"Dalla Moka allo smartphone, il design, nel suo significato più intrinseco, è inesauribile, perché in una società in continua evoluzione, ci saranno sempre nuove esigenze a cui rispondere, nuovi problemi a cui trovare una soluzione"

Era il 1872 quando Passepartout, ne Il giro del mondo in 80 giorni, paragonava la città di Moka, nello Yemen, ad una tazzina di caffè per la sua forma, senza sapere che un giorno avrebbe dato il nome alla caffettiera più famosa al mondo.

“Moka Express, un capolavoro di design e comunicazione” si legge oggi sulla rivista Domus.

La Moka Express compie 90 anni, diventando non solo uno degli oggetti di design più apprezzati al mondo, presente nella collezione permanente della Triennale di Milano e del MoMA di New York, ma anche un oggetto di uso comune indispensabile a tanti.

Prima del 1933, infatti, si utilizzava solo la caffettiera napoletana, che aveva come inconvenienti facili scottature e l’impiego di troppo caffè per un liquido che risultava leggero.

Fu proprio in quell’anno che l’ingegnere Afonso Bialetti, osservando il lavoro delle lavandaie, ebbe un’intuizione semplice ma geniale. Per il lavaggio della biancheria, infatti, veniva utilizzato un mastello con il fondo bucato sul cui fondo veniva messa la lisciva (un miscuglio di cenere e sapone) che a contatto con l’acqua bolle producendo schiuma, la stessa che risale nella parte superiore dove erano contenuti i panni.

Bialetti applicò lo stesso principio, alla base della termodinamica, per progettare Moka: il serbatoio pieno d’acqua a contatto con il fuoco produce vapore, il quale dilatandosi provoca un aumento di pressione tale da spingere l’acqua nell’imbuto soprastante contenete il caffè, fino ad arrivare in superficie. A questa aggiunse un’estetica ispirata alle gonne a pieghe degli anni ’30.

Da allora in molti hanno cercato di imitarla. A tal proposito si pensi all’iconica Caffettiera La Cupola di Aldo Rossi per Alessi, Pulcina di Michele De Lucchi e alle altre versioni un po’ meno iconiche ma facilmente reperibili in un negozio di casalinghi.

Ma come ha fatto la Moka a guadagnarsi il titolo di oggetto di design?

Per rispondere a questa domanda bisogna chiarire innanzitutto il significato della parola design.

Tale termine inizia ad prendere piede già tra il 1400 e il 1500, quando venivano mostrate alle corti dei nobili i primi macchinari meccanizzati, trattati alla stregua di giocattoli. Assunse però il significato che ha oggi nel 1851, grazie al progettista Henry Cole, in occasione della Prima Esposizione Universale, organizzata a Londra.

Il concetto era quello di liberare gli oggetti da inutili ghirigori e dar loro utilità, unendo l’arte con la progettazione e l’ingegneria. Il design è la soluzione di un problema, la risposta alla portata di tutti di un’esigenza, grazie alla rapidità di realizzazione di prodotti di qualità, anche in serie, che viene favorita da una produzione industriale sempre più raffinata.

Ma quanti altri oggetti di uso comune si sono guadagnati questo titolo senza che ce ne rendessimo conto?

La penna a sfera

“Vendimi questa penna” ripete Leonardo di Caprio in The Wolf of Wall Street, mostrando una penna a sfera

La famosa biro, protagonista della scena, fu inventata nel 1930 dal giornalista ungherese Laszlo Jozef Bíró, da cui prese il nome.

14,90 cm alla portata di tutti, ma inventarla fu un vero colpo di genio.

Bíró provò a sostituire il tipo di inchiostro delle penne stilografiche con quello delle rotative che stampavano i giornali. Il nuovo liquido era però fin troppo viscoso e rendeva difficoltosa la scrittura e così a Bíró venne un’altra idea: all’interno della punta inserì una piccola pallina metallica che permetteva la distribuzione omogenea dell’inchiostro.

