"L’ultima sera l’isola ci fa un meraviglioso inchino, ci saluta con un’esplosione di colori e un tramonto che è quasi un abbraccio inaspettato che ci lascia, infine, senza parole: la meraviglia, d’altronde, non si può spiegare per davvero. Noi, compiaciuti, assistiamo a questo ennesimo regalo dell’universo, conservando  gelosamente queste istantanee nella nostra memoria e nei nostri cuori."

Il sole è alto al di fuori dell’Aeroporto José Martín. È un tardo pomeriggio di fine maggio e la mas linda terra caraibica ci dà il suo educato benvenuto.  “Giovanni x2” leggiamo su un cartello. La nostra host della Casa Particular ci ha mandato un coche che carica le nostre gambe addormentate dopo non so più quante ore di volo, vissute in compagnia dei nostri zaini contenenti il solo essenziale. Sì, questa volta abbiamo scelto l’avventura: uno zaino a testa per dieci giorni, caricabatterie, qualche paia di mutande, antistaminico e tanta enterogermina. 

Arriviamo al centro de La Habana Vieja, la città antica che diventerà casa nostra per i prossimi quattro giorni.  Esplosione di colori con il ritmo della salsa e della rumba: buenas tardes amigos, bienvenido a La Habana! 

All’imbocco di Calle Sant’Ignacio ci aspettano Francis ed Ernesto, i due ragazzi che gestiscono la Casa Particular di Milena.  Ernesto ci spiegherà, più tardi, che a Cuba il governo non consente ai propri cittadini – che non devono pagare le tasse, così come non possono di rivendicare i propri diritti – di avere più di una casa di proprietà o più di un’attività a loro nome. Inoltre, lo stesso governo detiene il 25% delle quote di ogni attività e ricava il 10% di ogni guadagno: insomma, una vera mierda

È anche questo il motivo per cui la targeta electrónica non è accettata da nessuna parte: a Cuba si paga con l’effectivo, il denaro contante, ancor meglio se sotto forma di euro o dollaro.  Gli avvocati sono pagati dallo stato, un medico o dentista guadagna dai 25 ai 35€ al mese; una prostituta, invece, dagli 80 ai 100€ al giorno. Non c’è troppa discrezionalità e potere di scelta: o fotti, quindi vivi; o vivi, ma rimani fottuto.

Ma torniamo al nostro viaggio: la Casa Particular che abbiamo scelto su Airbnb insiste su tre piani, dall’ingresso si sale su una scala stretta stretta stretta che ci porta al terzo piano, dove sono site le stanze, e alla terrazza, dove viene servita la colazione. Francis ci invita a salire e ci offre il nostro primo Mojito di benvenuto: di fronte a noi si apre il cielo cubano, con lo sfondo di una città che cade a pezzi – ma che, a modo, suo resiste. 

La storia di Cuba la conosciamo tutti: l’isola, fin dalla sua scoperta, avvenuta nel 1492 per mano di Cristoforo Colombo – la leggenda narra che la rinominò Juana, come la principessa spagnola, la donna mas linda del mundo -, fu colonizzata dagli spagnoli prima, dagli americani dopo. Solo nel 1902 venne dichiarata la sua indipendenza, che cercò di affermarsi anche dopo l’era-Batista, dopo la fine del ‘900. Indipendenza che, in realtà, non pare essersi mai raggiunta, nonostante l’azione rivoluzionaria portata avanti da Che Guevara e Fidel Castro, emblemi della resistenza cubana.
Infatti, di indipendente a Cuba non c’è niente, il governo mangia tutto: ma questo i cubani te lo dicono a denti stretti, se le Autorità li sentissero rischierebbero anni e anni di carcere. Ahi, che bella la democrazia! 

Inizia così la nostra storia di amore cubana: dopo la prima notte tra balli e rum scuro (quello chiaro si mischia e non si beve liscio), ci svegliamo con il suono del gallo e delle galline che depongono le fresche uova che ci vengono revuelte per la colazione. Caffè espresso, devo dire fin sopra le aspettative di un italiano, piña, mango, gueva, bananita e papaya: siamo pronti per il nostro primo giorno di cammino. 

Con la lonelyplanet in mano duriamo veramente poco: siamo preda appetibile di qualsiasi guida “non official”. Incontriamo poco dopo, a Plaza della Catedral, Juan Manuel, che si spaccia per guida turistica specializzata e noi decidiamo di credergli. Ci conquista con la sua conoscenza storica e artistica e decidiamo di dargli fiducia. 

