Fare la conoscenza di Giorgio Fontana è stato un privilegio ed un piacere. Non credevo che dalla semplice presentazione di un libro – il suo ultimo romanzo, Prima di noi, edito da Sellerio (2020) – potesse nascere qualcosa di simile.
Ho spesso paragonato la conoscenza di Giorgio a quella di un amico, uno di quelli che non vedi da tanto ma col quale, inevitabilmente, si crea quell’atmosfera familiare e speciale. Giorgio non si è lasciato spaventare dalla mia inesperienza, ha riposto in me fiducia e ha lasciato, con grazia assoluta, che dalla tensione mi distendessi fino a sentirmi completamente a mio agio.
La nostra chiacchierata ha toccato tanti temi, come l’importanza della ricerca e dello studio, la pazienza, lo stile e la lingua, la storia e la letteratura. Al termine della presentazione, confesso che mi sono anche sentita triste: era finita troppo in fretta!
Ma, come mio padre ha giustamente fatto notare a Giorgio Fontana, “non si libererà di mia figlia”, per cui ho deciso di approfittare della sua disponibilità per fare con lui quattro chiacchiere virtuali sul mestiere dello scrittore. Cosa vuol dire essere un narratore, uno che racconta storie e lo fa per necessità. Ecco ciò di cui, in uno scambio di e-mail spesso frettolose (le mie), abbiamo chiacchierato Giorgio Fontana ed io.
Ho sempre pensato che la scrittura fosse una vocazione, qualcosa che nasce da dentro, da assecondare e a cui abbandonarsi; qualcosa che si nutre di talento innato e ispirazione pura. Conoscendoti, invece, ho realizzato che c’è molto altro: metodo, ricerca, studio. Il tuo ultimo romanzo, Prima di noi, ne è, appunto, una bellissima prova. Allora, come credi che si coniughino mente e cuore? Per mente intendo la parte metodica e per cuore “la penna che scrive sola”.
Credo che coniugare “mente e cuore” sia un lavoro costante e senza fine: l’impulso creativo è molto spesso irrazionale, e ricostruirne il funzionamento appare quasi impossibile; ma l’impulso da solo non è sufficiente. Quando mi capita di ascoltare spunti e idee interessanti di storie da parte dei miei allievi di scrittura, la prima cosa che faccio è metterli in guardia: un’idea, per quanto buona, non è ancora nulla; è solo un’idea e lo scrittore si vede nel momento in cui la mette su pagina realizzandola.
E questo costa tempo, impegno e determinazione: diciamo che la penna di rado scrive “da sola”. Sì, talvolta accade: ci sono pagine che escono con più naturalezza di altre; ma il grosso del lavoro sta nel riprendere in mano quanto scritto e ritornandoci sopra più e più volte per migliorarlo. Se non credi a me puoi credere a Hemingway, quando diceva che “la prima stesura di qualsiasi cosa è merda”.
Mi chiedo spesso per chi e per cosa scrivo, ammesso che questa condizione si avveri in ogni caso. Scriviamo per qualcuno e per un fine preciso, il più delle volte almeno. Giorgio, tu quando ti siedi per scrivere e raccontare hai sempre in mente un pubblico ideale a cui ti rivolgi? La narrazione per te è un bisogno da soddisfare, una necessità? In che misura tieni in considerazione chi ti leggerà? È un pensiero limitante, oppure l’esigenza di scrivere va oltre?
No, non ho mai in mente alcun pubblico ideale e non scrivo per nessuno in particolare — il che è l’unica maniera, a mio avviso, per scrivere davvero per tutti. Non è una forma di solipsismo, perché non scrivo nemmeno per me: l’ultima cosa che desidero è usare la narrativa come sfogo delle mie pulsioni o preoccupazioni. Di fatto, quando lavoro a una storia il mio unico fine è la storia stessa: mi preoccupo dei nessi strutturali, delle questioni linguistiche, dei problemi intrinseci a quel che racconto. Tutto il resto rimane fuori. Poi, a lavoro finito, capita senz’altro di pensare a chi mi leggerà, se mai mi leggerà; ma appunto, solo a lavoro finito.
