La morte, nella nostra società, dà spesso il via a uno spettacolo ipocrita. Non importa quanti e quali siano state le azioni compiute in vita: improvvisamente, una volta che il sipario cade, si diventa eroi e santi.
Dimentichi delle azioni passate, una volta decedute, innalziamo al rango di “eroi” o “angeli”, anche quelle persone dal passato poco chiaro.
Questo può essere dovuto alla nostra disperata ricerca di consolazione dalla perdita o perché per nostra natura, tendiamo a idealizzare, in maniera generale, le persone.
Ma in realtà, parliamoci chiaro, si stanno solo ignorando le sfumature complesse e scomode dell’essere umano: perché è più difficile pensare che soffermarsi sulle marchette da pubblicità.
Non c’è una prima volta ben precisa in cui tutto questo è iniziato, e ciò a cui abbiamo assistito con la morte di Silvio Berlusconi, certamente non sarà l’ultima.
Minimizzare o addirittura cancellare le conseguenze di azioni negative è un aspetto interessante di questa farsa dell’ipocrisia post mortem.
Tutti possono cercare di redimersi e cambiare e sarebbe bello vederlo quando si è in vita. Non dobbiamo permettere che la morte diventi un pretesto per cancellare il passato.
Con questo articolo, voglio fare proprio questo: ricordare il passato del Cavaliere. Chi sono io per farlo? Probabilmente nessuno!
Nel caso specifico di Berlusconi, bisogna rammentare che è stato condannato per frode fiscale e che il suo nome è stato affiancato a frasi come “Mandante esterno delle stragi di mafia e finanziatore di Cosa Nostra; iscrizione alla Loggia P2 (per i meno attenti, associazione a delinquere finalizzata all’eversione); fautore di leggi ad personam; sostenitore fascista; implicazione nella prostituzione minorile; limitatore della libertà d’informazione; omofobia; scandali giudiziari etc. etc.
Tutto vero? Può essere!
Tutto falso? Certamente no.
Il che, pone una bilancia non perfettamente in equilibrio.
Parliamo di fatti e di di accuse, distrutti con la sola forza del potere avuto tra le mani che lo sviava da ogni cosa.
Parliamo di episodi che lo hanno accompagnato per una vita intera e no, non è solo l’invidia a far parlare.
Si sta perdendo contezza di ciò che accade davanti ai nostri occhi.
Facile ripararsi dietro a frasi come: “Ha portato il Milan sul tetto del mondo”; “Ha dato lavoro a tanti”; “Era un grande playboy”; “C’è chi ha fatto peggio”; “Ha dato la televisione a chi non poteva permettersi il canone”.
Dipingere qualcuno come “buono” nonostante alcune azioni contrastino con questo aggettivo, ci fa perdere di vista la realtà e ci fa scivolare nell’indulgenza verso chi ha fatto del male.
Dobbiamo anche considerare l’impatto che questa ipocrisia ha su chi ha subìto queste ingiustizie.
Le vittime e le loro famiglie, già di per sé messe da parte, possono sentirsi frustrate e ingiustamente trattate se la società idealizza il colpevole dopo la sua morte.
È fondamentale riconoscere che il processo di guarigione delle vittime richiede giustizia, supporto e il riconoscimento delle loro sofferenze, non il “Carnevale di Rio” dei funerali di Stato.
La narrazione che circonda la morte di un individuo coinvolto in azioni negative può quindi anche influenzare profondamente questo processo. E se ve lo state chiedendo, no, non è giusto!
È tempo che si smetta di partecipare alla farsa dell’ipocrisia post mortem. Non si tratta di negare la possibilità di cambiamento o redenzione di ognuno ma di adottare un approccio realistico e onesto che riconosca le azioni passate e le loro conseguenze.
Dobbiamo avere una visione più completa delle persone, anche dopo la loro morte. Quest’ultima non deve essere strumento per coprire tutto con il buonismo o incoraggiare una discussione aperta sulla complessità della natura umana: ovvero quel mosaico sfaccettato di tessere complementari.
Bisogna avere il coraggio e la consapevolezza necessari a costruire una società più responsabile o sarà un’eterna rincorsa di decessi, atti a far riscoprire quel buono finora mai visto.

Nasce a Cosenza nel luglio del 1989.
Laureato in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche, è attualmente dottorando di ricerca presso l’Università della Calabria.
I suoi interessi spaziano dalla scienza all’arte, da ciò che è tangibile a ciò che è astratto: l’importante è essere dentro le cose e capirne il valore.
Il suo sogno nel cassetto è quello di ritrovare la chiave per aprirlo!