La città vecchia ci offre una giornata magnifica, presentandoci le sue sfaccettature barocche, neoclassiche, divenute decadenti e cadute. Ad ogni angolo c’è chi canta e balla, ma negli occhi di tutti riconosciamo la tristezza dei vinti. I cubani resistono, ma hanno smesso di lottare: il sogno di un cubano è l’espatrio, la fuga verso l’Europa o l’America, passando per qualche paese latino Visa free

Giovanni decide di farsi leggere le carte da Juana che, credenti o meno, gli legge il passato e pare predirgli il futuro. Cosa gli dice? Due niños in arrivo: ahi ahi! Povero me o povero lui?

Ci spostiamo verso il mercato, dove il negoziator cosentino dà ampia dimostrazione della sua maestria commerciale, pausa Mojito e pipì al buio – è andata via la corrente, emergenza tipica a Cuba – e poi, per pranzo, è la volta della roba vieja, pietanza tipica cubana. 

Dopo pranzo le nuvole si fanno più vicine, d’altronde è sempre stagione tropicale, e decidiamo di seguire El Nene nella sua Cadillac viola verso il quartiere Fuster, dove l’artista ancora in vita ha riempito la zona di murales e mosaici caleidoscopici in stile Gaudí.

Proseguiamo verso l’Amazzonia cubana dove assaggiamo la più buona Piña Colada di Avana, e poi ci dirigiamo verso Plaza della Revolutión, dove i capi della lotta armata parlavano al popolo invitando alla resistenza; di fronte si innalzano i visi speculari di Che Guevara e Fidel Castro che sembrano parlarsi: “Hasta la Victoria Siempre” e “Vas bien, Fidel”. Infine, uno scorcio sul porto di Avana e un saluto di cortesia alla casa del Che accompagnati, adesso, da una leggera pioggia che è sinonimo di nostalgia di un passato glorioso. 

Piccola curiosità dal viaggio in macchina: in Europa c’è tiktok che apre i giovani alle sfide pericolose, qui a Cuba invece il gioco preferito dei ragazzi, per annusare il profumo del rischio, è buttarsi in mezzo alla strada fra le macchine che circolano e attaccarsi ai cofani dei camion. Il valore di una vita è, d’altronde, direttamente proporzionale al perché della nostra esistenza. 

L’indomani ci dirigiamo, invece, verso la regione di Pinar del Río, alla volta della valle di Viñales, dove sorgono le più grandi piantagioni di tabacco e caffè. 
Nel tragitto svestiamo l’isola e scopriamo una Cuba più rurale, più agricola, circondata da una florida vegetazione che tinge l’orizzonte di verde speranza. 

Qui sembra l’Eden diventato, senza la gloria di Dio, il Paradiso Terrestre: per (l’auto)strada c’è chi vende uova, burro, frutta. Ovunque, alberi di Mango che “mangolicani” (cit. Giovanni). Si vedono uomini a cavallo che sembra essere tornati secoli e secoli indietro, non esistono pali della luce o linee telefoniche. Ma a proposito di telefono! A Cuba esiste un solo gestore telefonico, ovviamente di proprietà del governo, ETECSA, che comunque non prende mai. Se sei fortunato e trovi una linea Wi-Fi, quando non manca la corrente, hai il modo di rimanere connesso altrimenti no pasa nada.

Giunti a Viñales, sul promontorio più alto, assistiamo ad uno spettacolo meraviglioso: sembra lo sfondo di Windows XP, è tutto verde, tutto calmo. Il tocco indecente dell’uomo informatico e industrializzato non ha ancora inquinato la natura che regna come madre e regina, governa ogni angolo di questa terra dimenticata.  Qui non esistono negozi, tribunali, chiese, solo case semplici, animali da traino e sorrisi compiaciuti. Canchanchara, sigaro e pace: il ritratto autoctono della semplicità. Qui le persone si svegliano e, ogni mattina, vivono, semplicemente, senza rincorrere o essere rincorsi dall’inumano tempo.

Pit stop obbligato al parco nazionale, percorso a piedi e in barca (ovviamente a benzina, di scarsissima qualità) dentro una caverna che sembra di essere catapultati nelle grotte di Frasassi – peccato per la scarsa tutela del patrimonio ambientale. 

Ebbene!

