Il coraggio di essere vive: un dialogo tra Fallaci e Pozzi

"Oriana Fallaci e Moana Pozzi muoiono entrambe il 15 settembre, l’una a 12 anni di distanza dall’altra. Un incontro che attraversa il tempo, ma che ha il sapore di una rivelazione."

15 settembre 2006, “l’alieno” – è così che chiamava il suo male – ha vinto.

La magnifica penna cade in un suono sordo. Oggi nessun inchiostro tingerà il foglio bianco.

Oriana, la donna del dubbio, non è solita rifugiarsi tra le braccia della fede: le sembra impossibile destarsi dal capezzale. E invece ora si ritrova a dover discutere per un’ultima volta la sua arringa, come a prendere commiato da un mondo che le ha riservato fasti e nefasti.

Il palco, però, questa volta è vuoto: un teatro nudo e buio. Mentre rivolge lo sguardo verso quell’oscurità, ecco accendersi il riflettore e illuminare lentamente un punto più in là dal suo sguardo.

Nonostante siano trascorsi 12 anni da quello stesso giorno, Moana non ha perso il suo sorriso travolgente, seppur tanto fragile.

Oriana non si raccapezza.

Aveva espresso un unico desiderio, prima di accomiatarsi dalla vita: rincontrare il suo amore, colui che le aveva insegnato cosa volesse dire essere “un uomo”.

E invece no. Davanti a lei non c’è alcun uomo, ma una donna… una donna avvolta in un sontuoso abito rosso, con una vistosa scollatura… proprio uno di quei vestiti che Oriana non avrebbe mai indossato.

Una sagoma che la guarda con occhi trasognanti, a tratti invadenti. Eppure nessuna volgarità trapela da quel corpo.

Due donne diverse: l’una sobria – talvolta fino all’impenetrabilità -, e l’altra gentilmente impudica e sprezzante, icona dell’eccesso e di una stravagante eleganza. A parte la morte e la malattia – livelle tra le livelle – queste due figure, in vita, non avrebbero condiviso nulla, se non il loro essere donne.

«Dunque, cos’hai da dire? Ti ho aspettato per 12 anni.», irrompe Moana.

«Cosa ti aspettavi esattamente? Un fantasma immorale tanto quanto te?», ribatte Oriana, mentre un brivido di freddo serpeggia lungo la schiena di entrambe. L’aria s’è fatta gelida e rarefatta.

«Se c’è qualcuna di immorale tra le due quella di certo non sono io.»

«Come definiresti una donna che vende a buon mercato la propria intimità, facendone addirittura il proprio lavoro?»

«Semplicemente una donna libera e consapevole di sé

«Libera è una donna che non ha la necessità di mettere in mostra nulla, se non la propria intelligenza. Non ho avuto bisogno di accavallare le gambe, né di genuflettermi per essere considerata dai grandi del mondo e per avere una certa influenza sugli uomini.»

«Hai detto bene:  “una certa influenza sugli uomini”. Forse non avrai dovuto accavallare le gambe e certamente ti sarai risparmiata il rossetto, ma almeno io sono stata amica di tutti: uomini e donne. Tu, invece, hai avuto perfino il coraggio di discutere con chi tentava di combattere per la nostra emancipazione!»

«Io ho dimostrato a quelle “false amazzoni”, femministe di cattiva memoria, che è possibile fare qualsiasi lavoro come un uomo o anche meglio di un uomo. E, invece di ringraziarmi per avergli spianato la strada, mi hanno ricoperto di insulti!»

«Hai l’ardire di mettere a confronto quegli insulti con le offese, con il ricorrente “puttana”, accostato al mio nome prima di qualsiasi altro attributo?  Quell’epiteto è stato il primo biglietto da visita e il sottotesto di tutti i “sei bellissima”, che mi hanno rivolto. Perdonami, ma non mi dilungherei oltre su questo punto. Non potresti comprendere quanto ne abbia sofferto.»

«Non è mio costume giudicare le pene altrui. Ma lasciami dire, senza troppi indugi, che talvolta ti sei impegnata a dare adito a certe accuse. Sei arrivata persino a candidarti a capo di un partito politico: il “Partito dell’amore”… proprio la degna conclusione di quello sfacelo, comunemente definito “Prima Repubblica”.»

