Ultimo minuto di tapis roulant. La palestra è piena e tu stai sudando davvero tanto. Tre, due, uno.
Ti aggrappi alla macchina, finisce l’allenamento. Saluti qualcuno, poi dritto nello spogliatoio: è pieno. E ora che cavolo fai? Devi farti la doccia, sei grondante. Ma davvero vuoi toglierti la maglietta? Sei lontano dagli addominali scolpiti. Sei molto lontano anche dal petto di quello di fronte, tanto muscoloso da non entrare nello specchio. Anche in quanto a peluria, la schiena è piena. Poi noti che c’è il tuo amico, quello che fa sempre la solita, divertentissima battuta: hai portato lo shampoo? Che ridere, già, visto che i capelli non li hai. Stai seduto altri venti secondi, poggi la schiena e butti la testa dietro, per far vedere quanto sei stanco. Forse tanto da non riuscire a lavarti lì. Intanto, dalla doccia, escono solo dei novelli Momoa. E poi, parliamoci chiaro, il vero problema sarebbe togliersi le mutande. È insopportabile, essere fissati lì sotto…
Non è facile parlarne, ma il problema esiste anche per gli uomini: il body shaming è una piaga senza genere. È definita così la denigrazione di una persona a causa del suo aspetto non aderente agli standard della società. Tematica storicamente femminile, al centro di numerose battaglie social e non, ha le sue radici nel machismo che ci influenza dalla nascita, così come accade con tutta la società. Quell’ideale, irraggiungibile, ossessiona anche i maschietti, ma la differenza è che ha la forma del corpo di uno dei modelli D&G, per le parti non coperte dal costumino bianco. Per il resto, non si parla di forma, ma di misura: il consumo di porno non fa che creare aspettative in tal senso – e non solo sulle performance, come Gordon-Levitt in Don Jon.
La necessità tutta maschile di essere virili, è un concetto fortemente radicato nella nostra cultura, che ci costringe ad agire inseguendolo, e finisce per essere il principale motivo per cui le vittime di body shaming non si riconoscono come tali. Semplicemente, per loro, non è un problema: esternare il disagio che si può provare a subire tali violenze è, a tutti gli effetti, un’espressione di debolezza che non si può conciliare con l’immagine del “vero uomo” – del resto, Boys dont’ cry, cantavano i The Cure. L’uomo diventa, così, una spugna, che rischia di assorbire tanta violenza, lasciata lì a marcire, da non poter più liberarsene: le conseguenze di questo autentico attacco alla persona e alla sua identità si trasformano in ansia, bassa autostima, depressione, dismorfofobia, fino ad arrivare disturbi tipici dell’alimentazione (dall’anoressia all’abuso di steroidi).
Diverse ricerche hanno dimostrato che altissime percentuali di uomini, simili (se non uguali) a quelle femminili, provino forte disagio con il proprio corpo, e in tantissimi hanno subito violenza verbale a causa del loro essere “troppo grasso” o “troppo secco”. A volte, questa violenza, si cela subdolamente dietro espressioni che sembrano docili, ma che colpiscono. La “pancia da birra” o il “dad bod” non sono state perdonate nemmeno a DiCaprio e Momoa, giusto per citarne due che sono stati a lungo sbandierati come massima espressione di macho figo e palestrato.
E no, quei commenti non solo critiche. Quella faccia sorpresa quando lui è più basso della sua compagna, quella battuta sul fisico da “sollevatore di forchette”, quello è body shaming. E lo è anche quel “non ho sentito niente perché lo ha piccolo”. Anzi, questo ha un nome ben specifico: dick shaming. In questo caso, il problema della virilità (basta nascondersi: tossica) è più che evidente. Un attacco alle dimensioni del pene è un attacco diretto alla virilità di quella persona. In una società fortemente sessualizzata, quella in cui vige la “regola della L”, il sillogismo è servito facilmente: un “vero uomo” dimostra virilità con il sesso, il sesso fa godere il partner se hai un pene lungo, un “vero uomo” deve avere un pene lungo per essere virile. Un modello sociale al quale è difficilissimo opporsi: nessun allenamento o dieta può cambiare la situazione lì sotto. Ed è proprio questo che crea i sentimenti di oppressione più forti e gravi: non avere il controllo delle proprie dimensioni e sentirsi derisi ed in difetto per questo, può avere ripercussioni sul modo in cui la vittima vive il sesso e la sua posizione in società a causa di ciò.
Body shaming, dick shaming e mascolinità tossica vanno, evidentemente, di pari passo. E pensare che sia un problema esclusivamente femminile è solo la conferma del fatto che qualcosa deve cambiare. Gli stereotipi sono nella testa di tutti e non risparmiano nessuno: la necessità di normalizzare il corpo è un obiettivo concreto, l’unica via per mettere da parte qualsiasi malsano paragone all’ideale che ci viene sparato in faccia ad ogni cartellone pubblicitario. Certo, qualche passo in avanti è stato fatto: prodotti di skincare maschili, smalti e borse (finalmente) sdoganati come accessorio senza genere, ma la strada da fare è ancora molto, molto lunga. E finché ci convinciamo che sia necessario avere qualcosa di ancora più lungo fra le gambe, più sarà difficile cambiare.
Non siamo costretti a seguire nessun tipo di modello, nessun attore potrà mai rappresentare un ideale, a maggior ragione se questo rappresenta l’ennesimo esempio di machismo, utile solo a mettere pressione a chi non si sente al proprio posto nel mondo, anche per via del proprio corpo. L’unico target da raggiungere rimane il nostro benessere, mentale e fisico. Basta allenamenti punitivi dopo il sushi all-you-can-eat con gli amici, basta digiuno serale dopo la pizza a pranzo. Basta vergognarsi della stempiatura, basta pensare che possa essere importante per qualcun altro. Tutto ciò che conta siamo noi e la nostra voglia di prenderci cura della nostra persona. Body positivity è la formula chiave, anche nel mondo maschile: lontano da qualsiasi estremismo e qualsiasi imposizione (sarebbe paradossale se fossi “costretto” ad amare la tua immagine, no?), lascia che sia tu a decidere come vuoi il tuo corpo, fai in modo che l’idea di perfezione (ammesso che esista) non esca mai dai limiti delle pubblicità, di Instagram e della televisione. Abbatti il preconcetto del “vero uomo”, aiuta la creazione di quello della “persona vera”, in piena sintonia con la tua voglia di vivere e di viverti come sei, nei tuoi bellissimi limiti. Togliti quella maglietta, una volta finito l’allenamento. Non è una corsa, non c’è un traguardo da raggiungere, se non il tuo benessere.
Cosentino, nato nel 1992, diventa avvocato dopo aver preso un Master in Diritto Penale d’Impresa e vissuto qualche esperienza lavorativa fra Londra e Berlino.
Incuriosito da tutto ciò che la mente umana riesce a partorire, si appassiona facilmente ai mondi immaginari dell’universo nerd, al cinema, alla musica e ai videogame. Adora lo sport, mastica politica, mangia qualcosina di economia e afferma insistentemente che diventerà il re dei pirati!