Qualcuno è ancora convinto che siano solo le persone in carne ad essere prese di mira per il loro aspetto fisico? Ebbene, ora tocca anche a quelle più longilinee: la società sembra non voglia accettare nemmeno quelle! Adesso anche i corpi magri sono “troppo magri”, subiscono insulti e giudizi, al pari di quelli curvy. Nel grande magazzino del body shaming, non c’è solo il reparto delle taglie forti. Per chi non lo sapesse, esiste anche lo “skinny (o thin) shaming”, skinny proprio come i miei jeans.
Fenomeno diffuso e globale, in Italia se ne sentiva parlare di meno. È riecheggiato maggiormente dopo Sanremo 2020, per i ripetuti ‘devi mangiare’, ‘come sei magra’ di Masini alla collega Elodie. I casi sono molteplici. Basta andare a leggere fra i commenti sotto le foto della Santarelli o di top model come Bella Hadid e la Ratajkowski. Corpi esili e in forma, ugualmente presi di mira.
Ma il body shaming, si sa, miete vittime dai tempi di Rosso Malpelo. Maschi e femmine ne sono vittime ma, stando alle statistiche, a far più parlare è -guarda un po’!- il corpo delle donne. Donne “troppo in carne”, donne “troppo magre”, donne “tududu” che si trovano ancora costrette fra i giudizi di una società sempre più imbrigliata nei canoni estetici del momento, dettati da televisione, social e moda. Proprio quest’ultima li ha offerti per intere epoche e adesso sembra stia lavorando per smontarli con lo spazio dato alle modelle curvy. Attualmente la parola d’ordine è contrastare il fat shaming e combattere la fatphobia degli ultimi decenni, smontando l’idea del “body perfect” anni ’80 sgambettante a ritmo di aerobica in Tv.
Le donne famose per prima hanno iniziato a mostrare pancetta e smagliature senza vergogna (era ora!). Ma mentre fino ai primi anni duemila un corpo asciutto da ragazza di “Non è la Rai” rappresentava il “corpo bello” e in forma, ora, in un periodo storico di scontento generale ed in cui tutto è esasperato, nemmeno il corpo magro va più bene. Sui social si è creata una pubblica piazza: mercati rionali in cui non c’è pretesa di vendere niente ma solo di regalare insulti codardi e ipocriti.
Rea è l’oggettivazione: si dà valore al solo aspetto esteriore di una persona, non a questa in quanto tale. Il corpo diventa appunto oggetto da valutare in relazione al potenziale gradimento sessuale. A determinare successo e apprezzamento, è quindi il livello di bellezza. Il body shamer, per primo, ha questa distorta e interiorizzata percezione delle cose, che si esplica nell’auto-oggettivazione e che porta a commisurare il proprio valore in base allo stereotipo, rincorrendo una forma ideale, per sé e per l’altro. Perché se non siamo conformi all’idea che l’altro ha di noi, se sforiamo i contorni della sagoma che l’altro, nella sua testa, ha disegnato per noi, allora siamo “troppo”. Adesso è il turno delle ‘troppo magre’, anche se sono così per costituzione e qualcuno direbbe per pura “fortuna”.
Ecco, io sono (o ero) una di quelle ragazze “fortunate” (non perché mi hanno regalato un sogno!). Tornando indietro nel tempo, nel cortile di scuola, per me è stato “facile” vivere l’adolescenza. Non venivo presa in giro per il mio corpo, al massimo per l’apparecchio. Crescendo, sono diventata più magra di prima. Niente di stravolgente, nessuna dieta speciale: genetica e metabolismo. Poi il tempo cambia, ridisegna, riadatta. Ma se fino a qualche anno fa potevo ben considerarmi una thin-privileged, adesso, con frequenza esasperante, mi tocca sopportare battute ed uscite, a tratti compassionevoli, sulla mia magrezza, sul mio umore, sulla mia alimentazione. Dai preoccupati per il mio aspetto da orfanella dickensiana, si arriva anche allo ‘psicologo mancato’, che diagnostica una presunta anoressia. Ora. Questo non è termine da usare con leggerezza, non fosse altro che per rispetto nei confronti di chi, quel mostro, lo deve affrontare veramente, al pari di un problema di bulimia o obesità.
