Dalle annose questioni “calcuttiane” sulle dosi di paracetamolo (il principio attivo della tachipirina®), fino ai più comuni equivoci sulle sue funzioni e usi. Ecco le 5+1 cose che non sapevi (di voler sapere) sulla tachipirina.
1. La tachipirina non è un antinfiammatorio.
Nonostante sia spesso accomunato ai farmaci antinfiammatori (più propriamente chiamati FANS, Farmaci Anti-Infiammatori Non Steroidei), il paracetamolo non fa parte di questa categoria. La sua azione è prevalentemente analgesica (calma il dolore) e antipiretica (abbassa la febbre), mentre l’attività antinfiammatoria è minima. L’esatto meccanismo d’azione non è ancora perfettamente chiaro, ma certamente non è quello dei FANS!
2. La tachipirina non “buca” lo stomaco.
I FANS agiscono bloccando due proteine (ciclo-ossigenasi 1 e 2) importanti nel promuovere l’infiammazione. La ciclo-ossigenasi 1 esercita anche una funzione protettiva nei confronti dell’acido normalmente prodotto dallo stomaco: quando viene inibita, l’acido è quindi libero di attaccare le pareti dello stomaco. Per il paracetamolo, tutto questo non vale. Non avendo lo stesso meccanismo d’azione di un antinfiammatorio, l’azione lesiva sullo stomaco (e sul resto dell’intestino) è pressocché nulla. Non ha quindi particolare senso assumere il paracetamolo a stomaco pieno o associarci un inibitore di pompa protonica (gergalmente chiamato “gastroprotettore”).
3. L’effetto della tachipirina è potenziato dal caffè.
La caffeina ad alte dosi viene utilizzata come adiuvante analgesico. In buona sostanza, pur non avendo un effetto antidolorifico diretto, è in grado di aumentare l’efficacia di alcuni farmaci analgesici, tra cui il paracetamolo e certi antinfiammatori. La caffeina a dosaggio terapeutico (almeno 100 mg) rende più rapido, più duraturo e più potente l’effetto antidolorifico del paracetamolo. Esiste infatti una specifica formulazione in cui si associano paracetamolo e caffeina, particolarmente utilizzata per diverse forme di cefalea.
4. L’antidoto per l’intossicazione da tachipirina è il fluimucil®.
Il paracetamolo è la causa più comune di insufficienza epatica acuta negli Stati Uniti, e in buona parte del mondo occidentale. A volte si tratta di reazioni cosiddette “idiosincrasiche” (cioè dipendenti da una suscettibilità individuale, simili per certi versi all’allergia), ma nella maggior parte dei casi, è dovuta ad un’assunzione eccessiva. Per smaltire il paracetamolo assunto, il fegato lo trasforma in diversi sottoprodotti (metaboliti): uno di questi è estremamente tossico, ma viene normalmente bloccato dai sistemi antiossidanti del nostro organismo. Nel caso in cui questi sistemi vadano in sovraccarico, questo metabolita tossico è libero di agire sulle cellule del fegato, determinandone la rottura. In caso di intossicazione, l’antidoto è l’acetilcisteina – cioè il principio attivo del fluimucil® – che viene somministrata direttamente in vena.
5. 500 mg è la dose corretta, quasi sempre.
Da molti considerata la dose pediatrica, in realtà 500 mg è la dose di paracetamolo raccomandata nella maggior parte dei casi, nonché l’unica vendibile come prodotto da banco in Italia. La formulazione da 1000 mg è indicata come “antidolorifico nei dolori importanti” ed è prescrivibile unicamente dal medico. Nella maggior parte dei casi, la dose da 500 è sufficiente ad ottenere l’effetto desiderato, ed è ripetibile nel corso della giornata fino ad un massimo di 6 volte (3 g in totale, circa la metà della dose che comincia a produrre danni da tossicità importanti).
5+1. 500+500 non fa esattamente 1000.
Prendere una tachipirina da 500 ogni 4 ore o una da 1000 ogni 8 ore è la stessa cosa? Uno studio su pazienti pediatrici ha messo a confronto due strategie: dare una certa dose ogni 4 ore oppure una dose doppia ogni 8 per il controllo della febbre. Dal punto di vista dell’efficacia, misurata come capacità di ridurre la temperatura corporea, le due posologie sono pressoché equivalenti. Tuttavia, con l’assunzione della dose più bassa ogni 4 ore si è osservato che la temperatura è “più controllata”, cioè scende in maniera meno repentina e si mantiene più stabile nel corso del tempo. Sembrerebbe quindi che assumere dosi più basse e ravvicinate sia preferibile, in quanto può ridurre i sintomi sgradevoli legati all’abbassamento troppo rapido della temperatura.

Nato a Cosenza nel 1994, vive a Roma dal 2012.
Medico e dottorando, si occupa di Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali.
Sul lavoro sogna una carriera che concili l’attività clinica con i pazienti e la ricerca.
Appassionato di libri (preferisce i saggi), musica (meglio se su vinile), serie TV (rigorosamente in streaming) e qualsiasi altra cosa gli passi per la testa!