“Se volevi il dibattito, l’avresti fatto nel percorso di costruzione di quelle leggi e avresti trovato il modo per includere anche le posizioni conflittuali perché in democrazia la mediazione si fa prima delle leggi. Se prima fai le leggi e poi vuoi il dibattito, mi sento un po’ presa in giro.”

Il Salone Internazionale del Libro di Torino è un grande festival della cultura che accoglie editori, scrittori, librai, agenti, fumettisti, illustratori, traduttori e migliaia di lettori di ogni fascia d’età.

È il momento delle novità editoriali, dei firmacopie, degli eventi, delle occasioni.
Per cinque giorni, Torino è il palcoscenico del mondo dell’editoria e della letteratura.
La cultura chiama libertà di pensiero e di azione, e anche questo è stato il Salone del Libro.

Lo avrete letto su tutti i titoli dei giornali, con i caratteri più grandi e magari anche in grassetto: la Ministra Roccella è stata contestata allo stand di Arena Piemonte, durante il Salone del Libro di Torino, mentre presentava il suo libro “Una famiglia radicale”.

A bloccare la presentazione, in un atto democratico e libero, sono stati il collettivo femminista Non Una di Meno, Extinction Rebellion e EsseNon. Tra di loro, c’ero anch’io.

La protesta inizia con la lettura di un proclama in cui si sottolineano le posizioni antiabortiste della ministra. La reazione che colpisce di più è del pubblico femminile giunto lì per ascoltare la ministra. Ascolto donne di una cinquantina d’anni rubiconde, inveire contro le ragazze, colpevoli di mettere in pratica un loro diritto: manifestare.

“Ma andate a studiare/ lavorare”, “voi non sapete niente della vita”; sono madri, donne, lavoratrici che, con frasi lapidarie, disegnano perfettamente lo scenario di chi pensa che essere giovani significhi essere impreparati, belligeranti e incapaci di avere un senso critico e anche drammatico della realtà.

Qualcuna azzarda che sia “giusto che vi paghino poco, è la gavetta”, giustificando condizioni di sfruttamento e l’impossibilità di avere un lavoro dignitoso in uno stato “fondato sul lavoro”.

Ho sentito un “vi perdoniamo perché siete giovani”, ma in quel sit-in nessuno ha chiesto scusa o perdono, è stato solo chiesto il silenzio di chi legifera in maniera univoca e patriarcale.

Non cercano il dialogo e vengono tacciate di essere antidemocratiche e fasciste. A parte che il confronto è stato chiesto dalla ministra principalmente sull’utero in affitto, e non sull’aborto o sulle comunità lgbtqia+, ma la risposta più chiara e incisiva arriva da Michela Murgia durante un’intervista a Gramellini:

“Se volevi il dibattito, l’avresti fatto nel percorso di costruzione di quelle leggi e avresti trovato il modo per includere anche le posizioni conflittuali perché in democrazia la mediazione si fa prima delle leggi. Se prima fai le leggi e poi vuoi il dibattito, mi sento un po’ presa in giro.”

Un dialogo così ricercato che, a distanza di due giorni, la Ministra, intervistata da “Il Tempo”, continua a contestare il comportamento di Lagioia che poteva essere decisivo per il suo intervento; ovvero poteva sostenere i contestatori, ma al contempo li doveva mettere a tacere per far parlare lei.

In contrasto, ancora, con il suo atteggiamento apparente pacato durante la protesta del “non portateli via”.

La protesta è condotta da persone che sentono minacciate le proprie libertà. In tal senso, il collettivo rivendica le sue priorità: autodeterminazione, reddito, sanità, ecologia, contrasto alle disuguaglianze; ma i titoli dei giornali parlano di atti contro la democrazia e di violenza, stupendoci di quanto le testate giornalistiche possano essere impressionabili da cori, cartelli e voci. E riportano, sembra quasi con un senso di giustizia, il numero dei manifestanti (29) denunciati dalla Digos di Torino per violenza privata, mentre arriva con forza il sostegno di Saviano e Schlein.

Nessuno racconta di un palco recintato da uomini che guardano in cagnesco donne libere di manifestare, uomini che pretendono di poter gestire l’utero come se fosse un motore di una macchina, uomini che stanziano un milione di euro per associazioni antiabortiste mentre la sanità è al collasso, uomini che si imbarazzano o reputano immorale parlare di educazione sessuale nelle scuole.

Ad un certo momento, viene chiamato Lagioia, con il commento della ministra: “è grave che nel Salone che presiede non ci sia neanche la sua presenza”; come se il Direttore del Salone se la spassasse allegramente altrove e non che avesse qualche impegno nei giorni più intensi dell’evento.

Eppure arriva ed interviene nel modo più elegante possibile: “il Salone è un gioco democratico e nelle democrazie la contestazione ne fa parte”.

La democrazia non prevede giustificazioni, la democrazia è o non è, e quando non è, si chiama dittatura. Per questo l’atteggiamento di Lagioia è giusto, constata, invita ed assiste.

Viene quindi attaccato dalla deputata Augusta Montaruli: “vergognoso, sei vergognoso”. Ma Lagioia, diventato fin sa subito il capro espiatorio della situazione, fa ciò che è più democraticamente corretto: se la contestazione non è violenta, è legittima. La deputata ne approfitta per buttare fango su Lagioia: “faremo il rullo dei tamburi quando se ne andrà”.

Perché è questo che il governo aspetta: gioire per ogni persona di cultura che riesce a mettere a tacere.

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