Nel 1950 Marcel Bich ne acquistò il brevetto e lo perfezionò. Ecco a voi la famosa Bic, un oggetto così piccolo ma pensato nei minimi dettagli: il tappo, dello stesso colore dell’inchiostro, presenta un foro alla punta per impedire il soffocamento in caso venga ingoiato, la sfera di metallo aiuta il movimento di scrittura, il fusto di forma esagonale per un maggiore comfort durante la presa e per impedirne il rotolamento quando la si posa, presenta un foro per il regolamento della pressione interna atto ad evitare fuoriuscite di inchiostro. Imitata in tutto il mondo, tutti ne abbiamo almeno una in casa, in macchina, in borsa, in ufficio.

La lampada da tavolo

Vi ricordate come iniziano i film Pixar? Sì, esatto, con quella lampada che saltella da un angolo all’altro dello schermo. Per chi non conosce la storia del design potrebbe sembrare una qualsiasi lampada, ma non è così.

La lampada della Pixar può essere considerata proprio la prima lampada da tavolo e ad inventarla, nel 1931, fu l’ingegnere britannico George Carwadrine. La Anglepoise è composta da una base molto pesante e un braccio molto snodato che con il supporto di quattro molle permetteva di spostare la lampadina su e giù, piuttosto che avanti e indietro, o come si desiderava.

Era la lampada perfetta per i blackout in tempo di guerra, e se abbassata, permetteva di illuminare qualcosa da vicino senza tenerla in mano.

Con l’avvento di nuove invenzioni, si è evoluto anche il design, fino ad arrivare ad oggi, momento in cui con il termine “lampada da tavolo” non ci riferiamo ad una sola linea di lampada, ma troviamo un mondo. I designer negli anni si sono reinventati e hanno disegnato lampade da tavolo adatte a tutti, dagli amanti degli animali agli amanti della natura, passando per le personalità più pratiche.

La bottiglia del Campari Soda

Chi non ha mai preso uno spritz in spiaggia? Team Aperol o Team Campari?

Avete presente la classica bottiglietta trapezoidale monodose? All’inizio degli anni Trenta del secolo scorso l’azienda del milanese Davide Campari decise di lanciare sul mercato un prodotto assolutamente innovativo: il Campari Soda, primo aperitivo monodose, che proponeva il bitter miscelato alla soda direttamente in bottiglia, già nelle giuste dosi, senza bisogno di aggiungere il selz con l’uso del sifone.

Ma l’innovazione di prodotto non avrebbe avuto l’impatto e il successo che ha riscontrato senza l’innovazione della bottiglia. Disegnata da Depero e commissionata alla vetreria Bordoni, la bottiglietta a forma di tronco di cono o a calice rovesciato, in vetro trasparente smerigliato, con le scritte stampigliate in rilievo sul vetro, unita alla visibilità del colore rosso della bibita, rientra in quella ricerca di sinestesie che era tanto cara alla cultura delle avanguardie del primo Novecento.

Tutte queste particolarità, unite alla speciale tonalità del rosso della bibita e all’assenza di un’etichetta di carta, tipica invece in tutti gli alcolici presenti sul mercato, fecero del Campari Soda un prodotto capace di rompere le convenzioni e di inaugurare nuove strategie di seduzione del pubblico.

Frutto di una collaborazione fra Davide Campari e uno degli esponenti di spicco del movimento Futurista, Fortunato Depero, la bottiglietta del Campari Soda è la testimonianza oggettiva di una stagione della nostra storia e della nostra cultura in cui le aziende si rivolgevano agli artisti per progettare la propria comunicazione e gli artisti non disdegnavano di mettersi sul mercato.

Qualsiasi bitter presente sul mercato oggi ha la bottiglietta monodose di quel formato, anche quelli dei peggiori discount.

