In ricordo di Bobbio, il filosofo dell’età dei diritti

"E tuttavia Bobbio sapeva bene che il progresso morale non è continuo né tantomeno irreversibile e che l’unica affermazione certa è che “la storia umana è ambigua, e dà risposte diverse secondo chi la interroga e secondo il punto di vista da cui ci si mette per interrogarla. Ciononostante - prosegue il filosofo- non possiamo non interrogarci sul destino dell’uomo, così come non possiamo cessare dall’interrogarci sulla sua origine, il che possiamo fare soltanto scrutando, ripeto ancora una volta, i segni che ci offrono gli avvenimenti"

“Dall’osservazione dell’irriducibilità delle credenze ultime ho tratto la più grande lezione della mia vita. Ho imparato a rispettare le idee altrui, ad arrestarmi davanti al segreto di ogni coscienza, a capire prima di discutere, a discutere prima di condannare. E poiché sono in vena di confessioni, ne faccio ancora una, forse superflua: detesto i fanatici con tutta l’anima”.

Oggi, 9 Gennaio 2022, sono ormai 18 anni che l’Italia deve fare a meno di pensieri illuminati come quelli di Norberto Bobbio, figura di intellettuale eclettico, riconosciuto “al tempo stesso [come] il massimo teorico del diritto e [come] il massimo filosofo [italiano] della politica […] nella seconda metà del Novecento“.

Chi, come la sottoscritta, ha intrapreso (e ormai terminato) il suo percorso di studi a Torino, sa bene come Bobbio sia considerato a tutti gli effetti “un maestro” da più generazioni di studenti.

Tuttavia, i suoi insegnamenti, che continuano a rappresentare un patrimonio insostituibile per la nostra cultura, sono stati un faro per tutta l’Italia, tanto che, nel luglio del 1984, ricevette dall’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini la nomina di senatore a vita, avendo “illustrato la Patria per altissimi meriti” in campo sociale e scientifico.

Al di là dei formalismi, Bobbio ci ha lasciato una vera e propria forma mentis, delle categorie mentali attraverso cui leggere e reinterpretare il presente.

Basti pensare che, circa trent’anni fa, fu proprio lui a definire autorevolmente l’età moderna come l’età dei diritti: una fase storica inaugurata sul piano filosofico dall’affermarsi del modello giusnaturalistico –contrapposto al modello aristotelico – e dunque di una concezione individualistica della società, che vede “dapprima un riconoscimento dei diritti del cittadino di un singolo stato per poi giungere al riconoscimento dei diritti del cittadino del mondo, di cui è stata la prima annunciatrice la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948”. Una vera e propria rivoluzione copernicana per Bobbio, che rappresentava un capovolgimento radicale nella storia secolare della morale”

In aperto dissenso con quella che era stata la storia del pensiero politico fino a quel momento, si cominciò a pensare il rapporto fra governanti e governati non più ex parte principis ma ex parte populi.

In questa inversione del rapporto fra individuo e Stato viene capovolto anche il rapporto tradizionale tra diritto e dovere: “nei riguardi degli individui vengono d’ora in avanti prima i diritti e poi i doveri; nei riguardi dello stato prima i doveri e poi i diritti”.

Sempre Bobbio, nell’omonimo volume “L’età dei diritti”, prendendo in prestito il concetto di “segno premonitore” dalla celebre filosofia della storia kantiana, aveva audacemente affermato che “l’attuale dibattito, sempre più ampio, sempre più intenso, sui diritti dell’uomo, tanto ampio da aver ormai coinvolto tutti i popoli della terra […] può essere interpretato come un signum prognosticum del progresso morale dell’umanità”.

E tuttavia Bobbio sapeva bene che il progresso morale non è continuo né tantomeno irreversibile – a differenza di quello scientifico o tecnologico – e che l’unica affermazione che si potesse fare con una certa sicurezza è che la storia umana è ambigua, e dà risposte diverse secondo chi la interroga e secondo il punto di vista da cui ci si mette per interrogarla. Ciononostante – prosegue il filosofo – non possiamo non interrogarci sul destino dell’uomo, così come non possiamo cessare dall’interrogarci sulla sua origine, il che possiamo fare soltanto scrutando, ripeto ancora una volta, i segni che ci offrono gli avvenimenti”.

