“Non importa quanto Putin si ritragga come un grande statista, il suo principale risentimento nei miei confronti è che ora passerà alla Storia come un avvelenatore: c’è stato Alessandro il Liberatore o Yaroslav il Saggio. E avremo Vladimir l’Avvelenatore di mutande”.
Queste le parole di Aleksei Navalny, escusso al Babushkinsky, il tribunale di Mosca, davanti ai giudici chiamati a pronunciarsi sulla sua presunta colpevolezza relativamente ad un – sempre ancora presunto – reato di diffamazione commesso nei confronti di un veterano russo della seconda guerra mondiale. Secondo l’accusa, il più grande oppositore della storia russa contemporanea, lo scorso giugno, avrebbe danneggiato l’onore e la dignità di Ignat Atyomenko, minandone incontrovertibilmente la sua reputazione, tramite il caricamento e la diffusione mediatica di un video su Telegram e Twitter in cui quest’ultimo esprimeva la sua posizione civica a sostegno degli emendamenti alla Costituzione.
L’articolo sulla diffamazione prevede una multa o lavori sociali obbligatori: Navalny, però, al momento è tenuto nel centro di detenzione Matrosskaya Tishina; tornato a Mosca dopo il suo ricovero a Berlino, è stato di nuovo fermato dalle autorità.
Navalny, riferendosi all’ inchiesta con cui ha svelato che ad avvelenarlo furono i servizi segreti russi, che agivano, a suo dire, su mandato del Cremlino, ha chiesto il rilascio immediato per sé e per tutti i prigionieri politici, dichiarando che “questo teatrino è illegale”.
Il Governo russo, capeggiato ormai da tempo immemore dall’immortale Vladimir Putin, ha finora fermato tantissimi “ribelli”, rei di aver partecipato, lo scorso 31 gennaio, alle manifestazioni davanti al tribunale dove è in corso il processo contro l’oppositore numero uno di Putin.
Ma chi è, quindi, Alexei Navalny e perché la sua storia sta facendo tutto questo rumore?

Facile rispondere, e fa sorridere la spregiudicatezza con cui lo stesso continua a fronteggiare il suo avversario: Navalny è, banalmente, l’oppositore più carismatico e incorreggibile di Putin, e divenuto noto a livello internazionale in questi ultimi mesi per il suo avvelenamento ordinato – presumibilmente – dallo stesso Capo di Stato russo.
Segretario del Partito del Progresso e presidente della Coalizione Democratica (formazione politica che in passato Navalny guidava insieme a Boris Nemcov, politico assassinato – incredibilmente! – a febbraio 2015), Navalny è noto per le sue campagne anti-corruzione per le quali è finito più volte in carcere.
L’avvelenamento dello scorso agosto non è stato una novità: non era, infatti, la prima volta che qualcuno provava ad eliminare l’antagonista più impavido del Cremlino. Già nel 2017, mentre stava uscendo dal suo ufficio moscovita, gli venne spruzzato negli occhi un pericoloso spray tossico; nel luglio del 2019, poi, denunciò d’essere stato avvelenato da “un prodotto chimico sconosciuto”, per cui fu trasferito in ospedale. Un anno dopo è giunta la notizia del nuovo avvelenamento, avvenuto dopo che Navalny aveva bevuto del normalissimo tè in aeroporto, prima di imbarcarsi a Tomsk per rientrare a Mosca.
Navalny si trovava in Siberia, a Novosibirsk, città in cui il potere amministrativo è ormai piuttosto indebolito e dove è diffuso un profondo malcontento capace di preoccupare e far tremare tutta la Piazza Rossa. Successivamente si è recato a Tomsk, città florida di universitari, in un cui regna la massima espressione del consenso all’opposizione, e dove era giunto proprio per trovare appoggi e sconfiggere la dinastia Putiniana.
In volo verso Mosca, però, si è sentito improvvisamente male e le sue condizioni sono peggiorate così bruscamente da costringere il capitano ad un atterraggio d’emergenza a Omsk, dove è stato trasportato di corsa all’ospedale.
Molte violazioni dei diritti della persona sono state poste in essere nei confronti di Alexey da quel momento in poi: per dirne una, il medico personale di Navalny ha cercato, invano, di informarsi e di aggiornare i colleghi sulla situazione clinica del suo paziente, ma i medici di Omsk si sono rifiutati di comunicare con lei: uno strano silenzio sanitario, come se le autorità avessero ordinato ai responsabili ospedalieri di tacere.
Un’altra buffa combinazione? Maksimishin Sergey Valentinovich, il medico russo che la scorsa estate curò, presso l’Ospedale di Omsk, Alexey Navalny dopo l’avvelenamento da Novichok, è morto improvvisamente a 55 anni: le cause del decesso?
Sconosciute, ovviamente.
Ma perché Putin lo vuole morto?
Navalny è uno di quello che non si vuole piegare al potere, non vuole tacere e porta luce sui segreti del Cremlino.
