Nell’era degli amori digitali, quelli impossibili, travagliati e irrealizzabili continuano a restare sul podio. Ma possiamo ancora definirli, oggi, davvero impossibili?
I mezzi di comunicazione sono più celeri dei piccioni viaggiatori di un tempo, ma alcune riposte stentano ad arrivare. Rimangono solo messaggi apatici e poche emozioni. Reaction e falsi like sui social. In poche parole, il mondo è diventato il posto ideale per farsi rincorrere. Sarà forse per questo motivo che, in Italia, il numero dei single supera quello delle coppie con figli? Secondo l’Istat sarà così fino al 2040. Sarà triste anche il Papa, ma che possiamo farci? È colpa dell’ inflazione che colpisce tutti, anche le relazioni.
Sono tre gli ingredienti di un amore impossibile. Li riconoscete?
Il primo: la pazienza di aspettare, di continuare a sperare, di restare appes* dall’altra parte del filo. Il problema ora è che il matrimonio di Jennifer Lopez e Ben Affleck rischia di rafforzare lo stereotipo dell’amore paziente, ma è un po’ come la favola di Cenerentola. Fate attenzione.
Il secondo: la perseveranza di nutrire ciò che non è. Tessere le tele di questi amori impossibili per paura di sciogliere i fili e vedere che in fondo non c’è nessuna anima gemella. Nessuna tela, nessuna Penelope, nessun Ulisse. Solo fili, ingarbugliati, che abbiamo annodato da qualche parte per sentirci legati a qualcun* e meno sol*.
Il terzo: la paura di non essere l’altezza di un amore vero, di non meritarselo. Perché se non fa soffrire che amore è? Persino Carrie Bradshow è caduta nella trappola del “non è abbastanza doloroso” quando ha incontrato quel bravo ragazzo di Aidan, nella terza stagione di Sex and the City.
Senza fare distinzioni di genere, ciò che è irraggiungibile continua ancora a non stancare chi ha il cuore in lotta. Come se l’idea di un certo tipo di emozione sia l’unico senso: quello di ogni cosa che c’è, anche quando un senso, in fondo, una relazione non ce l’ha affatto, parafrasando qualcuno.
Anni e anni di conquiste, di emancipazione, di evoluzioni antropologiche e si portano ancora addosso gli strascichi dello Sturm und Drang e del Romanticismo dell’Ottocento. Figli dell’ancor prima “Dolce Stil Novo” e di quell’amore eternamente in bilico, se pur gentile (il grande paradosso), tra l’inferno e il paradiso. Ma siamo davvero così sicure, o sicuri, che serva oltrepassare i gironi dell’inferno e poi quelli del purgatorio prima di raggiungere l’apice della nostra felicità amorosa?
E se in realtà fosse semplice, ma proprio perché tale non ce lo ha insegnato nessuno?
Amare le cose complicate dovrebbe passare di moda. Ma gli amori sono difficili, ce lo dice anche Calvino.
Da Romeo a Giulietta, da Wherter a Charlotte, da Heathcliff a Catherine, da Cyrano De Bergerac a Rossana. La letturatura, classica e moderna, è piena di amori impossibili, segno che la vita reale, ahimè, ne abbia sfornati molti di più o che siamo figli e figlie di una narrazione romantica che rafforza e normalizza “il tormento amoroso”?
D’altronde, Roland Bhartes, saggista, critico letterario, linguista e semiologo francese, nel suo Frammenti di discorso amoroso, edito da Einaudi, prova a dare un senso alle fase dell’innamoramento, imbastendo la struttura di un discorso amoroso che l’innamorato ha con sé stesso, fornendo una rotta da seguire per capire sentimenti.
Secondo il saggista francese, l’innamorato s’identifica dolorosamente con qualsiasi persona (o personaggio) che nella struttura occupi la sua stessa posizione. Esiste quindi una schema nelle relazioni che viene riproposto ogni volta, in base al grado di amore che si prova per sé stessi e per l’altr*. Ecco spiegato perchè, ad esempio, siamo attratti sempre dagli stessi libri, in linea di massima.
Il punto è che un’opera memorabile nasce sempre da un dolore, da un qualcosa che manca. Da qualcuno che vorrebbe travolgere la vita di qualcun altr* ma è ostacolato da un qualcosa, spesso un sentire unilaterale. Allora si è fortunati solo se ha un talento creativo, perché con quello può guarire e può curare chi come lui o lei è innamorato dell’amore.
Senza gli amori impossibili non esisterebbe la metà del patrimonio culturale e artistico mondiale. Sono il motore del mondo, ma bisogna imparare dagli amori che non ce la fanno. Non restarne schiacciati. Altrimenti a cosa è servito il sacrificio?
