Loro furono Luigi Pirandello e Massimo Troisi

"Massimo Troisi ha voglia di chiacchierare, come sempre, e senza la minima esitazione si siede a fianco a Pirandello interrompendo quel silenzio e cominciando a parlare."

Immagino un luogo molto lontano, forse neanche troppo; un posto che alcuni chiamano Aldilà, altri Paradiso, e per altri ancora questo posto non esiste. Qui però, dove il tempo è sospeso, c’è un angolo con una panchina che si affaccia su un eterno tramonto sul mare. 

Immagino Luigi Pirandello seduto qui, ad ammirare queste calme acque tinte d’arancione: ha le gambe accavallate e una mezza sigaretta in mano. Indossa un completo blu scuro anni ’30 e un cappello, quello che ha sempre nelle fotografie che lo ritraggono sui libri di scuola. 

Immagino Massimo Troisi che sta sopraggiungendo fischiettando con una passo lento, ha le mani in tasca, una camicia azzurra con le maniche arrotolate e uno sguardo entusiasta appena riconosce chi c’è a pochi metri da lui. 

Massimo ha voglia di chiacchierare, come sempre, e senza la minima esitazione si siede a fianco a Pirandello, interrompendo quel silenzio e cominciando a parlare, anche se non sa bene cosa dire, come iniziare il discorso. È un po’ impacciato, ma non si scoraggia. Improvvisa, come solo un bravo attore come lui sa fare. 

<< Maestro, che onore incontrarvi! Sono anni che ci penso, e secondo me noi due abbiamo molte cose in comune: siamo del Sud, amiamo il mare, il teatro…  Però se posso permettermi, secondo me Voi parlate troppo difficile. Sissignore, quando io studiai Sei personaggi in cerca d’autore, ad un certo punto mi perdevo, troppe parole! 

Pirandello finalmente distoglie lo sguardo dal mare, si gira e divertito gli risponde: << Chi fa teatro ama i giri di parole, dovresti saperlo. >>

<< Ma così uno rischia di perdersi in tutti questi giri! Nella vostra opera teatrale Voi dite una frase che mi ha sempre affascinato: E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Sono parole meravigliose, ma….>>

<< Ma? >> chiede perplesso Pirandello

Massimo fa un bel respiro e prende coraggio , << Scusatemi ma io non sono d’accordo con Voi. Uno non è che può parlare in funzione di quello che l’altro potrebbe capire, altrimenti usciremmo tutti pazzi! Più che una conversazione diventerebbe un manicomio! Anche perché io che ne so del mondo che uno ha dentro? Mica sono un indovino!

Io sono responsabile di quello che dico, non di quello che capisci tu. >>

 << Sai, Massimo…posso chiamarti Massimo? >>

<< Eccome No?! >> Risponde prontamente con un inconfondibile accento napoletano.

<< Questo è il problema che affligge da secoli gli uomini: la difficoltà a comunicare, ad esprimere realmente ciò che si è e cosa si prova, senza filtri. Vedi, questo è il concetto delle maschere, ognuno nella società interpreta un ruolo, non è mai in fondo veramente se stesso. Nel teatro chiamato Vita, recitare senza una maschera risulta davvero difficile. È più facile nascondersi, fingere ciò che si è e ciò che si prova realmente. Di conseguenza è veramente difficoltoso parlare, comunicare con gli altri. Anche una semplice conversazione, in realtà non è mai semplice. Si dà per scontato che quello che a me non dà fastidio “sicuramente” non darà fastidio a nessuno; ciò che a me fa emozionare, farà emozionare tutti; se io affronto in un modo una situazione, mi aspetto che gli altri la affrontino alla stessa maniera. Viceversa, quando questa “regola” non viene seguita, il fraintendimento, l’incomprensione e la delusione sono dietro l’angolo, e ciò avviene più spesso di quanto pensi. >>