«Sei così brava a sottolineare e a rimarcare i punti deboli degli altri che non fai mai caso ai tuoi.

Che dire di te? Che ti sei guadagnata il titolo di fomentatrice d’odio tra i popoli, sentenziando la superiorità della cultura occidentale rispetto a quella medio-orientale e offendendo, senza alcun diritto, la libertà di quelle donne che avevano fatto semplicemente una scelta diversa dalla tua?»

«Non osare! Sei l’ennesima Penelope pronta ad andare in guerra senza armi, l’ennesima donna che vuole fare la rivoluzione entro le mura della sua casa. Ma tu non capisci… dovevo farlo! Lo scontro era e sarà inevitabile. Se rinunciassimo a difendere le libertà che abbiamo conquistato, versando sangue, correremo il rischio – tutti – di rendere lettera morta i diritti che abbiamo conquistato! Non sarebbe potuta andare diversamente. E qualcuno doveva opporsi… lo ribadisco: dovevamo farlo per tutti

«Tu mi parli di opposizione, pensando che non possa capirti. Non sai quanto ti sbagli. Tutti, nel corso della mia vita, hanno avuto da ridire, in un modo o nell’altro: gli uomini che mi adoravano, quelli che mi usavano e quelli che mi ripudiavano… penso alle donne, quelle che in me hanno visto solo un personaggio e mai una persona; e, per questa ragione, mi hanno etichettata come “cattivo esempio”. Ma penso anche alle tante che hanno lottato per me e con me. Forse non me ne sono mai curata abbastanza.»

«Non credere che a me sia andata diversamente… al contrario. Non c’è stata nessuna delle mie scelte che sia stata immune al biasimo; perfino quando si è trattato della mia stessa vita! Di decidere, per amore della mia dignità, se e come curare il mio cancro.

Ecco sì, cancro, finalmente l’ho chiamato per nome, il bastardo! E sai cosa ti dico? Non rimpiango nulla.

Non rimpiango nessuna delle lotte compiute, né di essermi battuta contro una cultura, contro un’ideologia o contro un potere; non rimpiango di aver amato un amore tanto impossibile quanto incapace di morire; non rimpiango di aver scelto sempre la strada meno battuta: quella delle “cause perse”, perché la prima che ho intrapreso, e l’ultima che ho affrontato, è stata proprio la mia.

Tante volte ho paragonato la malattia ad una guerra. Ma forse la vita stessa è una guerra. Io l’ho combattuta senza mai tradirla. Senza mai rinunciare ad essere fedele a me stessa. Anche oggi che la vita l’ho lasciata.»

«Forse ho perso la mia causa difficile. Quanti vuoti tra i miei pensieri, quanta solitudine in quella grande contraddizione che è stata la mia vita: il bisogno di sentirmi così donna e, al contempo, la ricerca disperata di una libertà da “uomo disinibito”. Ma non provo nulla di diverso da quello che provi tu: il coraggio di essere me stessa, l’assenza di rimpianti per non essere diversamente da ciò che sono.

Non mi rimprovero nulla: la lussuria e lo scandalo; il rifiuto per l’ipocrisia e il silenzio; la rottura con chi diceva di amarmi, ma senza accettarmi.

Il cancro ci ha portato via lo stesso giorno, ma, forse, non è l’unica cosa che ci accomuna.»

Post scriptum.

Oriana Fallaci e Moana Pozzi muoiono entrambe il 15 settembre, l’una a 12 anni di distanza dall’altra. Non è mai avvenuto alcun incontro tra le due, ma gli autori si riservano la libertà di immaginare che, se mai fosse accaduto, entrambe avrebbero reso omaggio al coraggio dell’altra.

Nella settimana dedicata alle donne, gli autori si augurano che i lettori possano ricordare il valore e la libertà di essere sé stessi – uomini e donne – e che vada incoraggiata e rispettata sempre la possibilità di sbagliare, ché, talvolta, equivale a vivere.

Con dignità.

Lascia un Commento