Ebbene, quali sono i segni dei tempi che stiamo vivendo e come interpretarli?

La questione è certamente troppo ampia e complessa per provare ad offrire una risposta univoca e convincente. Ciò che è certo è che viviamo in una realtà a dir poco contraddittoria, in cui i diritti sono  stati oggetto di non poche operazioni di sabotaggio.

Come notò bene un’altra grande personalità della cultura italiana, Stefano Rodotà, la nostra epoca si è caratterizzata per una duplice spinta.

Se da un lato, difatti,  abbiamo assistito ad una fase di espansione e moltiplicazione, ossia la nascita di diritti sempre nuovi e diversificati, dall’altro non possiamo che denunciare una fase di contrazione, che riguarda  la perdita di effettività di quelli già esistenti, dovuta all’incapacità di non aver saputo fronteggiare le grandi sfide poste dalla globalizzazione, lasciando prevalere “esigenze di sicurezza” e “ logiche di mercato” avvertite chiaramente come predominanti.

Dagli anni in cui scriveva Bobbio, dunque, è avvenuto un ulteriore rovesciamento di prospettiva, che ha visto l’età dei diritti trasformarsi in quella che forse più realisticamente potremmo chiamare età dei mercati.

Era difficile da prevedere? Nient’affatto. Anche in questo caso, Bobbio è stato lungimirante- nonché illuminante.

In uno dei suoi saggi più illustri, dal titolo “I diritti dell’uomo, oggi”, il filosofo affermava chiaramente che i diritti dell’uomo, nonostante fossero stati considerati fin da subito naturali, non erano affatto dati una volta per sempre e perciò necessitavano di essere difesi.

Da che cosa? La risposta era data a Bobbio dall’osservazione semplice della storia: dal potere, da ogni forma di potere.

La lotta per i diritti ha avuto come avversario prima il potere religioso, poi il potere politico, infine il potere economico.

Dagli ideali – i diritti incorporati nelle solenni dichiarazioni del Novecento – alla rozza materia – le stesse dichiarazioni che quasi dappertutto rimangono lettera morta – direbbe sempre Bobbio. 

Cosa augurarsi dunque? Nel giorno dell’anniversario della sua scomparsa, mi piacerebbe ricordare proprio le parole di un uomo che a quel progresso morale tanto agognato ha sempre contribuito e che mai come adesso suonano come un monito di speranza laddove sembra non essercene quasi più.

“Il tempo vissuto – scrive Norberto Bobbio nelle ultime pagine de L’età dei diritti – non è il tempo reale: qualche volta può essere più rapido, qualche volta più lento. Le trasformazioni del mondo che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, sia per il precipitare della crisi di un sistema di potere che sembrava solidissimo e anzi ambiva a rappresentare il futuro del pianeta, sia per la rapidità dei progressi tecnici, suscitano in noi il duplice stato d’animo dell’accorciamento e dell’accelerazione dei tempi. Ci sentiamo talora sull’orlo dell’abisso e la catastrofe incombe. Ci salveremo? Come ci salveremo? Chi ci salverà? […]. Tanto la nostra memoria sprofonda in un passato remoto che continua ad allungarsi, tanto più la nostra immaginazione si accende all’idea di una corsa sempre più rapida verso la fine. È un po’ lo stato d’animo del vecchio che io conosco bene: per il quale il passato è tutto, il futuro, nulla. Ci sarebbe da stare poco allegri se non fosse che un grande ideale come quello dei diritti dell’uomo rovescia completamente il senso del tempo, perché si proietta nei tempi lunghi, come ogni ideale, il cui avvento non può essere oggetto di una previsione… ma soltanto di un presagio. […] È vero che altro è scommettere, altro è vincere. Ma è anche vero che chi scommette, lo fa perché ha fiducia di vincere. Ma se non si ha la minima fiducia, la partita è persa prima di cominciare. Se poi mi si chiede che cosa occorra per aver fiducia, riprenderei le parole di Kant dette all’inizio: giusti concetti, una grande esperienza, e soprattutto molta buona volontà”.

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