“Hai paura, non è così?”
Luca mi parla dall’altro lato della porta, lo sento attraverso il legno consumato e sporco, mentre me ne sto accovacciato ai piedi del bagno, sull’ultima mattonella grigia.
Scuoto la testa di riflesso, penso “Si, cavolo se ho paura” ma taccio, ancora una volta.
Fisso le lancette del mio Swatch blu e celeste con una certa ansia, perché so che prima o poi mi toccherà uscire e affrontare il fatto che Roberta mi abbia detto che non vuole uscire con me. Io le ho chiesto semplicemente di andare a prendere un gelato insieme dopo aver fatto i compiti di matematica per lunedì. Eppure, lei ha pronunciato la sillaba più sconfortante di tutto l’universo: no. Enne O. Hai capito, Carlo? E il peggio è stato che io sono rimasto lì fermo, come un cretino, ad aspettare che lei inventasse una scusa, che mi dicesse di essere già impegnata e che avrebbe preferito un altro giorno, e invece ha detto solo “No”. Così, in maniera secca e tutto d’un fiato. Lo ha detto allo stesso modo in cui lo direbbe mia madre qualora le domandassi se posso mangiare solo cotoletta e patatine fritte o come lo direbbe mio padre quando gli domando se posso rimanere sveglio fino a tardi a guardare un film con lui. “No”. Così, ho mollato il mio panino e prosciutto crudo a Luca e sono scappato in bagno. Ho girato la chiave due volte, così da non avere seccature. Mi sono seduto in un angolo e ho chiuso gli occhi fortissimo per scacciare le lacrime. In realtà non volevo piangere, perché piangere è da stupidi, ma non ci sono riuscito. Le lacrime mi hanno rigato il volto per circa cinque minuti- lo so perché ho controllato l’orologio -, poi hanno smesso. Per fortuna non ho singhiozzato, perché mi sarei sotterrato.
Alzo il cappuccio della mia felpa verde, colore infelice, e stringo il laccio così che il mio volto paffuto da perdente scompaia nel tessuto. Da dietro la porta, sento Luca sbuffare. Credo si sia arrabbiato perché non gli rispondo, ma io non posso farci nulla.
Ho paura e non voglio tornare in classe. No, non ci penso proprio.
“Carlo, non puoi avere sempre paura di tutto, non puoi pensare che vada sempre tutto come speri e come hai calcolato. Sei molto bravo in matematica, è vero, ma queste cose sfuggono alle tue operazioni. Le ragazze, poi, mica sono come le espressioni! Lo sai, vero? Però, non è che se nella vita le cose non accadono come noi speriamo dobbiamo scappare. È da scemi, e tu non lo sei.” Fa una pausa, aspetta che io dica qualcosa. Ma non ci riesco, me ne sto lì. Fermo. Non mi muovo.
Allora Luca batte un colpo sulla porta e dice “Ascoltami bene, prima che ti pianti in asso: hai tredici anni, sei il più bravo della classe, hai voti altissimi e pure un telefono nuovo! Lo so che ti è costato tanto chiedere a Roberta di uscire, ci abbiamo pensato per settimane, e magari lei poteva essere più carina con te, è vero, ma questo è stato un tentativo. Ci pensi a quello che hai fatto? Hai chiesto ad una ragazza di uscire! E mica è roba da poco. Hai avuto coraggio! Come nel nostro videogioco: non hai avuto paura di affrontare il nemico. Perché non provi a vedere le cose in questo modo? Ti farebbe sentire meglio! È da bambini chiudersi qui dentro”.
Le sue parole mi spezzano in due: vuole dirmi che sono debole? Lo sono. Vuole dirmi che sono un vigliacco? Lo sono. Ho avuto una cotta per Roberta per mesi, e speravo che lei mi dicesse di sì, ma non lo ha fatto. Sono brutto, forse. Sono un po’ grasso, temo. Di sicuro non le piaccio.
Mi alzo la felpa e mi osservo la pancia: fuoriesce un po’ dai pantaloni, questo sì, però non sono come Danilo. Anche se questo non dovrei dirlo. O magari mi ha detto di no perché è da sfigate uscire col più bravo della classe, specie se è un po’ grassottello e bruttino. La verità è che non lo so perché Roberta mi ha detto di no, e non importa che oggi io indossi le scarpe nuove, perché lei non lo ha neanche notato. Così, alla fine cedo. “Ho paura”.
“Lo so” risponde Luca con estrema calma “Ma se non esci tra poco, ci beccheremo una nota e un quattro”. Al suono di quelle parole giro la chiave nella toppa ed apro la porta.
Da sotto il cappuccio intravedo il mio amico che gioca con la carta stagnola del mio panino mentre ridacchia divertito: “Bastava così poco per farti uscire? Dirti che ci avrebbero messo quattro? A saperlo prima…”
“Secondo te mi ha detto di no perché sono brutto e un po’ grasso?”
Luca sbuffa e mi tira una gomitata dritto nelle costole. “Adesso basta! Dobbiamo parlare ancora di Roberta?”
“Allora mi ha detto di no perché sono un secchione”.
“Forse” risponde Luca, mentre mi tira per un braccio verso la classe.
Il mio amico non mi risponde più ma continua a trascinarmi, e seppure io continui ad avere paura di rientrare, sedermi e vedere Roberta, so che Luca troverà il modo per farmi sentire meglio.
Ho un po’ meno paura, adesso.
Docente, laureata in Lettere Classiche e Filologia Moderna.
Ha conseguito un Master in Economia e Organizzazione dello Spettacolo dal Vivo, perché il suo sogno nel cassetto è di diventare la giovane manager degli artisti lirici italiani nel mondo.
Dalla spiccata sensibilità, fa dell’istruzione la sua missione quotidiana, plasmando giovani menti, e fa volontariato in ospedale grazie alla sua prepotente voglia di aiutare il prossimo.
Appassionata di musica (di ogni genere), lettura e scrittura, soprattutto creativa.