Dopo solo due giorni di acqua clorata (direttamente dalla fonte) lo stomaco inizia a chiedere aiuto: l’istinto di sopravvivenza si sveglia e ci autorizza a usare i cespugli come bagno all’aria aperta. Madre natura ringrazia per il fertilizzante gratuito e ci riaccompagna, soddisfatta per quello spirito di adattamento, verso L’Avana. Kenner, il nostro driver, continua ad insistere sul mio stato interessante: c’è tempo Kenner, è solo l’acqua imbottigliata, batterica e piena di cloro che mi sta distruggendo. Sì, perché qui i furbetti dei bar e dei ristoranti fanno così: comprano qualche cassa di acqua, poi la riempiono dal lavandino e la rivendono almeno un’altra volta. Il famoso pareggio di bilancio. 

Andiamo, poi, alla ricerca di un barbiere: fra quell’essenziale di cui abbiamo riempito lo zaino, Giovanni ha dimenticato la lametta. Ma è tardi, ogni negocio està cerrado

Cuba si affaccia alla sera e alla magia di Plaza Vieja illuminata, circondata dai musicisti di strada e dai bambini che, sconoscendo video games e similari, si divertono all’aria aperta, senza scarpe, tirando calci ad un pallone sgonfio: loro, almeno, rincorrono ancora speranzosi l’anelo della felicità. 

Sabato è la giornata dedicata alla città nuova: dritti per Calle Brazil ci dirigiamo verso il Campidoglio, sede del governo eretto a somiglianza integrale del Campidoglio americano di Washington, prova che l’influenza statunitense è ancora forte e presente sulla cultura cubana. 

È in questi vicoli che assistiamo attoniti all’incongruenza della storia: strade su cui sono eretti, o lo erano, edifici neoclassici meravigliosi che adesso cadono a pezzi, spazzatura e sporcizia che adornano i vicoli colorati, gente in fila per acquistare i beni di prima necessità. C’è una povertà dilagante; è incoerente se si pensa che nello sfondo vi sono i resti di una città che stava in piedi, sulle sue fondamenta. A Paseo del Prado si intravedono numerosi turisti che passeggiano per il corso principale: li conosciamo Omar, che ci vende delle opere d’arte meravigliose, e il ragazzo del carretto da cui proviamo, per soli 50 pesos, un bocadillo helado, una sorta di cucciolone alla crema senza barzellette. Fa un caldo straziante. Le auto d’epoca, che qui sono solo auto vecchie, sfrecciano per le strade e dipingono la città di mille colori accesi: resisti Cuba, accenditi!

Torniamo, nel tardo pomeriggio, dal nostro ormai amico Ernesto con cui condividiamo pensieri e opinioni, dando luogo alla magia del viaggio, il confronto, la crescita. 

La sera abbiamo la reservacion per assistere al più grande spettacolo di musica cubana presso il Buenavista Social Club, dove artisti locali di importanza nazionale si esibiscono. Prima di entrare proviamo un coconito per strada: cocco fritto con zucchero di canna, una prelibatezza per i diabetici. 
Tra Mojito, jugo de mango e caldo de carne, ci lasciamo coccolare dalla rumba e dalle magiche voci che rimbombano nel teatro dove il tempo sembra essersi fermato. Pare di essere in una pellicula, ma la realtà all’esterno è ben diversa. Fuori ci aspetta Mauro, un ragazzo di 17 anni che ci accompagna su una sorta di tuctuc andata e ritorno per solo 1000 pesos, meno di 10 euro. 

Ognuno fa quel che può per mantenersi in vita. Un bambino di soli tre anni ci ferma, tornando a casa, e ci chiede qualche dollaro. Lo Stato a Cuba non insegna il riscatto, insegna l’elemosina e la miseria: qui il lavoro non nobilita l’uomo, qui i lavoretti saltuari ti salvano dalla fame… se bastano. 

Si chiude così la parentesi a L’Havana, perché l’indomani, dopo l’ultima colazione con Ernesto, saliamo su un taxi collectivo alla volta di Trinidad con fermata intermedia per i nostri compagni di viaggio Francesi a Playa Girón, dove abbiamo un primo assaggio delle spiagge caraibiche.

Qui parcheggiamo i Francesi e salta con noi una coppia Svizzera che assiste attonita e divertita allo spettacolo italo-ispanico-inglese messo in atto da Giovanni con Carlos, il nostro ormai amico tassista. 

Si consuma, in questa Peugeot malandata, la meraviglia del multiculturalismo.

L’autopista nacional è, comunque, qualcosa di magico: un rettilineo senza illuminazione, senza indicazioni stradali o guardrail di alcuna sorta dove scorrono veicoli di ogni tipo, auto, carri, motocicli, cavalli, autostoppisti nella loro singolare normalità.

