Conosco Antonio Di Cori da diverso tempo.
Antonio è una di quelle persone che si appassionano facilmente, ma non senza criterio. È stato proprio lui a farmi approcciare al Pop Surrealism (o Pop Surrealismo nella sua versione italiana) ed è diventata una di quelle espressioni che, negli ultimi anni, gli ho sentito pronunciare centinaia di volte.
Il Pop Surrealismo è un movimento artistico nato in California negli anni ’70 del Novecento ed è figlio di una dicotomia ben calibrata che vede da una parte la Lowbrow Art di Robert Williams (letteralmente “di basso profilo”, anch’essa di matrice californiana) e, naturalmente, il Surrealismo in quanto creatura di Andrè Breton.
Raggiunge l’apice di diffusione e notorietà nel 2013, anno in cui si diffonde in tutta Europa, facendo la sua comparsa anche in diverse gallerie italiane.
Stiamo parlando di un ibrido estremamente affascinante, che porta con sé l’obiettivo di allontanarsi dall’arte accademica allo scopo di fornire al pubblico delle opere dal forte sapore underground.
Il mondo ha già conosciuto il potere del Surrealismo, con cui l’inconscio umano è stato sufficientemente smembrato in tutte le sue parti.
A tutto ciò aggiungiamo un pizzico di Pop Art e la presenza nello scenario americano di figure del calibro di Walt Disney.
Mixiamo il tutto e il gioco è fatto!
Ciò che apprezzo del Pop Surrealismo è il suo meraviglioso legame con il mondo onirico, con l’inconscio, con il suo voler proporre costantemente l’incanto della vita vissuta a occhi aperti. Fa prepotentemente leva sui concetti di significante e significato, trae spunto da grandi canali quali la televisione, smista voracemente i pensieri della società contemporanea, critica spietatamente e, senza remore, genera e scaraventa in faccia agli spettatori ogni sorta di paura umana.
Il Pop Surrealismo sguazza nel substrato mentale dell’uomo e se ne nutre senza vergogna.
Ora capisco perché ad Antonio Di Cori sia piaciuto così tanto.
Ad oggi, Antonio scrive poesie in stile pop surrealista e ha iniziato a sperimentare la poesia visiva anche su tela. Voglio saperne di più e gli chiedo da dove tragga origine la sua passione per questa forma d’arte:
«Ho iniziato a scoprire la poesia sul finire delle superiori, appassionandomi a quella francese dell’Ottocento, così come a quella italiana e straniera del Novecento (preferisco Ungaretti su tutti). A quei tempi frequentavo anche l’Istituto d’Arte, quindi nutrivo uno spiccato interesse per le arti visive».
Gli domando se si sia mai cimentato in qualche progetto in tal senso e mi parla di Fattoria Popsurrealism:
«Era il 2017, io non ho mai smesso di scrivere poesie, di coltivare quest’arte in disuso; è stato così che ho sentito nascere in me un immaginario estetico tanto vago quanto ben delineato. Iniziai a curiosare su Google e a guardarmi intorno, finché un bel giorno mi ritrovai a scoprire un nuovo genere di arte visiva contemporanea: il Pop Surrealismo. L’unione di Pop Art e Surrealismo mi apparve come un’iridescente strada da percorrere.
Notai che nessuno aveva pensato di trasferire una tale identità estetica in ambito poetico e ne parlai con un altro mio amico poeta; pensammo entrambi che quella fosse l’ispirazione giusta. Nacque così Fattoria Popsurrealism e a noi si unì all’istante Ada Alvaro, parte pratico-musicale.
Trovai interessante la possibilità di miscelare le mie varie influenze letterarie con la popculture in veste mediatica e infantile, traendo spunto dall’immaginario anni ’80 e ’90».
Chiedo ad Antonio se, a parte Ungaretti, abbia subito altre contaminazioni o influenze e come consideri la sua poesia. Mi risponde senza esitare:
«Mi diverte pensare alla multimedialità e sì, io ne sono stato ampiamente contaminato! Sono cresciuto con i cartoni animati giapponesi e la musica elettronica. Ho sempre letto anche William Blake. Ti dirò di più: penso spesso alla mia poesia come se fosse una filmografia di Kubrick o un album di David Bowie. Mi piace entrare e uscire dai generi, farli “deflagrare”, per citare Lucio Fulci».
Antonio ha all’attivo un’importante raccolta di poesie intitolata Slumberland, disponibile nel link in bio del suo profilo Instagram @antoniodicor e fruibile gratuitamente. Nelle sue poesie ha tradotto sapientemente il Pop Surrealismo in parola: leggerle equivale a visionare un dipinto pop surrealista a tutti gli effetti. Provare per credere!
Ho letto e apprezzato la sua raccolta. Voglio saperne di più, gli chiedo di parlarmi di Slumberland:
«Slumberland nasce come una pre-raccolta, una sorta di EP (la versione estesa a breve), per usare una terminologia di ambito musicale. Il nome nasce dal suggerimento di un’amica in pieno lockdown: io, lei e un altro amico parlavamo su Whatsapp di un vecchio cartone animato, poi trasformato in videogame, il cui protagonista era il piccolo Nemo con le sue avventure in Slumberland.
A sua volta, il cartone animato prese spunto da un fumetto di inizio Novecento, ideato da Windsor McCay. Un bimbo che vive delle avventure surreali nel mondo dei sogni? Onirismo puro! Perfetto per la raccolta! Decisi, inoltre, che la sezione dei testi doveva essere accompagnata da immagini surreali e psichedeliche. Così, io e la mia compagna Ada Alvaro aggiungemmo alcune foto accuratamente da lei selezionate».
Sorrido. Credo che Antonio abbia tanto talento e tante buone idee per la testa. Ma cosa vuole realmente suscitare nei lettori e quali sono i suoi prossimi obiettivi per il futuro?
«Il mio intento è sempre quello di far emozionare e immedesimare il lettore. Mi piace pensare che chi legge le mie poesie possa disconnettersi per un po’ dalla routine frenetica della quotidianità. Nel corso dell’ultimo anno ho studiato la poesia visiva, focalizzando la mia attenzione sul Gruppo 70 e Lamberto Pignotti. Ho iniziato a fare esperimenti di collage e a sperimentare svariate idee su tela e ho intenzione di spingermi oltre.
Ritengo che questo sia giusto un timido inizio».
Lo ringrazio. Mi ha trasmesso tanto. Lui sorride con
la bombetta
sul tavolo,
le pupille
in disordine,
la mente
altrove
Come in una sua poesia.
So già che andrà in cucina a preparare una buona tazza di caffè.
Cosentina, classe 1991, laureata in Lettere e Beni Culturali, con Magistrale in Storia dell’Arte presso l’Università della Calabria e fluente in Inglese e Francese.
Oltre ad un periodo di studi a Vizille in Francia e una formazione con Eugenio Santoro dedicata ai curatori di mostre d’arte, vanta un amore per
i pittori fiamminghi e il periodo Barocco e coltiva il sogno di imparare (almeno) dieci lingue.
Appassionata di culture mediorientali, cosmesi bio, viaggi, lettura, dolci e mare!