Anoressia non è sinonimo di magrezza: è un disturbo alimentare.
‘Mi piaci con qualche chilo in più’ non è offensivo, ma lo è ‘Sei troppo magra’, ‘Ma mangi?’, ‘Ti si vedono le ossa!’, ‘Deperita!’. Questo, sappiatelo, è un vero e proprio attacco psicologico, esattamente come lo è un inopportuno ‘sei grossa, mangia di meno!’. Allora perché una persona magra dovrebbe tollerarlo?
Cari giudici popolari, l’attaccare l’altro col vostro pensiero, con le vostre infondate preoccupazioni, non è elegante, non è produttivo e no, non è richiesto. Non devo giustificarmi né per il mio aspetto né per come il mio metabolismo risponde dopo un tipico pranzo domenicale calabrese. Sarà che, al di là dell’aspetto sociale e culturale, il problema è che non avete niente di meglio da dire? Però attenti a chi vi rivolgete, non tutti si difendono con ironia. Qualche anima fragile proverà vergogna, disagio, imbarazzo, non si sentirà adatta, non ci riderà su, tornerà davanti al suo specchio chiedendosi cosa c’è che non va in lei: state potenzialmente provocando disturbi alimentari e depressione.
Amareggiante è che la maggior parte dei commenti negativi mi arriva dalle donne. Servirebbero un po’ più di solidarietà femminile e un po’ più di parole gentili, il linguaggio è il primo strumento che abbiamo per cambiare l’immaginario collettivo. Sforziamoci allora di metterci tutte sullo stesso piano per guardare quanto siamo belle, l’una con la vita stretta e l’altra con i fianchi di Marylin.
Invece di assecondare un canone estetico e valutare qualcuno in base a quello, non sarebbe meglio iniziare a modificare il modo di definire la ‘bellezza’?
Ci si può vedere meglio con dei chili in più oppure si può preferire perdere peso. Ogni corpo è bello perché diverso. Trovo positivi gli spot della DOVE in cui vengono mostrate donne con ogni fisico e senza distinzione alcuna di peso, diversamente da altre pubblicità dove le donne sono tutte magre e la modella curvy viene inserita solo per una questione di politically correct. Donne tonde, magre, alte, basse, timide, spavalde… sorridenti. Alla fine è la positività che sprigiona energia e fascino. La sicurezza la troviamo mettendoci in gioco e scegliendo di coltivare quello che più ci piace, che ci appaga e sì, anche curando corpo e alimentazione. È diritto di ognun* sentirsi e vedersi bell*.
Per il momento la società sembra voglia continuare ad eleggere modelli con cui misurarci, nonostante gli sforzi del ‘body positive’. Il massimo che si può fare, allora, più che sperare utopisticamente in una conversione di massa al riguardo, è provare ad accettarsi, magari con un po’ di autoironia.
L’essenziale è che ognuno tenda a raggiungere un aspetto in cui riconoscersi, vivere bene e sentirsi appagato.
Col nostro corpo dobbiamo convivere tutta la vita, che sia come preferiamo. Il peso, però, resta affar nostro!

Classe 1991, nasce e cresce a Cosenza tra aule di danza, libri e tempere. Si diploma in danza classica. Dopo il liceo intraprende gli studi alla facoltà di Economia, ma è il diritto che le fa battere il cuore! Ora è laureanda in Giurisprudenza, anche se continua a studiare finanza nelle pausa caffè. Sensibile al sociale, prende parte da sempre ad iniziative rivolte ai più deboli, in una terra che considera l’angolo più bello del pianeta.
Caparbia, curiosa, coltiva autoironia, ama viaggiare e scoprire cibi nuovi.
Incline a difendere il prossimo, crede fortemente nel rispetto, nella tolleranza e nell’integrazione.
Appassionata di politica, lettura, escursioni, cantautorato, calcio e sport.