Dopo un’altra quasi ora di cammino ci fermiamo, per una sosta veloce, a Cienfuegos dove quella che doveva essere la nostra Host ci restituisce i soldi versati: non ha potuto accoglierci nella sua Casa Particular perché il governo gli ha negato, improvvisamente, l’autorizzazione. 

Cambio di programma, dunque, e ci dirigiamo definitivamente a Trinidad, divenuta nel 1988 patrimonio culturale dell’Unesco. 
Callejon de los Apostoles: questo è l’indirizzo della nostra nuova habitacion. Ci accoglie, questa volta, fra i ciottoli di una città arcobaleno, una donna che ci offre prontamente del freschissimo jugo de mango. 

Curiosissimi, ci incamminiamo immediatamente verso Plaza Major. 
Trinidad è, stranamente, meta più turistica della capitale cubana e qui i locali mirano subito al turista disorientato.

“Cigarro? Cambio? Italiani?”

Dal momento che a Cuba il potere di acquisto è determinato dall’euro, bisognosi di contante ci dirigiamo verso l’unico bancomat attivo che decide, giustamente, di non restituirci la carta (sempre di Giovanni). Fortunatamente la provvidenza ci ha messo di fronte una buona donna che ci offre assistenza e ci prostra il telefono del figlio per chiedere aiuto: niente da fare, dobbiamo tornare alle ocho della mañana. Il suo sorriso però ci ha rassicurato e tranquillizzato. 

È quasi ora di cena e ci dirigiamo verso un ristorante un po’ fuori dal centro per spendere le ultime banconote nascoste nel borsello. Siamo, dunque, senza effectivo e senza credito sul cellulare, torniamo nella residencia speranzosi di trovare una linea Wi-Fi per tranquillizzare in Italia che siamo vivi e bloccare eventualmente le carte. Niente. Il Wi-Fi non va. Mia madre probabilmente fra qualche ora avvertirà la Farnesina – penso tra me e me. 

Ma non disperiamo. 

La notte a Trinidad è caldissima, umida, e il gallo, nostro vicino di casa, l’indomani mattina, ci sveglia verso le 5; ma noi restiamo a letto ancora un po’ e poi colazione sulla terrazza che affaccia sui resti di un’altra splendida cittadina. 

Dopo aver recuperato la targeta, andiamo verso Plaza Santa Ana attraversando quel pezzo di città che il giorno prima non avevamo conosciuto. 

La mattina ha l’oro in bocca anche a Trinidad: la vita pullula nei vicoli, la gente è in fila all’Officio Postal, alla macelleria; le attività commerciali – gallerie autoctone e mercati diramati su letti open space – accolgono i primi turisti della giornata. Consumati dall’afoso caldo trinitino, ci fermiamo al bar alla destra della Iglesias Sancti Spiritu per una fresca limonata, ammaliati dalle note di un quartetto sonoro che alla fine dell’esibizione prova a venderci il loro cd masterizzato: decliniamo spiacenti, spiegando che dall’altra parte del mondo esiste ormai solo lo streaming. Il capitalismo ha colpito ancora.

Visitiamo, dopo esserci rigenerarti, il Museo de Historia Municipal dove Juanita ci racconta la storia della fondazione della città che si arricchí grazie alle vaste piantagioni di canna da zucchero detenute dal latifondista Justo Cantero: sulla sua sommità sorge una torre da cui ammiriamo la bellezza della città tutta, accesa e vibrante.

Successiva sosta presso la Canchanchara, bar dove viene servita l’omonima bevanda tipica di Trinidad: rum, limone, ghiaccio e miele. La mia preferita!

Dopo pranzo, infine, passeggiamo ancora per le strade dissestate alla ricerca di nuove emozioni: ci imbattiamo in Luís (che non è l’attuale nemico di Fedez), artista locale, che ci mostra e spiega la sua arte e la sua tecnica acrilica. Da lui acquistiamo qualche quadro ricordo per adornare la nostra casetta come siamo soliti fare al rientro da ogni viaggio per ricordarci sempre delle meraviglie del mondo; qualche pensiero per gli amici più cari e sigari in quantità illimitata. 