La sedia pieghevole

Non sei un designer degno di nota se non hai mai disegnato una sedia che ti rappresenti.

Ecco che nascono le sedie icona del design moderno, dalla chaise longue LC4 e dalla poltrona LC2 Cassina di Charles-Édouard Jeanneret-Gris, più comunemente noto come Le Corbusier, alla sedia Louis Ghost, progettata da Philippe Starck per Kartell, per citarne alcune che troviamo facilmente in copia all’Ikea o su Amazon.

Inoltre, avete presente la poltrona a forma di volto usata da Lupin nella serie Netflix? È Nemo, una creazione di Fabio Novembre disegnata per Driade.

Ma la sedia più usata, quella che tutti hanno in casa quando “c’è un amico in più” è la sedia pieghevole.

La prima fu la classica sedia da regista, elemento di design considerato un vero e proprio status symbol, oltre che elemento funzionale. Tale seduta affonda le sue radici nell’antico Egitto, dove veniva utilizzata dagli ufficiali dell’esercito.

Nel corso degli anni, questo modello di sedia è diventato oggetto di grande fascino per i designer, anche se il vero cambiamento è avvenuto quando il designer Giancarlo Piretti ripropose nel 1967 il concetto di sedia pieghevole con il suo studio sul perno a 3 dischi, considerato un colpo di genio. La combinazione di telaio in acciaio e polipropilene ha spianato la strada alla sedia che è diventata oggetto di culto.

Lo smartphone

Chi è oggi il miglior amico dell’uomo? Secondo un vecchio modo di dire è il cane, ma in realtà è lo smartphone!

Fino a ieri era probabilmente solo un’arma di distrazione di massa, ma negli anni è diventato uno strumento indispensabile a lavoro, un archivio dove trovare tutto, un negozio con orario continuato, ma anche un vero e proprio oggetto di design.

Il primo telefono chiamato “smartphone” fu il modello GS88 prodotto dalla Ericsson nel 1997. In quegli anni, il mercato dei telefoni cellulari (smart e non) era dominato da pochi marchi, tra i quali Nokia, Ericsson, Motorola e RIM, che produceva i modelli Blackberry.

L’iPhone, dunque, non è stato il primo smartphone della storia, anche se è stato quello che ha reso popolare questo concetto, diventando poi il paradigma con il quale esso si è diffuso nella nostra società. Pensandoci bene, Jobs e la Apple non inventarono nulla di nuovo: il dispositivo non era nient’altro che un telefono che integrava al suo interno un computer… ma in tutti i suoi dettagli e le sue caratteristiche, dai materiali al sistema operativo, fino all’interfaccia e alle icone, l’iPhone è stato qualcosa di mai visto prima. Vetro e metallo avevano sostituito la plastica, la batteria, integrata nella scocca, non poteva essere estratta, lo schermo era gigantesco e la tastiera fisica era del tutto sparita.

Il sistema operativo era rivoluzionario (Apple iOS), così come l’interfaccia utente, che prevedeva solo l’uso delle dita e un sistema di gesti multi-touch. Oggi non è pensabile un’altra idea di telefono portatile.

Lo Chief Design Officer di Apple, dal 1997 al 2019, è stato Sir Jonathan Paul Ive, lo stesso che ha disegnato, oltre all’iPhone, tanti atri prodotti Apple, quali iPod, iPad, iMac, MacBook Air, Apple Watch e AirPods.

Dalla Moka allo smartphone, il design, nel suo significato più intrinseco, è inesauribile, perché in una società in continua evoluzione, ci saranno sempre nuove esigenze a cui rispondere, nuovi problemi a cui trovare una soluzione. Oggetti sconosciuti e oggi lontani dal nostro immaginario, un giorno, potrebbero diventare qualcosa di indispensabile e di uso quotidiano, tutto questo grazie all’osservazione, alla creatività, al genio e alla progettazione: grazie al design!

Quindi: to be continued…

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