È ormai noto per gli esperti del settore l’iter giurisprudenziale condotto in Europa grazie alla sentenza della CEDU Schalk and Kopf v. Austria, a cui ha fatto seguito la pronuncia Vallianatos v. Grecia, mediante cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha finalmente incluso nella concezione di “famiglia” anche l’unione di persone dello stesso sesso, tutelate nel nostro ordinamento interno all’art. 2 della Costituzione come apposita formazione sociale.
L’orientamento comunitario ha costretto la nostra Corte di Cassazione a mutare – più correttamente, si direbbe, innovare – il suo granitico e quasi irremovibile filone giurisprudenziale medievale: pertanto, già dal 2012 con la sentenza n. 4184, la Corte ha affermato che “la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire naturalistico della stessa esistenza del matrimonio non è più condivisibile, alla luce del mutato quadro sociale ed europeo”.
Qualche tempo più tardi, nel silenzio di Legislatore, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 170/2014, ha esortato il Parlamento ad intervenire e predisporre un regime giuridico che regolamentasse i rapporti delle coppie same-sex da costituire “con altra forma di convivenza registrata, che tuteli i diritti ed obblighi della coppia medesima”.
Costruita finalmente una sorta di identità giuridica anche per le coppie omosessuali con l’emanazione della L. 76/2016, adesso è compito – non si sa di chi nello specifico, e quindi per non commettere errori diremo – della Repubblica, trovare una soluzione ad un altro grande problema dei giorni nostri.
Di chi sono figli quei minori che – per matrimonio o unione dei genitori celebrate in Stati che lo consentono o per altre ragioni differenti – si trovano a vivere all’interno di famiglie omogenitoriali in Italia?
Il 20 Novembre si celebra la Giornata Mondiale dei Diritti dei Bambini. Sono passati ormai trent’anni dalla sottoscrizione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ratificata dall’Italia nel maggio del 1991: i bambini sono finalmente soggetti autonomi aventi diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici.
Come si concilia questa vittoria nella loro vita di tutti i giorni? I bambini esercitano veramente e liberamente il loro di diritto di essere figli e di essere amati a prescindere dal sesso biologico dei loro genitori? Cosa accade, invece, e come sono tutelati i minori se la famiglia omogenitoriale di cui fanno parte si disgrega, posto che l’uno dei genitori non ha legami biologici e tantomeno giuridici con il figlio?
Il Parlamento, sul punto, fa orecchie da mercante e preferisce tacere. E di fronte al silenzio dell’organo preposto a creare le leggi, interviene la giurisprudenza.
Secondo l’orientamento prevalente della Corte Costituzionale, infatti, il riconoscimento della famigerata omogenitorialità spetta al Legislatore, non potendo la stessa sopperire al vulnus normativo e dettare nuove leggi sulla questione.
Già con la sentenza n. 230/2020 del 04.11.2020, tuttavia, la Consulta si era pronuncia sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Venezia in merito alla legge n. 76/2016 sulle unioni civili e al D.P.R. n. 396/2000 in materia di atti dello stato civile, in quanto sarebbero violati i diritti della cosiddetta “madre intenzionale”, magari unita civilmente a quella biologica, nonché quelli del minore, determinando un’irragionevole discriminazione per motivi di orientamento sessuale.
Di rimando, la Corte ha escluso la violazione di qualsivoglia principio costituzionale, ritenendo al contempo di non potersi far carico dell’inerzia legislativa sul punto: spettava e spetta ancora oggi al Parlamento – titolare della espressione popolare e previo opportuno bilanciamento degli interessi in gioco – predisporre una tutela effettiva anche della omogenitorialità.
In via prioritaria, però, qualora si svegliasse dal sonno dell’ignoranza e decidesse di intervenire, il Legislatore dovrà tutelare e quindi tenere conto dei diritti dei bambini, ispirandosi al c.d. principio del best interest of the child, che oggi trova una sorta di tutela, in questo senso, soltanto in via giurisprudenziale, grazie all’istituto dell’adozione in casi particolari.
Il Legislatore, tuttavia, ha deciso di rimanere inerte e non rispondere alle sollecitazioni dell’esterno circa la regolamentazione della fecondazione eterologa, della maternità surrogata, e via discorrendo.
Per fortuna, dalla parte dei bambini, c’è un’altra forma di Stato: la Magistratura.
È di qualche giorno fa la notizia che il Tribunale di Milano ha ordinato all’Ufficio dello Stato Civile del Comune meneghino di riconoscere un bimbo con due papà.
Il Comune, infatti, aveva rigettato la richiesta di riconoscimento di un bimbo figlio di due padri – l’uno italiano, l’altro statunitense – nato, ovviamente non in territorio italiano, con ricorso alla maternità surrogata. Il Tribunale, con idonea e logica motivazione, ha ordinato all’amministrazione di trascrivere integralmente l’atto di nascita dei due papà, già registrati come tali negli Stati Uniti, riconoscendone dunque a pieno titolo l’omogenitorialità anche in Italia.
Il Tribunale, nel motivare la sua decisione, si è conformato ad un recente orientamento della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il rifiuto proprio del Comune di Milano di riconoscere la genitorialità di entrambi i padri. Ha, così, motivato il giudice “l’atto va trascritto e riconosciuto integralmente poiché la tutela del minore non può essere sospesa a tempo indeterminato, nell’attesa che il legislatore vari la normativa”.
Questo è dovuto al fatto che la Corte Costituzionale ha di fatto confutato una precedente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite (la sentenza n. 12193 del 8/5/2019) che riteneva il bimbo nato da maternità surrogata adeguatamente tutelato mediante l’adozione in casi particolari (c.d. Stepchild adoption).
Secondo i giudici del Tribunale meneghino, dunque, ad ogni bambino devono essere garantiti tutti i suoi diritti, a prescindere da chi siano i suoi genitori; questi diritti, oltre che dallo Stato, devono essere tutelati inoltre dai quei genitori con l’esercizio della piena genitorialità.
Ogni bambino è un “soggetto certamente incolpevole rispetto alle scelte operate da coloro che hanno contribuito alla sua nascita”, ha ricordato il giudice di merito.
Un bambino non sceglie da chi nascere e da chi essere amato.
Ciò che conta per ogni bambino, però, è che cresca nell’amore.
Uno Stato di diritto, come si vanta di essere il nostro, dovrebbe finalmente azionarsi e tutelare ogni forma di amore, anche quella che la politica retrograda dei giorni nostri definisce “contronatura”.
In attesa di un pronto intervento o dell’illuminazione divina, ringraziamo gli operatori del diritto che non si limitano alla lettura delle carte processuali ma entrano veramente nelle case e nelle famiglie e, conoscendo le fattispecie concrete, intervengono a tutela dei bambini e di chi li ama.
Classe 1994, nasce e cresce a Cosenza, ma casa sua è il mondo intero.
Avvocato, donna in carriera e aspirante madre di famiglia, è laureata in Giurisprudenza alla LUISS Guido Carli e specializzata in Diritto di Famiglia e Minorile e in Diritto del Lavoro e Welfare, con esperienze di studio presso la Stockholm University in Svezia e la Universidade da Coruna in Spagna.
Ha viaggiato in numerosi angoli della Terra con lo zaino in spalla e la voglia di raccontarli.
Appassionata di letteratura, cucina, esplorazioni e ambiente!