Ma che ne sanno gli altri di Gazzelle

"Caro Flavio: ci rivolgiamo a te come se tu rappresentassi tutte le persone della nostra vita alle quali abbiamo bisogno di dire qualcosa. Ne usciremo migliori? Abbiamo alcuni dubbi."

Una delle cose più buffe che potesse riservarci il 2020 sono le tue canzoni, sfornate in quarantena e post lockdown. Eh sì, perché da solo non bastava quest’anno di merda.
Ci voleva pure la colonna sonora di Gazzelle per renderlo memorabile.

Tisana, camino, coperta e Flavietto nelle cuffie.
E andiamo a conquistare la zona rossa.

Caro Flavio: vogliamo farti capire cosa si prova a vivere attraverso le tue canzoni.
È un viaggio complesso, pieno di analisi sentimentali. E grammaticali.
Ci rivolgiamo a te come se tu rappresentassi tutte le persone della nostra vita alle quali abbiamo bisogno di dire qualcosa.

Ne usciremo migliori? Abbiamo alcuni dubbi.

Caro Flavio, ti sei mai chiesto perché sapessi un po’ di torta al cioccolato, perché sì… durante il lockdown ho detto di no alla dieta.
Che poi, riflettendoci su, la torta al cioccolato è la perfetta metafora dell’amore. Umida, appiccicosa, si posa sui fianchi, ma non ne puoi fare a meno. Crea dipendenza, modifica le tue abitudini, vorresti solo lei e nient’altro al mondo.
Pensandoci, salteresti tutti i pasti (o tutti gli impegni) per quella fantomatica torta al cioccolato, per averne anche solo una misera fettina.

Che poi, i fiori non li calpesterei Flaviù! No, proprio no.
Degli essere così fragili e belli, no non farei loro del male.
Ah, aspetta! Forse ti riferisci al non farsi del male, a reagire con vigore! Ah, allora ok.

Flaviù, il locale si è svuotato intorno a mezzanotte e mezzo.
Probabilmente è il lockdown soft, tu in che zona sei? Io rossa, quindi da me il locale non ha aperto proprio.
Forse il locale ha chiuso perché la musica era diventata scadente e le solite facce truci si erano stancate l’una dell’altra.
Che poi, un locale svuotato è come la vita che attraversa varie fasi: il locale pieno è la giovinezza spensierata; il locale vuoto è la maturità, selezionare poche cose, ma buone, rimpiangendo sempre il caos giovanile.

Flaviù è vero, sembriamo quasi amici, nella canzone e nella realtà!
Peccato però che lo siamo e non ne veniamo fuori. Dai è semplice… Ma no!
Mi viene in mente il baciarsi e mettersi a ridere, prendersi a pizzicotti o guardarsi profondamente. Sempre come amici, eh.
Amici, compagni di avventure o di sventure allegre e sì, di risate, quelle di pancia, quando non riesci a smettere finché non ti escono le lacrime e non riesci più a respirare.

Forse no Flaviù, non ci capiamo. Ci piace perderci e non capirci niente.
Ebbene si, è una presa a male che non c’è, perché nessuno è come te!
Che poi, non capisco alcune volte  i testi delle tue canzoni ma mi ci ritrovo dentro, incastrata, come te forse, che cerchi di raggiungere la tua presa a male. Che è lì che ti aspetta, che sì, fa schifo come te.
Ed è questo il bello.

Fare schifo insieme, perché Flaviù è veramente punk gettarsi nella vita senza se e senza ma!
Destro, gancio, Jab…
La vita è un incontro di Boxe, dove tu ti alleni, ti alleni, ma alla fine Flaviù, ne esci con il naso rotto, un occhio nero… ma con dei pantaloncini veramente trash!

Salgo sul ring, con lo sguardo vincente.
L’avversario non deve mai vedere che stai tremando dalla paura, che dici Flaviù? Inizio?
Mentre combatto però, ricordo tutto, come un perenne flashback di gioie e dolori che mi fanno sentire realmente vivo.

Ricordo tutto Flaviù!
Mi ricordi, mi ricordavi il mare, le notti senza pensare, svegliarsi senza un orario e godersi solo le onde in tavola e il tramonto. Come una stagione dell’eterna giovinezza, dove non invecchiamo mai e non cresciamo mai.
La stagione dove ogni sentimento è invincibile, dove sono io ad essere invincibile.

Mi ricordavi le luci di Natale, perché sei in tutte le stagioni.
Ballare fino a non sentire più niente, stringersi sino a sentire un calore familiare che solo le feste sanno dare.
Ricordarsi un passato non troppo lontano, ricordarsi la gioia e la spensieratezza.

Mi ricordavi le quattro del mattino, come se fosse la vita di un’altra persona, come se fosse un’altra era o solo una dimensione diversa della nostra realtà.
Mi ricordavi le Winston Blue smezzate, perché ora non si può smezzarle Flaviù, ma fumarle insieme sì.
Che poi non sono neanche Winston, ma quelle sottili a cui mi hai abituato tu.
Mi ricordi che smetto di fumare ogni giorno ed il giorno dopo inizio nuovamente con te.

