“In un buco nel terreno viveva uno Hobbit.”. No, tranquilli, il personaggio di oggi non viveva in un buco scavato nella terra, ma è così che si apre alla lettura una delle sue opere più rinomate, Lo Hobbit. A dire il vero, Tolkien visse anche in un buco nel terreno per qualche tempo. Durante la Grande Guerra, infatti, venne inviato sul fronte in Francia e quella esperienza in trincea, c’è chi assicura, gli diede lo spunto per costruire l’atmosfera e l’ambiente ad Est della Terra di Mezzo, ovvero Mordor con le sue paludi putrescenti, i miasmi, il fetore e la sensazione permanente che in quel luogo la vita non fosse benvenuta. Partiamo, però, dal principio.
John Ronald Reuel Tolkien nacque in Sudafrica nel 1892 da genitori originari della città di Birmingham, ma non vi rimase molto. Appena 3 anni dopo si trasferì con la madre sul suolo inglese e fu proprio questa ad esercitare sul piccolo John una grossa influenza letteraria sin dalla tenera età. Quello che, svariato tempo dopo, diverrà il grande filologo, scrittore, professore universitario e linguista, ebbe la sua musa proprio nella genitrice che fece nascere in lui la passione per le fiabe, le leggende e la mitologia. Alla dipartita di costei, nel 1904, John crebbe sotto l’ala di un sacerdote cattolico, Padre Francis Morgan e, sin dagli inizi delle sua carriera scolastica, mostrò una grande propensione per le lingue, specie quelle antiche come il finnico o il gotico, tanto da riuscire nel corso degli anni a seguito di un lavoro intenso a ricreare poemi in gallese antico o permettere la ricostruzione di opere letterarie arcaiche. Autore tra gli altri de Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli, Il Silmarillion e Beowulf, ecco a voi alcune curiosità sull’eclettico scrittore di Bloemfontein.
Tolkien e le fate
Gli appassionati dell’universo di Arda conoscono perfettamente la straordinaria capacità di Tolkien di dare vita a nuovi idiomi tra i quali l’elfico o la lingua nera di Mordor, ma pochi sanno che il tutto ebbe avvio con la lingua delle fate, primo vero esperimento di costruzione di una vocabolario fittizio, progenitore del Quenya, una tra le lingue elfiche. Trasse ispirazione dalle cugine Marie e Marjorie, che sentì utilizzare tra loro un linguaggio particolare, come i bambini ancora oggi sono soliti utilizzare quando vogliono divertirsi senza l’interferenza degli adulti. Notò che le parole fossero combinazioni di nomi di piante e animali fuse con numeri e chiese che gli venissero insegnate. In seguito, ai tempi della scuola, insieme all’apporto di alcuni compagni e già più consapevole delle sue attitudini da linguista, sulla scia del precedente modello, ideò il nevbosh, con l’aggiunta di regole sintattiche e lemmi presi in prestito da latino e greco. L’ultimo passo prima della consacrazione fu il naffarin, che conferiva ai suoi pregressi esperimenti un tono ed uno stile più colloquiale, per approdare infine all’interno del Legendarium alla maturazione del suo lavoro nel quale si riscontravano i crismi sia delle succitate lingue, sia di altre moderne come lo stesso italiano, il francese e lo spagnolo.

Figlio dei fiori
Difficile che un uomo vissuto fino al 1973 abbia potuto partecipare al movimento hippie, ma non altrettanto implausibile è l’influenza che Tolkien esercitò su quell’ambiente. Il Legendarium, infatti, con i suoi forti rimandi di carattere naturalistico, fu uno dei testi più apprezzati dai teenager americani e gli stessi elevarono spesso J.R.R. a loro Vate spirituale e fonte di continua ispirazione. Ci si opponeva alla Guerra in Vietnam al grido di “mellow freedom like that of the Shire”, auspicando tempi di pace come quelli della Contea, dove gli Hobbit, ignari e noncuranti del mondo oltre i dolci pendii di Hobbiville, vivono un’esistenza pacifica e in perfetto contatto con la natura. L’invasore americano assume i connotati di Sauron, l’Oscuro Signore che sempre cerca di soggiogare i popoli liberi ad Ovest di Mordor, antagonista principale nel racconto de Il Signore degli Anelli.
Wiston Tolkien
Così come Churchill, pur non amando mai l’ex primo ministro britannico, Tolkien fu ripugnato dalle idee nazionaliste del Fuhrer. Già professore di Filologia, prima a Leeds e poi ad Oxford, riservò parole al veleno per Hitler, reo di aver dissacrato la cultura germanica con la sua follia delle razze e il culto della gente ariana. Allo scoppiare del secondo conflitto mondiale l’astio verso il nazismo non fece che alimentarsi e all’età di 49 anni (nel 1941) Tolkien scrisse una lettera piccata sui dittatori dell’epoca, indirizzandola a Michael Tolkien, suo figlio. Su Hitler e la guerra: ” In questa guerra io ho un bruciante rancore personale, che mi renderebbe un soldato migliore oggi a 49 anni di quanto non fossi a 22, contro quel piccolo ignorante di Adolf Hitler. Sta rovinando, pervertendo, distruggendo e rendendo per sempre maledetto quel nobile spirito nordico, supremo contributo all’Europa, che io ho sempre amato e cercato di rappresentare in una giusta luce.” Nell’occasione della pubblicazione di un suo scritto si dispiacque perfino di non avere avi di origine ebraica di fronte all’editore che chiedeva lumi circa la sua discendenza.
Meled
Il titolo di questo paragrafo vuol dire letteralmente “Amore” in Sindarin, la lingua degli elfi grigi, spesso identificata con l’elfico in generale perché la più comune ai tempi dei racconti di Frodo e dell’Anello. Tolkien amò intensamente una sola donna, la sua Edith, conosciuta nel 1908. Al tempo del loro primo incontro John era appena sedicenne, mentre Edith aveva 19 anni. Il loro rapporto fu da subito impedito da Padre Morgan che vietò qualsiasi corrispondenza epistolare fra i due,(sia perché riteneva scandaloso il loro amore, sia perché la ragazza era protestante), almeno fino al raggiungimento dei 21 anni del ragazzo. Tolkien obbedì agli ordini e non scrisse né vide mai la sua amata fino al 21esimo compleanno, ma il legame tra i due era talmente forte da indurre Edith, promessa sposa di un altro uomo, a restituire l’anello di fidanzamenti al compagno, pur di ricongiugersi con l’amore della sua vita. Il loro rapporto è riprodotto nel mondo di Arda nel romanzo Luthien e Beren, pubblicato postumo, nel quale i protagonisti rappresentano le versioni fantasy di John ed Edith. La storia d’amore della immortale figlia prediletta di Eru Iluvatar – massima divinità nella cosmogonia tolkeniana – e di un uomo, Beren, il quale per ottenere la mano di lei estrasse un Silmaril, un gioiello, dalla corona di Morgoth (il Lucifero di Arda) ma morì prima di poterglielo donare. I Valar, (entità assimlabili agli angeli di matrice cristiano-ebraica) commossi da questo gesto, riportarono in vita il giovane amante e Luthien decise di rinunciare alla propria immortalità pur di vivere una sola vita insieme a colui che amava. Tolkien trovò comunque il modo per consacrare eternamente questo legame, ma ci sarà tempo per questa chicca.

