“La penultima illusione” di Ginevra Bompiani

"Il testo è commovente. È narrativo, filosofico. Affronta temi fondamentali, come quelli della maternità mancata o approssimata, e del rapporto con il divino e con il potere, della scienza con la fede, dell’amore con l’autorità, del formalismo con la forma, del corpo con l’anima, dell’essere col divenire."

La penultima illusione è il ‘’libro dei ricordi’’ con cui Ginevra Bompiani, autrice e protagonista,
raccorda il rapporto tra le sue vite passate e il suo presente. Tutto ciò che si ripete costantemente
del vecchio e ciò che al suo tempo sembrava atto di modernità continuano una battaglia di cui il premio è dare un senso a tutto ciò che si pensa, o meglio, si dice.
L’ordine cronologico biografico viene abbattuto anzitutto tra racconti non lineari e frequenti
flashback, poi attraverso una simbolica numerazione dei capitoli. Ad esempio: 80.1, che indica
l’età che l’autrice ha nell’episodio narrato; e poi una una seconda cifra che scandisce, invece, le
rievocazioni legate a una specifica età.
Così scopriamo che a ottant’anni, con N., Ginevra insegue, per l’ennesima volta, il desiderio di
maternità: ha aperto la sua casa a N., una ragazza somala, della quale ha chiesto l’affidamento.
Con lei non è facile vivere: all’affetto e alla riconoscenza si alternano difficoltà e imprevisti.
L’ospite ha trascorsi travagliati e non dimentica la violenza alla quale ha assistito durante l’infanzia.
Anche il percorso per vivere in Italia è complicato: deve studiare, ambientarsi, integrarsi. Quando
riesce a superare le difficoltà, Ginevra è felice. Dal canto suo N. vuole osservare il ramadan,
desidera uscire la sera con gli amici, a volte scompare o si allontana (“È tornata. La casa canta“).
Nonostante la veda come la sua ‘’piccola antagonista’’ fa di tutto per rispondere all’insaziabile
fame d’amore che sente provenire da ogni frammento di lei. D’altronde lei così lo è sempre stata,
come lo testimoniano le esperienze delle molte case nelle quali ha vissuto, in città diverse.


In ogni racconto balza quel desiderio di dare un senso al suono e alle origini delle parole. Mentre
scrivo mi immedesimo in alcuni pensieri comuni: ad esempio “mamma” che per la protagonista
indica l’amore e l’initimità per eccellenza, mentre per N. un senso di rispetto anzitutto e poi
protezione. Così per come tutte quelle cose che in un occhio adulto hanno determinata forma,
mentre nel fuoco ormonale adolescenziale ne prendono tutt’altra, creando così anche dissapori e
malumori, di fatti nonostante Ginevra è desiderosa di accogliere l’ospite che ha sempre atteso
(l’inatteso, l’illusione), non riesce mai a snaturare sé stessa (vista probabilmente la sua tempra da
femminista dura). L’emblema della complementarità credo si possa riassumere in G. che eredita
dal padre, Valentino, la passione, e anche il lavoro, per i libri. Dopo aver curato per Bompiani la
collana Il Pesanervi (con la consulenza del marito Giorgio), nel 2002 avvia la casa editrice
Nottetempo, contraddistinta dall’eleganza e dall’accurata scelta degli autori. I libri sono una
costante, anche nei progetti speciali come le Biblioteche del Deserto o il soccorso alla biblioteca di
Sarajevo. Ma N. NON AMA I LIBRI, sembrerebbe quasi un episodio da sit-comedy.

In queste pagine si incontrano molti intellettuali (Eco, Arbasino, Filippini, Manganelli, Calvino) ed
anche molte di quelle cose lasciate in sospeso o spente del tutto (la laurea in psicologia, Il
Pesanervi, l’università, i viaggi nel mondo in guerra, il progetto delle Biblioteche del Deserto,
Nottetempo). A tal riguardo dice: “Non si erano esaurite, se non dentro di me. A ciascuna di loro
avrei potuto dedicare la vita, e invece no. Quando ho smesso di inventarle le ho lasciate andare“.

Il testo è commovente. È narrativo, filosofico. Affronta temi fondamentali, come
quelli della maternità mancata o approssimata, e del rapporto con il divino e con il potere, della
scienza con la fede, dell’amore con l’autorità, del formalismo con la forma, del corpo con l’anima,
dell’essere col divenire. Tra i moltissimi “personaggi” che intersecano la vita dell’autrice, però, ve
ne è uno che si impone, senza dubbio, quale protagonista: il linguaggio.

Nel libro emerge che la consapevolezza dell’autrice è che il senso di una parola dipende
dall’accordo che si è fatto con chi ascolta, che la lingua, al di fuori dell’esperienza antropologica
specifica, non è traducibile: scaturisce sempre dall’uso contestuale che ne fa il parlante. Così per aggirare lo scoglio dell’incomunicabilità e favorire la comprensione, Ginevra Bompiani si propone
di inventare parole che siano in grado di dire – o anche di tacere – la verità. Tra i neologismi che
spicanno ecco: impaesamento e madrimonio.

L’impaesamento coincide con un lento processo di appartenenza, di inserimento all’interno di una
società in termini di folklore e abitudini.


Il madrimonio che richiama nell’intenzione il – matrimonio -. Si può scegliere di diventare madri se
d’altra parte qualcuno lo vuole.


Tutto ciò che trasuda tra sogni, speranze e metafore pian piano, però, dà concretezza di quella che
è forse l’unica verità tangibile: la fine è sempre e solo una.


Personalmente è un testo che consiglio a tutti coloro che amano le biografie in senso stretto: non
una carrellata di eventi che sembrano un medagliere olimpico sotto doping, ma un racconto
effimero ed intimo allo stesso tempo, è un romanzo che parla di crescita, di ricerca della propria
identità e di come spesso la realtà possa essere molto diversa dalle nostre aspettative.
Ti fa scoprire emozioni e pensieri di una persona non solo tramite ciò che racconta, ma anche da
ciò che si racconta, da tutte quelle terze parti e personaggi (fugaci e meno fugaci) che nella vita di
ognuno posso dire qualcosa, e far dire qualcosa.

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