Vi siete mai fermati a riflettere sulle conseguenze reali della mediocrità?
Partiamo dal presupposto che l’italiano, in media, si ritiene – come si dice dalle mie parti – uno spiartu. Se non siete terroni come me, vi informo che il termine è la quintessenza dell’unione fra “furbo”, “scaltro” e “con una marcia in più”.
Si ritiene così spiartu da non sentirsi in dovere di dar conto a nessuno di ciò che è e di ciò che fa. E questo, va da sé, non è certamente da obiettare, sicché ognuno è libero di credere ciò che vuole; fintanto che non intacca la vita e le aspirazioni di qualcun altro.
Immaginiamo di trovarci in un ambiente di lavoro. Se scegliessimo di contestualizzarci nel settore privato, avremmo la percezione apparente che la mediocrità non sarebbe cosa all’ordine del giorno. Si pensa sempre che, infatti, le aziende private – a differenza della pubblica amministrazione – difficilmente assoldino soggetti che non abbiano le competenze adatte per ricoprire il proprio ruolo.
Indovinate un po’? Nulla di più falso.
Il settore privato è l’apoteosi della raccomandazione. C’è sempre il figlio del cugino del nipote di qualcuno, l’amico del politico, e/o quello che non ha neanche finito gli studi. E sapete dove sta la mia frustrazione? Sta nel fatto che spesso neanche si tratta di semplici dipendenti, ma dei vertici della stessa azienda.
Cosa c’entra questo con il famoso soggetto che crede di essere spiartu? In realtà, c’entra tutto.
Chi ricopre ruoli di un certo rilievo, in Italia, si sente fortemente in diritto di spadroneggiare, ma difficilmente in dovere di migliorarsi. Si crede spiartu e uno spiartu non ha certo bisogno di oltrepassare i propri limiti – tant’è che lo stipendio a fine mese gli arriva lo stesso.
Lo spiartu al potere non si vergogna di non conoscere a menadito l’oggetto stesso del suo lavoro; non prova imbarazzo quando ordina a chi sta sotto di lui di risolvere le beghe da lui stesso create; è convinto di saperne di più e meglio di chiunque altro a prescindere e di poter assolvere qualsivoglia funzione perché… beh, perché è uno spiartu, no?
Quello che fa sorridere è che nel frattempo c’è un’intera fetta di popolazione di cui tutti parlano ma che nessuno comprende realmente.
Banalmente, nessuno si chiede davvero come possa sentirsi anche solo una persona: il malcapitato che è costretto ad adempiere a ogni responsabilità e compito che viene automaticamente scaricato su di lui dallo spiartu.
Generalmente, il malcapitato è un soggetto giovane, d’età compresa tra i 20 e i 45 anni, che se lavora nel settore che più gli si confà, gli viene quotidianamente ricordato quanto sia fortunato ad avere un posto di lavoro e che, sebbene le condizioni in cui lavora non siano ottimali, sarebbe un folle a lasciarlo. Se, invece, il malcapitato non lavora o ricopre una posizione che non gli si confà – e se ne lamenta – gli viene detto che è schizzinoso e poco realista e, a tratti, anche un po’ choosy.
Che poi sì, un po’ choosy lo è davvero questo soggetto: non basta mica l’articolo 4 della Costituzione per legittimare l’idea di volerselo scegliere un lavoro.
E sapete qual è la cosa più interessante?
Che il malcapitato, a differenza dello spiartu, impara e pure in fretta.
Si dice sempre che necessità fa virtù.
E sapete come si chiama questa virtù?
Skill.
Lo so che potrei chiamarla “abilità”, ma una skill non si limita a quello. Una skill è la congiunzione perfetta tra abilità e talento, perché dove manca il secondo, interviene la prima con l’apprendimento.
E sapete quante skills esistono e quanto ognuna di esse sia complessa?
