo, perdendo il senso della bellezza e del fascino dell’arte cinematografica, che può anche esaurirsi nelle 2 ore della sua durata.
Ma, cosa peggiore, Netflix sta scegliendo i film che ci influenzano e, quindi, le cose sulle quali formare quelle opinioni. Non siamo più noi i pionieri che vanno alla scoperta di dati per decifrare la realtà, ma inghiottiamo passivamente il primo titolo che appare a grande schermo sulla home Netflix. La nostra ricerca si limita ad una manciata di film già scelti, che la maggior parte delle volte non corrispondono ai nostri reali interessi. Così, la sera, sprechiamo 40 minuti andando avanti e indietro, nell’illusione di selezionare quello che fa per noi, in un cluster vastissimo e allo stesso tempo limitante.
Ma cosa ancora peggiore, questo perenne bisogno di sentenziare su tutto il palinsesto Netflix – sia in positivo che in negativo – ci sta togliendo energia vitale per coltivare i nostri veri interessi. La nostra curiosità e il nostro intrattenimento si fermano lì, in quei titoli sullo schermo, perché non abbiamo più lo stimolo di cercare in autonomia il tema di cui vogliamo interessarci nel tempo libero.
Se l’uomo è, per necessità, inserito nella struttura organizzativa del lavoro capitalistico, che impone di svolgere determinare attività e di occuparsi di specifiche incombenze dalle 8 del mattino alle 20 di sera, il divertimento e l’intrattenimento serale dovrebbero essere il momento di liberazione della personalità. La personalità si manifesta anche in cosa scegliamo di vedere, ma con l’avvento di Netflix siamo stati privati anche di questo, e già prima la nostra scelta si muoveva in uno spazio strettissimo.
Siamo diventati pigri anche nel divertimento.
Siamo diventati pigri negli interessi.
Come sfuggire a Netflix
Una delle ragioni principali per cui indugiamo in questo schema è che il grande successo “Netflix” ha avuto la capacità di normalizzare questo comportamento e renderlo universale. Questo fa sì che Netflix ci accompagni anche al di fuori delle mura domestiche, insinuandosi nelle conversazioni con i nostri amici. Quante volte vi è capitato che vi chiedessero “che serie TV stai guardando adesso?”, come se fosse ovvio e scontato che una serie TV faccia da sfondo alle vostre serate. Oppure, vi potreste ritrovare in un gruppo in cui tutti parlano di quella docu-serie, sentendovi esclusi perché siete gli unici a non averla ancora vista.
Il risultato è che si spreca il tempo libero per adeguarsi al tema del momento. Ma l’unità ottenuta con il conformismo è solo una parvenza di unità, che alla fine immiserisce e svilisce la propria identità. Il bisogno di aggregazione al gruppo, non soltanto fisica ma ideologica e mentale, è un connotato ineludibile della natura umana, ma dobbiamo cercare di rintracciare il confine tra ciò che per l’uomo è naturale e ciò che è patologico – e che in ultimo ci priva della reale gioia di stare al mondo.
Sarebbe meglio smettere di guardare al mattino il tema del giorno appuntato sulla lavagna e scegliere da sé i propri argomenti. Scoprire in biblioteca il libro dimenticato da tutti. Essere il più fedele possibile ai propri valori e inclinazioni. Diventare davvero persone interessanti con la propria originalità.
Dare davvero valore al tempo libero.
“L’uomo moderno crede di perdere tempo quando non fa le cose in fretta; eppure non sa cosa fare del tempo che guadagna, tranne che ammazzarlo”
Erich Fromm
Avvocato, classe 1990, nasce nella provincia cosentina.
Da sempre impegnata nella difesa dei diritti delle donne in ambito famigliare, è curiosa e dall’animo gentile ed equilibrato grazie alla sua passione per lo yoga, ma è anche incredibilmente impulsiva quando sa che c’è un’avventura ad attenderla.
Da ambientalista, ama e difende fermamente la natura e sogna di correre una maratona.
Appassionata di politica, viaggi, sociologia e yoga.