La sera, infine, ci spostiamo verso Playa Ancón, delizioso nastro di sabbia bianca sull’iridiscente litoraneo caraibico della provincia di Sancti Spíritus, anche nota come la più bella costa meridionale di Cuba. Arriviamo che il sole è ancora alto e sta per scendere ed abbracciare il mare; Ariel, il nostro ultimo compagno di viaggio qui a Trinidad, decide di portarci ad ammirare il tramonto da una baia especial. Il lido e il ristorante hanno già chiuso, la stagione lo permette, e allora siamo noi 3 e la securtad che si siede insieme a noi ad osservare lo spettacolo di colori che esplode davanti ai nostri occhi. 

Calata la notte, ci dirigiamo verso Casilda per cenare in un ristorante tipico tipico e sconosciuto ai turisti. 

Nel tragitto, mentre io rimango concentrata a guardare il panorama fuori dal finestrino gustandomi il silenzio della sera, Giovanni e Ariel parlano il linguaggio universale dei motori. Talmente gasati dalla conversazione che contro ogni legge Ariel ferma la macchina – va precisato, una Dodge del ‘53 color rosso sangue e interni in pelle bianca con addirittura l’estintore per ogni evenienza – e si sposta sul sedile di fianco: adesso guida Giovanni, sul cui viso sorge una espressione di felicità incomprensibile a noi donne. 

È bastato un gesto semplice, di riconoscenza, un invito a cena formulato da una coppia di turisti che a primo acchito ricercavano l’emozione del primo appuntamento al chiaro di luna, che Ariel si è sentito autorizzato a farci vivere una esperienza unica. 

Ceniamo in tre, parliamo di storia, politica, cultura e scopriamo il più grande ingegno della geopolitica mondiale: la Russia ci fotterà tutti quanti. Sentiremo parlare prima o poi di MLS, di conquista bolscevica anche sulle coste cubane, ma per ora no spoiler per non rovinare la magia di questo incontro. 

Sì, perché ogni incontro è confronto, momento di integrazione e di ricchezza inestimabile. 

Per strada la gente del posto rincorre una moltitudine di granchi ribelli, li mata e li conserva per cucinarli il giorno seguente. Al rientro Ariel mi ha dato due grossi baci sulla guancia, gli ricordo sua figlia all’ultimo anno di Giurisprudenza, e ha lasciato il suo numero a Giovanni con la promessa di sentirci ed aggiornarci passo passo. 

Lasciamo, quindi, Trinidad per raggiungere, finalmente, la costa nord e le lunghe spiagge di Varadero.

Per giungervi, però, ci toccano altre 4 ore di taxi collectivo: questa volta la sciatica non resiste e prima di arrivare a destinazione si infiamma e ci dà il suo simpatico benvenuto al nord. 

Varadero sembra un’isola a sè stante, felice, decisamente più commerciale e, quindi, apparentemente ricca: non rispecchia assolutamente l’identità della nazione. Venire in vacanza solo a Varedero non consente di conoscere la vera Cuba, quella che lascia sempre aperte le porte nei vicoli infiammati di rabbia delle Calles de La Habana, che balla genuinamente la musica del cuore e risplende negli edifici fatiscenti.

Ma tant’è: il tramonto caraibico ci rapisce e ci lascia inermi di fronte a questo nuovo spettacolo di Madre Natura. Il cielo si dipinge di rosso, arancio, giallo, viola; il vento ci accarezza dolcemente e ci fa godere questi ultimi giorni di vacanza. 

E dopo un altro piccolo assaggio in catamarano della spiaggia di Cayo Blanco, alternato a furibonde ma veloci tempeste tropicali, la nostra vacanza giunge al termine. 


L’ultima sera l’isola ci fa un meraviglioso inchino, ci saluta con un’esplosione di colori e un tramonto che è quasi un abbraccio inaspettato che ci lascia, infine, senza parole: la meraviglia, d’altronde, non si può spiegare per davvero.

Noi, compiaciuti, assistiamo a questo ennesimo regalo dell’universo, conservando gelosamente queste istantanee nella nostra memoria e nei nostri cuori.

Ritorniamo, dunque, a La Habana, luogo di arrivo ed oggi di partenza: siamo pronti per tornare a casa.

Come? Carichi di Cohiba (di probabile origine sospetta) riposati, un po’ “arrusicati” dal sole cocente, e lieti di aver incontrato una nuova cultura e un terra con cosí tanto da dire che ci ha lasciato, dopo tutte queste emozioni, il dovere di scrivere di questo viaggio e raccontarvi noi questa storia al posto suo, al posto di una nazione che oggi non ha più voce. 

Hasta la vista, Cuba! 

10-06-2023

Aeropuerto Internacional José Martin 

Giovanni & Martina 

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