Ma dopo i ricordi, continuano i colpi, destri, destri, destri a ripetizione, che ti riportano alla realtà, ma non alla realtà che volevi, non ti riportano qui.
L’adrenalina che scarichi, come il bruciare in una notte, che non dimenticherai e che non dimenticherà te, che ti faceva  stare bene, mentre scherzando mischiavi romano e l’inglese o forse erano latino e cosentino.

Non lo so più, ma continuo a salire su quel ring e a prendere a colpi la vita.
Sì Flaviù, delle cose che dici ne conosco la metà, perché probabilmente sei di una pesantezza estrema.
Di tutti i tuoi amici me ne importa la metà, perché chi si assomiglia si piglia e sì, sono uguali a te.

Non  mi riconosci più, perché ad essere sinceri, sono rinata senza te! 
Sì, quella faccia me l’hai regalata tu, non perché ti sei improvvisamente laureato in medicina con una specializzazione in chirurgia plastica, no…
Semplicemente perché, se ti vedo, l’espressione quella è!

Come faccio a spiegarti che oramai non ti odio più? L’odio è pur sempre un sentimento e sinceramente provarlo per te è uno spreco di tempo ed energie, preferisco guardare l’ennesima serie di Natale su Netflix!

Ora lo sai, la luna di notte non ci scalda più, è novembre, ho freddo e tu non hai stufe che funzionano.
Un po’ come il tuo cuore, rinchiuso in uno strano torpore in un bosco lontano.
È romantico sì, ma rischio ad ogni incontro una polmonite e forse non vale la pena gelarsi il cuore così.

Le bombe alla crema te le concedo, ma i morsi sulla schiena quelli no. Usi i canini e non sei Lestat!
No, non mi va di andare al mare e per dirtelo io vuol dire che mi sono veramente stancata.
Tu dove vuoi andare? Bali? La Polynesia? Non lo sai? Vuoi che ti guidi io?
Credo sia ora di dire che è il momento di agire. Sì, agire o forse è meglio fantasticare.

Flà, “scusa” dovresti chiederlo tu a noi.
Non puoi sferrare questi destri in un mercoledì qualunque. E no che non puoi. Perché con una canzone del genere ci manca pure la prima cotta dell’asilo. Il fatto che tu ripeta scusa, scusa, scusa, scusa ci fa capire che lo sai benissimo che gli accordi che hai usato fanno male.
Perché sono un disastro, ok, chi se ne importa, non può essere la tua scusa per sempre. È come dire “eh ma io sono fatto così“.

E no Flaviè, stammi a sentire: apri il balcone e respira un po’ d’aria a pieni polmoni. Perché non è mica così che le storie che finiscono, finiscono male.
Come vorrei conoscere una tua ex… ammesso che siano rimaste in vita. Scusa, è che corre tutto veloce un po’ e resto con le spalle all’angolo.

Infatti siamo già a novembre 2020 e non abbiamo potuto visitare né il Messico e né Civita di Bagnoregio, quindi tieni i piedi per terra senza illuderci che con una canzone possiamo andare ovunque perché no, non è così. È come la storia delle tue ex. Mai come quest’anno.

Che poi lo sappiamo tutti che in realtà cerchi solo e soltanto di sentire addosso un po’ di normalità e che ti perdi in un bicchier d’acqua. Sappiamo tutti che vorresti sentire quell’adrenalina addosso tipo la notte prima di un viaggio, di un sogno, di una speranza.
E scusa, se siamo capitati in questo 2020. Non è colpa di nessuno.

E non sentirti sbagliato, Flaviè.
Hai presente quella sensazione strana che provi quando ti dicono:
E tu sei come volevo.
E tu sei come veleno.
A confermare che sì, eri come volevano però poi ti sei rivelato un totale disastro. Capita spesso anche a te eh? E pensa che non puoi neanche dire “faccio le valigie”.

Quante canzoni abbiamo scritto tutti noi in questi giorni infiniti Flaviè. Ma quante? Tante.
Talmente tante che “scusa” dovresti chiederlo tu a noi. L’ho già detto? E vabbè, che sarà mai!

Che poi, tu dici sempre di guardare su, di non fermarsi mai alle apparenze, ‘nsomma.
Guarda il cielo, ad esempio, che da lì non scende sempre e solo una Lacri-ma. Ci sono le nuvole bianche, soffici. Non ti fanno sorridere? Ah no? Tipo alla Salvini, ok. E mi fa un po’ male. Sapessi a me.
Perderti dentro la pioggia, sono le otto di sera.
Vivere non è poi male se ti sai asciugare.

C’ho messo un po’ per capire cosa stessi cantando, credimi. Non so, hai come invertito la consecutio temporum che governa il perfetto equilibrio del mondo. Come questo scritto, del resto.

Sei confuso Flaviè? Benvenuto nelle tue canzoni.
Che sono per tutti noi un po’ casa… perché fondamentalmente restano sempre uguali.

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