Ad oggi, le coppie che incontrano maggiori difficolta a dimenticarsi, sono quelle che non si sono mai conosciute davvero. Quelle che hanno avuto paura, ancor prima di cominciare. Effetto collegato alla paura di innamorarsi. Meglio rifugiarsi nel dolore di un amore impossibile: ciò che mai inizia mai finisce.
Ecco perchè alla fine resta la certezza di riconoscersi nelle parole del giovane Werther, in quelle di Catherine, in quelle di Heatcliff perchè chiunque, in fondo, conserva nel proprio armadio lo scheletro di un amore mai nato. Ma quell’amore resta sempre lì: al buio, nell’angolo, coi vestiti vecchi. E allora perché non disfarsi di quell’ammasso di “poteva essere… e invece”, “poteva chiamarmi e invece”, “avrebbe potuto ma”?
In Amori Ridicoli, Milan Kundera spiega questa tendenza umana così bene: “anche la gioia che dà la presenza dell’uomo amato si prova meglio in solitudine. Se quella presenza fosse ininterrotta, sarebbe presente solo nel suo incessante fuggire. Trattenere quella presenza è possibile solo nei momenti di solitudine”.
Riassumendo: la sofferenza piace, idealizzare pure! Un libro senza pathos emotivo non sarebbe interessante, così pensiamo sia lo stesso per l’amore.
Concetto questo riassunto anche nelle parole di Chaterine, disegnata da Emily Bronte in Cime Tempestose. La protogonista, paragonando Linton il suo amore “facile” a Heathcliff il suo amore tormentato dice : “Il mio amore per Linton è come il fogliame nei boschi: il tempo lo muterà, nel sono ben consapevole, come l’inverno fa mutare gli alberi. Invece, il mio amore per Heathcliff assomiglia alle rocce eterne che stanno sottoterra: una fonte di gioia poco visibile, ma necessaria”
La riflessione, a questo punto, sorge spontanea: ma oggi, con la libertà di vivere il nostro tempo, di viaggiare, studiare, vivere la sessualità, scrivere e pensare, di chiamare chi vogliamo in ogni momento, abbiamo ancora bisogno di avere un amore impossibile per sentirci vivi?
Direi che i nostri cari amori impossibili non abbiano ragion d’essere.
Esistono solo amori non corrisposti, e bisogna chiamarli con il loro nome, senza alibi. Si tratta di amori poco coraggiosi, dolorosi come non mai, che hanno il compito fondamentale di metterci a nudo. Di spogliarci di tutte le nostre credenze limitanti per poter riprendere in mano la nostra vita e ripartire, insiti e insite di una nuova lezione di vita.
Della serie: è stato bello quello che non è stato, eccitante e adrenalinico. Sicuramente ti avrà fatto vacillare, ti avrà tolto la terra sotto i piedi, tanto da sentire un vuoto d’aria pur restando a terra. Ma ad un certo punto si ha voglia di un amore facile, che conosca l’arte di restare.
Un amore che nutra non prosciughi, che calmi e non agiti.
Un amore coraggioso, che provi ad amare anche se non sappia minimamente da dove iniziare.
Un amore che abbia il silenzio della quiete dopo tutta questa tempesta.
Un amore mortale, che abbia un inizio e una fine.
“La carne ci vuole poco a soddisfarla, è il cuore ad essere insaziabile” – Némirovsky
Cor habeo.
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Nasce a Cosenza, nel 1991. Laureata in discipline economiche e sociali, consegue due master presso il Sole24ore in Digital PR: addetto stampa e social media, e in Data Protection. Oggi si occupa, tra le altre cose, di sistemi di gestione, privacy e anticorruzione: risolve problemi da quando è nata.
I suoi interessi sono in continua evoluzione, proprio come lei. È la curiosità che la muove, insieme al cuore.
Ama in maniera viscerale tutto ciò che ha a che fare con le parole: comunicare è il suo unico modo di stare al mondo. Non può vivere senza poesia e ai suoi occhi tutto è bellezza e combatte con la sua tendenza a innamorarsi ogni giorno. Adora scrivere, leggere, dipingere, ballare senza regole ed esplorare tutto ciò che si trova “dentro”, in quello spazio vuoto, interiore, che ci rende umani e non solo uomini. È alla continua ricerca dei suoi talenti, convinta di averne qualcuno, senza aver ancora capito quale. Sognatrice e falsa cinica, scrive per mettere in ordine le idee e capire chi è, ma vive nel caos dei suoi pensieri.