Meraviglioso amore mio…
Faceva così quella canzone, no?
Per me sei stato meraviglioso dal primo momento, sin da quelle due lineette rosse sul test di gravidanza.
E, come tutte le cose meravigliose della vita, mi hai terribilmente spaventata.
Mi ha spaventata la percezione, realizzatasi da un secondo all’altro, di vedere il mio corpo diventare alieno, altro rispetto a me.
Mi ha spaventata l’idea di crescerti e non perché non ti amassi, anzi, proprio perché ti ho amato infinitamente pur non conoscendoti.
Sai, qui dicono che i figli sono sempre “atti di amore” e anche tu lo sei stato.
Per questo non potevi nascere, perché ti amavo troppo per farti questo.
Non potevo anteporre il mio senso di colpa al tuo benessere; non potevo anteporre il mio egoismo al tuo sacrosanto diritto di essere cresciuto da una madre felice e realizzata, pronta a darti tutto il necessario ed anche di più.
È questo che, spesso, non capiscono: quello che alcuni chiamano omicidio, è solo la conseguenza di un profondo, doloroso, terribile esame di coscienza.
Non hai idea di quante volte ho pensato di darti la vita, di quante notti ho passato senza dormire alla ricerca di una via di fuga da uno sbaglio… no, non sei tu lo sbaglio.
Non lo pensare neanche per un attimo, amore mio.
Tu non sei stato uno sbaglio, io e tuo padre abbiamo sbagliato.
Tu non c’entri nulla ma proprio perché non c’entri nulla volevo evitarti a tutti i costi il peso doloroso di sentirti, ad un certo punto della tua vita, uno sbaglio.
Volevo evitare di farti sentire sbagliato quando, in prima elementare, saresti stato il più lento della classe a leggere solo perché tuo padre ed io non ti avevamo dedicato le giuste attenzioni per i compitini.
Volevo – e mi si torce il cuore in petto solo a pensarci – evitare che, a quattordici anni, ti ritrovassi solo ad affrontare i cambiamenti del tuo corpo perché noi, e solo noi, non avevamo voglia di spiegarti quanto è difficile diventare grandi.
Volevo evitarti, e Dio non voglia, di chiederti un giorno perché tua madre, quella biologica, non ti aveva voluto, destinandoti ad una disumana via crucis tra case famiglia e famiglie affidatarie ché qui, le mamme e i papà che ti avrebbero amato con tutto il loro cuore, sono ostacolati da una burocrazia infinita e da leggi che non arrivano mai.
Capisci perché non potevo permettere che tu nascessi? Ho preferito che a levarti la vita fossi io e non il mondo là fuori, con quel suo lento ed incessante giudizio, con quel suo lento e incessante insinuarsi tra le pieghe dell’anima per farti sentire inadeguato.
Che poi, quale vita t’avrei mai tolto? È forse vita quella di chi si sente indesiderato? È forse vita quella di chi cresce con una madre che lo rimprovera per tutti i propri fallimenti?
Papà invece ti voleva, oh se ti voleva. Sai che quando gli ho detto di essere incinta si è presentato a lavoro, sul mio posto di lavoro, in giacca e cravatta? Lui che non si veste elegante neanche per andare ad una cerimonia.
Pensa… aveva portato pure due rose, una per me ed una per te. Era l’uomo più felice del mondo alla sola idea di stringerti tra le sue braccia, di annusare la tua testolina che, si sa, avrebbe avuto il profumo del latte fresco.
Io non ho neanche avuto il coraggio di presentarmi quel giorno, che vigliacca.
Ha provato in ogni modo a farmi cambiare idea, davvero.
Mi ha detto che mi amava e che avrebbe amato te più di qualsiasi altra cosa al mondo ma, amore mio, unico amore mio, lui non ha capito una cosa: io non ero sicura di amare lui.
Io avrei voluto per te non solo due bravi genitori ma anche due genitori innamorati perché così, e solo così, si può anche solo pensare di tirare su una famiglia in due.
Capisci, amore? Io non potevo assicurarti tutto questo, tutto quello che ho avuto io e per te io avrei voluto solo il meglio.
Avrò sempre cura di te piccolo mio, sempre.
Ti stringerò al grembo quando tua sorella, un giorno, compirà tre anni.
Spegnerò una candelina per te quella notte stessa, come se fosse anche il tuo compleanno.
Mamma ti amerà sempre e, se davvero dovesse esistere l’aldilà, spero un giorno di poterti abbracciare e darti tutto l’amore che avrò imparato a coltivare, tutto quello che non avrei saputo darti in vita.
Addio amore mio, mamma sarà sempre qui. Con te.
Madre mia,
Non sono sicuro se “madre” sia l’appellativo giusto. Non lo dico con cattiveria: è un dubbio reale, spero che tu non ti offenda per averlo precisato così esplicitamente.
