“Io non ho paura”. Questo è ciò che decide di dire a sé stesso chi sceglie di vivere.
Questo è quello che ti fa rimanere consapevole di voler piantare i piedi su questa terra, almeno per un altro po’ di tempo.
Questo è quello che si dice per mascherare la paura stessa.
Questo è quello che si ripete in continuazione chi, tra un ciclo di chemio ed una terapia radio, si avvia a guardarsi allo specchio e vedersi diversa.
Vivere una malattia è difficile. È dura per il protagonista della storia, ma è dura anche per tutti i personaggi che orbitano intorno a quel momento così tanto duro da far mancare il fiato.
Provate ad inspirare. Ecco, la sensazione è quella: il cuore non riceve ossigeno e non funziona e sullo stomaco si posa qualcosa di pesante, difficile da mandare giù.
In quel sospiro, vivono milioni di persone, ma soprattutto moltissime donne, madri, sorelle, figlie, nipoti.
In questo mese di ottobre, mi sono messo in ascolto di quel fiocco di color rosa, così bello da vedere, ma a volte fastidioso da indossare, perché il cancro al seno non è solo di chi lo ha, ma è la ferita al petto che si porta ogni persona che condivide con lei un sorriso durante la giornata.
Io ho sette donne nella mia vita: tre di queste, per età ed esperienza, mi ricordano quanto io sia fortunato ad averle quotidianamente, tra gioie, dolori, nervosismi e abbracci, quelli di liberazione e conforto.
Nel 1997, mia madre scopre di avere un cancro al seno. Anzi, per l’esattezza due carcinomi ad entrambi i seni. Pensate ad una donna che scopre di avere qualcosa nel proprio petto, ma di non accettarlo e per paura decide di continuare a lavarsi con una spugna, pur di non toccare qualcosa che non dovrebbe essere lì.
Pensate ad una donna di quasi 50 anni, con tre figli, di 22, 16 e 6 anni.
Pensate ad una donna spaventata, ma discreta, silenziosa, coraggiosa nella sua paura.
Pensate ad una donna che sceglie di ballare, di saltare, pur di dare spazio alla vita.
Ed ora? Ora pensate a chi le sta accanto.
Mio padre, riesco ad inquadrarlo perfettamente.
Un uomo tutto d’un pezzo, uno di quelli che non ha scelto di aumentare le sue attenzioni per lei, perché “si sarebbe accorta che qualcosa non andava”, pur essendo sempre presente a tutte le visite e a tutti i controlli.
Mia madre lo racconta come roccia, come punto saldo, come produttore di vita e sicurezze, quelle che ti si sgretolano tra le mani, tra una ciocca caduta ed un conato difficile da gestire.
Mia sorella, la più grande, ha 21 anni. Milioni di sogni, gli studi da continuare, la paura da figlia e la responsabilità di essere la più grande di casa. È arrabbiata. È arrabbiata che la madre si stia buttando giù, perché per vivere bisogna chiedere alla stessa vita di rimanere qui e solo così la vita può rispondere.
Mia sorella Anna ricorda l’assenza di mia madre per dei mesi interi in cui andava a Messina a fare la radioterapia, perché nella mia città ancora non c’era. Ricorda che quell’assenza era colmata da studio matto e disperato, pur essendo agosto; ma del resto, “era quello che serviva per non pensarci e rimanere positivi”.
La mia seconda sorella, ha 16 anni. Quasi 17, per l’esattezza. Ha una voglia di vivere immane, ma è spezzata da questa notizia; incredula e forse ancora non pronta per capire fino in fondo ciò che significa avere il cancro al seno. Immaginate un’estate da vivere, la preoccupazione nelle vene, ma la spensieratezza tra i capelli lunghi e biondi.
Mia sorella decide di prendere mia madre e portarla con sé al concerto di Eros Ramazzotti.
Mia sorella ricorda quel sorriso e quella voglia di “non pensare al peggio” che aveva portato insieme ai documenti e alla responsabilità nei confronti di sua figlia e delle sue amiche.
E poi ci sono io e ho 6 anni. Sono un bambino attivo e dalla voglia di scoprire il mondo. Mia madre non mi dà modo di capire che sta male, anzi, la sua costante presenza mi dà conferma di quella forza che non si inginocchia alla rinuncia, ma che anzi, vince il dispiacere e sceglie di combattere, ballando. Mi porta a Messina, sua città Natale, e mi dà modo di starle vicino mentre io resto ignaro di tutto.
Prendiamo il treno, un viaggio infinito, di cui mi rimane davvero poco, se non un unico ricordo che coincide con quello di mia madre.
“Mamma siamo arrivati”; la mia voce, il suo sgomento, la fretta nel prendere tutte le cose. Siamo alla nostra fermata e mia madre si era addormentata per la stanchezza.
Quella la ricordo, ma non mi sono mai chiesto il “perché”.
Ecco, chiediamoci tutti il perché.
Quando una donna si ammala di questo male, chiunque la ami si ammala con lei.
Ma la malattia non è solo dolore, non è solo guardarsi allo specchio e chiedersi se si stia cambiando troppo, non è solo perdere sé stessi.
Il tumore al seno è anche ritrovarsi. Ritrovare dentro ognuna la consapevolezza di poter controllare, in alcuni casi prevenire ed in altri curare.
Significa ritrovare la forza di non avere paura, per dare spazio alla voglia di farsi aiutare e di avere quelle persone accanto, che si stringono a quello stesso petto malconcio e che ricostruiscono la voglia di vivere.
Chi sta accanto ad una donna con un tumore al seno, diviene antidoto al dolore, sorriso inaspettato e vita, pura vita.
Da figlio, fratello e zio, chiedo a te lettrice, chiedo a te lettore, di stare accanto.
Stai accanto a te stessa, stai accanto a chi ha bisogno di aiuto e soprattutto scegli di prevenire, controllare, toccare, capire e combattere.
Io sono fortunato. Tanto fortunato. Vorrei lo fossi anche tu.
Un figlio del cancro al seno.
Social Media Strategist, cosentino classe 1991, fluente in 3 lingue.
Laureato in Giurisprudenza per caso, in Marketing e Comunicazione per scelta, ha vissuto a Roma, Milano, Alicante, Boston, Londra… Ma per lui nessun posto è come “casa”.
Eletto vincitore della Hult Business Challenge da una giuria di Google per il suo progetto sui matrimoni calabresi intitolato “WEDDIE”.
Appassionato di viaggi low cost, serie TV e Instagram!