<< Oh, allora lo vedi, cioè scusate, lo vedete che ho ragione io! Ora vi spiego il mio punto di vista, tanto abbiamo tempo. Lo sapete quante volte mi è capitato di discutere con la gente perché io dicevo una cosa e gli altri la interpretavano diversamente? Voi non avete idea! Se io sono timido e non  faccio complimenti apertamente, è un problema altrui se capiscono che non li stimi veramente. Io sono riservato, non faccio mai domande di troppo perché non voglio sembrare invadente; eppure sono sempre stato rimproverato di menefreghismo nei confronti degli altri. Io sono fatto così, è un problema degli altri se interpretano male le mie parole e i miei silenzi. >>

<< È un problema di tutti in realtà, perché diventa difficile intrattenere rapporti umani; è come se parlassimo lingue differenti. Crediamo di intenderci ma non ci intendiamo mai. Non conosciamo le ragioni profonde che spingono le persone a fare determinati gesti, a dire determinate frasi. Diamo per scontato che le parole e i comportamenti siano universali ma non è così, ognuno le usa a modo proprio. Siamo dell’idea che se per me un gesto, un’attenzione è superflua, lo è anche per gli altri; invece magari per loro è fondamentale. Lo hai appena detto anche tu: se non fai complimenti, non è perché in realtà non ammiri gli altri. Nel tuo mondo vive la timidezza, ma chi non lo sa crederà che tu sia un apatico perché nel loro mondo chi non manifesta palesemente la propria ammirazione, coltiva indifferenza verso il prossimo.  >>

<< Non ci avevo mai pensato, ma allora così non ci capiremo mai! È come se parlassimo tutti da soli! >>

<< Certo che no! È difficile comunicare ma non è impossibile; la vita è fatta di compromessi. >>

<< E se uno vuole essere sicuro al 100% di capire l’altra persona come fa? >>

<< Ci vuole quella sintonia, quell’affinità elettiva. La compatibilità tra anime è rara, ma alla fine già se ne trovi una, sei molto fortunato. Quelle persone con cui non servono parole, ma basta uno sguardo d’intesa. Ci si conosce talmente a fondo che le parole sono superflue, così non c’è il rischio di fraintendersi. Le anime hanno un loro particolare modo d’intendersi, d’entrare nell’intimità, fino a darsi del tu, mentre le nostre persone sono tuttavia impacciate nel commercio delle parole comuni, nella schiavitù delle esigenze sociali. >>

<< Chiedo scusa Maestro, ma alla fine questa affinità si basa sempre su una forma d’amore, giusto? >>  

Pirandello annuisce con il capo e Troisi sempre più entusiasta continua il suo ragionamento.

<< E allora siant’a me: L’amore è quella cosa che tu sei da una parte, lui dall’altra e gli sconosciuti si accorgono che vi amate. Chest’è >>

<< Allora tu hai copiato le mie parole! Ad occhio e croce sono più vecchio di te. >> lo provoca bonariamente. 

<< No, per carità, sono parole totalmente diverse, ce ne fosse una uguale >>.

Pirandello scoppia a ridere, d’altronde come si a fa a resistere all’umorismo di Troisi? 

Continuano a contemplare il mare in silenzio, soddisfatti dell’apprendimento reciproco

A Massimo però il silenzio non piace molto.  << Tra le tante cose che abbiamo in comune, c’è anche la morte: i nostri cuori erano troppo deboli. >>

Pirandello riflette su quelle parole e sul tono malinconico di Troisi : << Credo che non sia corretto parlare di debolezza, piuttosto di fragilità. Noi ci abbiamo messo il cuore nel teatro, in tutto ciò che abbiamo fatto e ciò ci ha ricompensato. Siamo ancora vivi nella realtà, la gente continua a parlare di noi. Quando eravamo in vita i nostri cuori hanno battuto tanto e forte,  si sono emozionati e non hanno retto alla gioia. Forse è il modo migliore di morire. >>

Troisi sorride, non aveva mai pensato che il suo cuore si fosse ammalato per la troppa felicità.                    

<< Si sente che Voi siete un poeta, le parole le sapete proprio usare. >>

<< Vero, ma tu mi insegni che la poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve. >>

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