Ciao piccolo Enea,
chi Ti scrive è il Tuo papà.
No, a dire la verità non posso definirmi tale: io sono Nessuno.
Tu non mi conosci e non mi conoscerai mai. Rimarremo due estranei, probabilmente per tutta la vita.
Non sapevo del Tuo arrivo come non sapevo della Tua generazione. La persona che Ti ha messo al mondo, colei che ha scelto di non essere la Tua mamma e di affidarti alle cure del Destino, non ha pensato a me, a noi, alla possibilità che io Ti volessi.
Ho trascorso momenti bellissimi con quella donna, poi sparita. Dalla mia vita, come dalla Tua. Una donna codarda? No, non credo. Una donna libera di scegliere. La Tua non mamma ha scelto di darti la vita, sì, ma ha scelto di non accompagnarti nel cammino che hai davanti. Ha scelto di non avvisarmi della Tua venuta, ha scelto – lei per me – che io non potessi essere all’altezza delle Tue aspettative, dei Tuoi sogni, proprio come lei.
Invece, piccolo bimbo (non)mio, io avrei voluto ascoltare i Tuoi primi gemiti, avrei voluto vederti crescere e diventare un uomo.
Il nome che la Tua (Non)Madre Ti ha dato è intriso di coraggio, di forza; la stessa forza che dovrai avere Tu per vivere senza conoscere le Tue radici; la stessa forza che io, padre ignoto, dovrò avere per vivere inconsapevolmente il resto dei miei giorni.
Si chiamava Enea il personaggio mitologico, figlio di Anchise e Afrodite, protagonista dell’Eneide di Virgilio e presente anche nell’Iliade di Omero, capostipite dei romani e fondatore di Roma. Nella mitologia classica, che spero la Tua famiglia adottante Ti racconterà, Enea era un uomo di forte personalità, energico, coraggioso, di temperamento appassionato e di grande fascino. All’apparenza docile e malleabile, ma, come vedrai, in grado di affermare con forza i suoi diritti e di imporre le sue idee con fermezza e strategia. Enea ha sempre preferito agire, per non rimanere vittima della sua emotività; stimolato dalle difficoltà e dalle sfide che si trovava di fronte, detestava le ingiustizie e aveva grandi ideali; ha combattuto, infine, contro le iniquità grazie al suo acuto senso di giustizia.
Questo nome Ti rispecchia tantissimo.
Bimbo (non)mio, vorrei tanto che riuscissi a sentirmi. Vorrei dirti che è vero, non Ti ho voluto, ma solo perché non Ti conoscevo. Vorrei dirti che non Ti ho abbandonato, perché io non ho potuto scegliere di farlo.
Si chiamano “madri segrete”, quelle che decidono di vivere nell’anonimato e, forse – chi può veramente dirlo – nei sensi di colpa.
Arrivano spesso dalle pieghe di un’Italia emarginata, sommersa; sovente si tratta clandestine, immigrate, ma anche di donne italiane, ricche e meno ricche, molte troppo giovani, a volte poco più che bambine. Donne, ragazze, adolescenti cresciute in fretta, sole, spaventate, troppo spesso violate.
Ogni anno il numero di donne che abbandonano “gli appena nati” aumentano sempre di più: partoriscono e poi scappano, lasciando i figli in ospedale, affidati alle mani (più?) sicure del personale medico.
Sono la spia di un’emergenza nascosta e drammatica: sono infatti oltre 400 l’anno i piccoli che non vengono riconosciuti alla nascita: un tempo si chiamavano “nati indesiderati”, ma il loro numero cresce considerevolmente: le neo-mamme hanno tre mesi di tempo per ripensarci, poi basta, per loro quel figlio sarà missing, scomparso, accolto ormai dentro le vite degli altri.
Nessuno può né deve chiedere loro nulla. La legge è chiara, si tratta di “parti anonimi”: il bambino resta in ospedale, solo; la madre biologica scompare.
Queste donne, le madri segrete, rimangono ombre nei reparti di maternità, dove di norma vige attesa, trepidazione, gioia. Se ne vanno, curve su loro stesse, sole come sono arrivate, con il corpo ancora sconvolto da quella nascita e, poi, da quella perdita.
Dietro quella decisione estrema, però, non ci sono solamente uomini violenti, religioni intolleranti, famiglie che si vergognano di figlie incinte per sbaglio, prostituzione, clandestinità, violenze sessuali, patria e nessuna informazione sull’aborto legale.
Spesso dietro quelle storie c’è un (non)Papà come me, un uomo avulso dalla possibilità di scegliere, di stare vicino alla donna che metterà al mondo il suo bambino.
In Italia vige il diritto all’anonimato, ribadito con la riforma del 1975, in virtù del quale le donne possono partorire e mantenere nascosta la propria identità: tale istituto è stato poi rafforzato dal d.P.R. 396 del 2000, che protegge “l’eventuale volontà della madre di non essere nominata” e sancisce il divieto di fare ricerche sulla paternità.
Sì, va bene. La donna porta il peso, la paura e la responsabilità della gestazione, del parto, dell’allattamento. È figura predominante nella vita di un bambino, soprattutto nei suoi primi anni di età.
Ma che ne sarà dei (Non)Padri come me?
Il mio diritto ad essere padre come si concilia con la tutela dell’anonimato, del diritto all’aborto, con la mia libertà di scelta e autodeterminazione?
(Non)Figlio mio, io non Ti ho abbandonato.
Io sono stato abbandonato. Sono stato lasciato solo da uno Stato che non mi tutela, da una donna che non mi ha voluto partecipe delle sue scelta, della Tua vita.
Caro Enea, probabilmente non ci conosceremo mai, ma sappi che il Tuo (Non)Papà, il Tuo Anchise, pregherà per Te e Ti incontrerà nei sogni, dove giocheremo e cresceremo insieme.
Io sarò il Tuo (Non)Papà, e Tu sarai il mio (Non)Figlio. Per sempre.
Classe 1994, nasce e cresce a Cosenza, ma casa sua è il mondo intero.
Avvocato, donna in carriera e aspirante madre di famiglia, è laureata in Giurisprudenza alla LUISS Guido Carli e specializzata in Diritto di Famiglia e Minorile e in Diritto del Lavoro e Welfare, con esperienze di studio presso la Stockholm University in Svezia e la Universidade da Coruna in Spagna.
Ha viaggiato in numerosi angoli della Terra con lo zaino in spalla e la voglia di raccontarli.
Appassionata di letteratura, cucina, esplorazioni e ambiente!