Mellon: dite amici e poi entrate
Alle porta di Moria, la mitica roccaforte dei nani, i 9 protagonisti de La compagnia dell’anello (Gandalf, Frodo, Sam, Merry, Pipino, Aragorn, Legolas, Boromir e Gimli) si trovano di fronte ad un enigma. Un rompicapo ideato dai nani impedisce il passaggio e soltanto la parola segreta può aprire la via per i corridoi scavati sotto la roccia. Solo chi è amico, Mellon in Sindarin, può proseguire, una sorta di circolo privato. E di circoli privati, specie se letterari, era un grande fan lo stesso Tolkien, tanto da costituirne diversi nei vari luoghi dove si fermava a vivere. Il più importante è certamente quello degli Inklings, all’interno del quale strinse amicizia con Clive Staples Lewis, autore de Le Cronache di Narnia (sarebbe stato bello vedere Aslan il leone avventurarsi nelle terre selvagge oltre la Contea). Il prof. Tolkien, nonostante l’aura di riservatezza che avvolge la sua figura, pare essere stato un gran casinista, almeno fino al punto di presentarsi, insieme all’amico Lewis, ad una festa formale vestito da orso polare.

L’ombra di Morgoth sul futuro
L’epicità dei racconti di Tolkien pervade ogni sua opera, dall’avventura di Bilbo, protagonista de Lo Hobbit verso la montagna solitaria sino ad arrivare al nipote Frodo e il suo viaggio per distruggere l’Anello di Sauron. Ogni personaggio è contornato da luci e ombre, ma sul finire del racconto c’è sempre una morale positiva da poter cogliere … o almeno fino all’ultimo romanzo. Tolkien iniziò la stesura del capitolo finale della saga della Terra di Mezzo, ma non lo terminò mai. Lo stesso autore lo definì “cupo e deprimente”. Forse gli anni in trincea, insieme con la vecchiaia e gli orrori di una seconda guerra, contribuirono a suscitare un forte senso di disillusione e lo scoramento verso l’avvenire, fatto sta che lo scritto incompiuto aveva forti tinte oscure. Ambientato all’incirca 100 anni dopo gli eventi del Signore degli Anelli, narrava di un tempo di pace sotto il domino degli uomini; orrori però erano in agguato. Un male imperituro sempre pronto a farsi avanti quantunque gli esseri viventi si impegnassero a domarlo. Gli uomini che più di ogni altra creatura bramano il potere avevano finito per risvegliare antichi malanimi. Una setta devota a Morgoth (la divinità maligna di cui abbiamo già parlato) stava per far ripiombare il mondo nel buio. Purtroppo il romanzo non ci è mai pervenuto ed è un peccato, perché anche nella tenebrosità Tolkien era in grado di fornire preziosi insegnamenti ai suoi lettori.

Ed infine …
Ricordate ciò che vi ho detto in precedenza? Che ci sarebbe stato spazio per un’ultima chicca? Beh J.R.R. Tolkien non fu banale neanche nella morte. Se visitate il cimitero di Wolvercote nei pressi di Oxford alla ricerca della sua tomba troverete questa lapide.

Edith (Luthien) e John (Beren) insieme per sempre nel loro ultimo viaggio.
* Chicche bonus
Sapevate che Tolkien scrisse tutto il Signore degli Anelli utilizzando solo due dita? E che lo stesso Tolkien dichiarò che se fosse stato un personaggio di quella saga sarebbe certamente stato Faramir? Sì Faramir, il giovane capitano di Gondor, personaggio secondario della trama ma in grado, con il suo coraggio e la sua lealtà, di frapporsi senza esitazione al nemico incombente anche quando la speranza pare averlo abbandonato.
Cosentino classe 1995.
Studente di Giurisprudenza presso l’Università della Calabria e con un’inclinazione per l’ambito penalistico, ambisce alla carriera magistratuale grazie al suo amore per la giustizia e al bisogno di guardare sempre con occhio critico la realtà.
Sogna tutti i suoi mille sogni nel cassetto e condisce ogni giorno con una sana dose d’ironia.
Appassionato di politica, musica, cinema e sport!