Egli aveva avviato diverse inchieste sulla corruzione di alcuni funzionari locali, corredate addirittura da commenti feroci o spot umoristici: si era mosso con la spregiudicatezza che lo contraddistingue, infastidendo molti.
A dir la verità, originariamente Putin assisteva con diletto allo smascheramento politico posto in essere da Navalny, criticato tra l’altro da molti altri oppositori, perché con l’alibi degli scandali gli dava le scuse per sbarazzarsi di alcune figure ormai “inutili”. Tuttavia, la crisi economica post Covid ha indebolito Putin e il suo potere politico, smuovendo il sistema degli equilibri politici soprattutto in territorio siberiano e nelle grandi città limitrofe, dove ingombrante è la presenza e l’incidenza della Cina e in cui la popolazione reclama più libertà e meno isolamento dal punto di vista socio-politico ed internazionale: lo stesso Navalny, infatti, ha più volte dichiarato che la Russia dovrebbe creare un modus vivendi di concerto con i Paesi occidentali.
“Ma qual è l’ideologia di Vladimir Putin? Lui non è né statalista né liberale, non è né conservatore né progressista, né comunista né fascista. La sua ideologia è il Putinismo, punto. Lui non ha neanche un modello ideologico, lui come dittatore impone allo stato tutto quello che gli viene in testa che gli piace di più, e questo non rispetta la nostra libertà e la democrazia dello stato.”(Aleksej Naval’nyj durante un intervista in cui commentava la decisione presa dal governo di Putin di vietare il gelato arcobaleno per propaganda LGBT).
Navalny è, quindi, la voce controcorrente (ma, forse, anche) della verità. Una voce, pertanto, che non può avere eco in una “democrazia” come quella russa.
È una costante della storia dell’umanità: per apparire credibile devi essere morto, marcire in carcere o essere in pericolo di vita. Navalny, trovatosi a fronteggiare il pericolo più volte, ora merita rispetto, o quanto meno la solidarietà del suo popolo.
Molteplici, quindi, in questi giorni, le manifestazioni pianificate dai suoi seguaci nelle principali città russe, con l’obiettivo di chiedere la scarcerazione dell’oppositore e di ottenere delle risposte dal governo al comando.
Al grido di “Russia senza Putin”, sono partiti i primi cortei popolari a favore di Navalny dall’estremo oriente del Paese, dalla Siberia (persino Yakutsk, dove il termometro segna meno 50 gradi) fino ad approdare nella Russia europea ed infine a Mosca: la Pushkinskaya, il cuore della capitale, si è riempita di persone, giovani ma non solo, che hanno deciso di sfidare le autorità pur di supportare Navalny.
Anche l’Unione Europea si è espressa sull’emergenza russa, non potendo rimanere inerme e in silenzio di fronte a questo scempio, a questo stupro di democrazia: “Abbiamo espresso profonda preoccupazione per la situazione di Alexey Navalny, abbiamo chiesto che sia liberato e che sia avviata un’inchiesta su cosa è successo. Noi rispettiamo al massimo la sovranità della Russia, ma i diritti umani e lo stato di diritto sono centrali per il futuro comune”, ha dichiarato l’Alto rappresentante per la Politica estera UE Josep Borrell.
Il dado è tratto, dicevano i romani.
La sommossa popolare è ormai accesa, il governo Russo non può ignorare le istanze di un popolo che, di fatti, non ha più nulla da perdere.
Neanche la vita.
E la prova di ciò sono le immagini che stanno facendo il giro del mondo: donne, anziani, uomini di ogni età e rango sociale che manifestano al freddo, al gelo, senza timore e con un unico obiettivo: rivendicare uno stato di diritto.
Emblematica l’immagine di questa donna: corona di rose, sguardo, capelli biondi ghiacciati, mascherina, sciarpa, tutti dettagli che subito si fanno simbolo.

Come reagirà il Cremlino di fronte alla rivendicazione della sovranità del popolo russo? Stiamo assistendo alla fine dell’era di Putin oppure, ancora una volta, sarà la voce del singolo a prevalere sulle grida della popolazione?
«Possono mantenere il potere, usandolo per un guadagno personale, solo contando sulla nostra paura. Ma noi, avendo superato la paura, possiamo liberare la nostra patria da una manciata di ladri usurpatori. E facciamolo. Siamo obbligati a farlo. Per voi stessi e per le generazioni future. La verità è dalla nostra parte. Siate liberi.»
Classe 1994, nasce e cresce a Cosenza, ma casa sua è il mondo intero.
Avvocato, donna in carriera e aspirante madre di famiglia, è laureata in Giurisprudenza alla LUISS Guido Carli e specializzata in Diritto di Famiglia e Minorile e in Diritto del Lavoro e Welfare, con esperienze di studio presso la Stockholm University in Svezia e la Universidade da Coruna in Spagna.
Ha viaggiato in numerosi angoli della Terra con lo zaino in spalla e la voglia di raccontarli.
Appassionata di letteratura, cucina, esplorazioni e ambiente!