Viviamo nella società dell’accelerazione del tempo, degli ebook, del wireless. È un momento in cui la lentezza non trova spazio, forse, neppure nelle manifestazioni artistiche. Cosa significa, per te, essere scrittore nel 2020 (per giunta, con una pandemia in corso)? Quale può essere il tuo ruolo e, eventualmente, il tuo scopo?
Ruolo e scopo per me sono gli stessi di sempre: uno scrittore di romanzi scrive romanzi, in qualsiasi condizione ci si trovi. In questo non c’è nulla di enfatico; anzi, cerco sempre di mantenere un atteggiamento laico al riguardo: il romanzo è una forma moderna di narrazione che è nata in un certo periodo e probabilmente in un certo altro periodo morirà, come altre forme. Spero solo di non assistere alla sua fine: diciamo che finché ha una possibilità d’esistenza, vorrei giocarmela.
Ad oggi esistono varie forme di scrittura più “underground”: mi riferisco a blog, post su Facebook/Instagram, etc… Ritieni siano modi efficaci per attirare potenziali scrittori? O si tratta di una perdita di tempo?
In generale non so se tutto questo può servire per “attirare potenziali scrittori”: sono contenitori e forme differenti di scrittura, tutto qua. Quel che l’editoria assicura, o dovrebbe assicurare, è un filtro: a differenza delle piattaforme social — dove per pubblicare basta schiacciare un tasto — implica un lavoro di selezione rigorosa sulla base di un progetto culturale che sta alla base di ogni casa editrice. Aggiungo solo che, per quel che mi riguarda, la scrittura è una questione innanzitutto di lavoro solitario.
Da aspirante scrittrice quali consigli vorresti darmi? Credi che debba seguire una formazione più specifica? Di quali strumenti, letture servirmi? Ci sono degli autori che sono imprescindibili per questo percorso?
Un buon corso di scrittura può senz’altro fornirti delle tecniche, aiutarti a sviluppare lo sguardo da scrittrice e darti pareri concreti su cosa funziona o meno della tua prosa. Ciò detto, io credo che ognuno debba trovare il proprio modo di entrare in quel bosco fitto che è l’arte della scrittura narrativa: leggendo tanto e bene (cercando di capire come funzionano le storie), sviluppando rapidamente un senso critico e autocritico, soprattutto scrivendo tanto, riscrivendo tanto e buttando tanto. La sola cosa che so è che non esiste una via regia: l’unica maniera è provare e riprovare e riprovare ancora, lavorarci sopra duramente. Se dopo un po’ di tempo i risultati non sono soddisfacenti o c’è qualcosa di più importante, allora forse non è la strada giusta.
Mi sarebbe piaciuto chiedere a Giorgio mille altre cose, affrontare insieme, passo per passo, la nascita di un romanzo e la sua evoluzione; cosa ci spinge a raccontare certe storie al posto di altre…
Ma poi sono certa avrebbe finito per odiarmi! Ci sarebbe davvero tanto da imparare; ma questo seme, prezioso e unico, ha già lasciato germogliare in me la spinta a migliorarmi e a sbagliare.
Sai, Giorgio, credo più a te che a Hemingway!
Docente, laureata in Lettere Classiche e Filologia Moderna.
Ha conseguito un Master in Economia e Organizzazione dello Spettacolo dal Vivo, perché il suo sogno nel cassetto è di diventare la giovane manager degli artisti lirici italiani nel mondo.
Dalla spiccata sensibilità, fa dell’istruzione la sua missione quotidiana, plasmando giovani menti, e fa volontariato in ospedale grazie alla sua prepotente voglia di aiutare il prossimo.
Appassionata di musica (di ogni genere), lettura e scrittura, soprattutto creativa.