Apprezzo la tua lettera, le tue parole trasudano sforzo e, per questo tentativo, ti ringrazio.
Ma vorrei chiederti… perché ti stai giustificando? Non te lo ha domandato nessuno, ma penso che nessuno abbia più diritto di me a chiederlo.
Ogni rigo, ogni sillaba, che mi hai dedicato, mi dà l’impressione di essere uno “scusa, ma”. Scusa, ma… cosa esattamente?
Che ne so io del mondo?
Non ti ho chiesto io di farmi spegnere in un giorno qualunque di un anno qualunque, a prescindere dalle tue motivazioni, sì… ma guarda che non ti ho neanche chiesto io di farmi nascere.
Ho notato che voi adulti non vi soffermate mai a riflettere su questa cosa ed è un vero peccato.
Forse imparereste a comprendere meglio le frustrazioni degli altri, o quella che chiamate “crisi adolescenziale”.
Perché ti assicuro che nasce tutto dallo stesso problema: nessun figlio ha mai chiesto di essere messo a questo mondo.
Siamo tutti un incidente.
Lo sei stata anche tu, per quanto i tuoi genitori possano averti desiderata e possano aver pianificato tutto in anticipo.
Mi fa un po’ ridere questa cosa. Non vi siete ancora accorti che i figli non sono una planimetria di un appartamento, non sono una presentazione su Power Point.
Non so dirti se sia meglio far nascere un bimbo e condannarlo fin dal primo giorno a un’esistenza infelice, o lasciarlo andare prima che sviluppi abbastanza organi per comprendere che le sue giornate non gli garantiranno un’esistenza dignitosa.
È solo che i figli accadono e basta e possono anche essere il germoglio di un immenso amore, ma nessuno dei due è un motivo abbastanza valido per siglarne la dannazione fin dal primo vagito al momento del parto.
Perlomeno, io la penso così. Ma che ne devo capire io del mondo?
In queste poche e brevi settimane nel tuo grembo, ho ascoltato attentamente tutto ciò che ti accadeva intorno.
Il nostro cordone mi ha trasmesso tutte le tue angosce, i tuoi dubbi, le tue remore e voglio che tu sappia che non ti giudico.
Forse non comprenderò mai a pieno le tue spiegazioni, il tuo scegliere di lasciarmi andare proprio perché mi amavi troppo per farmi vivere una vita di stenti. Ho sentito il peso sul tuo petto quando hai trovato abbastanza coraggio per lasciarmi andare, per questo credo alla tua sofferenza. Se non lo sai tu cosa è meglio per me, chi dovrebbe saperlo?
Voglio solo dirti che mi fido: è l’unica cosa che posso fare e non mi sembra una cattiva opzione.
Mi fido delle tue valutazioni, tanto quanto mi sarei fidato tenendoti la mano per attraversare la strada, o indossando la canottiera sotto la maglietta perché altrimenti avrei preso freddo, o mangiando quei broccoli puzzolenti che anche tu odi ma che sai mi avrebbero fatto tanto bene.
Mi fido perché scelgo di fidarmi: è un sacrificio che faccio anch’io, come te. Non siamo poi così diversi, anche se no, non ne capisco granché del mondo.
Ora che ho riflettuto su tutte queste cose posso dirti che ho deciso che ti chiamerò mamma, perché ho capito che madre è sinonimo di rinuncia, la massima rinuncia ai propri egoismi e credo che tu, in questo, sia stata un’ottima madre.
Perciò adesso chiudi gli occhi e riposa.
È vero: le mie parole vengono tutte dalla tua testa.. però scommetto che se qualcuno facesse questo discorso con un qualunque figlio, si troverebbe ad ascoltare le stesse identiche risposte.
Ma tanto, alla fine, cosa ne so io del mondo?
Attivista per i diritti umani, classe 1995, cosentina, cosmopolita, bilingue (Inglese e Italiano, ma ce la sta mettendo tutta anche con lo Swahili!).
Laureata in Politica Internazionale alla SOAS University e specializzata in Diritti Umani alla UCL, entrambe prestigiose università di Londra, completa i suoi studi a soli 22 anni e da lì in poi si dedica ai diritti di richiedenti asilo e rifugiati politici.
A giugno del 2021 si specializza ulteriormente in Comunicazione e Lobbying nelle Relazioni Internazionali presso la SIOI e da luglio dello stesso anno vive e lavora in Tanzania seguendo un progetto per i diritti delle lavoratrici domestiche tanzaniane fino al 2022.
Co-autrice del corto “Non Solo Un Volto” sulla comunità LGBTQI+ cosentina.
Appassionata di politica, attualità, serie TV e scrittura!