C’è la skill di negoziazione, a metà fra il puro lobbysmo e la sottile arte della seduzione verbale; c’è il problem solving, che non è la banale capacità di trovare una soluzione a un problema, bensì l’acuta prontezza nell’anticipare il problema stesso prima che insorga. Il teambuilding, radice imprescindibile del famoso teamwork; la risoluzione di conflitti; il lavorare in maniera redditizia sotto forte pressione.
Ma, in particolar modo, ci sono tre skills che ritengo fondamentali per chiunque interagisca con un qualsivoglia altro essere umano.
Innanzitutto, la comprensione del linguaggio del corpo e dei segnali non verbali, sicché le sfumature di una persona si nascondono principalmente nelle parole che non proferisce e nei movimenti che non è in grado di nascondere.
Secondariamente, l’ascolto attivo e le domande ponderate. Spesso tendiamo a sentire ciò che una persona ha da dire nell’attesa smaniosa e impaziente di rispondere, di dire la nostra e di fornire verità che riteniamo assolute, dimenticando che si chiama “comunicazione” e non “monologo”.
E ultima, ma non di certo per importanza, l’intelligenza emotiva: essere in grado di riconoscere, comprendere, abbracciare e gestire sia le proprie emozioni che quelle degli altri, utilizzandole a vantaggio di tutti.
E sapete perché queste ultime tre sono fondamentali?
Perché insegnano a fare un passo indietro. Insegnano un elemento fondamentale: l’empatia.
E sapete a cosa serve l’empatia?
A fare un passo indietro rispetto a sé stessi e alle proprie convinzioni.
E a trasformare uno spiartu in un leader.
E sapete qual è la cosa più assurda?
Che l’Italia è piena di leader! Sì, lo so che all’inizio vi ho detto che l’italiano medio è quello convinto di essere uno spiartu. Ma la quantità di menti brillanti, acute e con un bagaglio di skills invidiabile è notevole.
Si parla di una gamma infinita di malcapitati, persone che hanno un’etica del lavoro spiazzante, menti creative che vivono ogni ostacolo come una sfida, che fanno dell’entusiasmo la forza motrice delle loro giornate.
Si parla di persone che non hanno voglia di cambiare il sistema: loro ne avvertono il bisogno.
Ma si parla anche di persone che devono combattere contro una vecchia guardia abituata a non porsi troppe domande, a non chiedersi se non ci sia un modo più efficiente per fare le cose, a non interrogarsi sulle conoscenze che non ha. Una vecchia guardia senza skills. Una vecchia guardia composta da membri convinti di essere uno più spiartu dell’altro.
E i veri spiarti? Sotto sotto, forse, l’Italia non sa neanche di averli. È per questo che intere generazioni si sentono abbandonate a sé stesse, incomprese, deluse. Dilaniate dal senso di colpa per non essere in grado di far cambiare mentalità a chi sta davanti a loro. E dilaniate dal senso di frustrazione perché consapevoli che la nuova guardia di raccomandati senza né arte né parte, quando arriverà il tempo, sarà costituita da soggetti loro coetanei che già da ora si sentono… indovinate un po’?
Spiarti.
Vi siete mai fermati a riflettere sulle conseguenze reali della mediocrità?
Perché, non so a voi, ma a me ha rovinato il futuro.
Attivista per i diritti umani, classe 1995, cosentina, cosmopolita, bilingue (Inglese e Italiano, ma ce la sta mettendo tutta anche con lo Swahili!).
Laureata in Politica Internazionale alla SOAS University e specializzata in Diritti Umani alla UCL, entrambe prestigiose università di Londra, completa i suoi studi a soli 22 anni e da lì in poi si dedica ai diritti di richiedenti asilo e rifugiati politici.
A giugno del 2021 si specializza ulteriormente in Comunicazione e Lobbying nelle Relazioni Internazionali presso la SIOI e da luglio dello stesso anno vive e lavora in Tanzania seguendo un progetto per i diritti delle lavoratrici domestiche tanzaniane fino al 2022.
Co-autrice del corto “Non Solo Un Volto” sulla comunità LGBTQI+ cosentina.
Appassionata di politica, attualità, serie TV e scrittura!