Quand’ero più piccola dicevo spesso “quando sarò all’università farò volontariato”, come se per fare del bene ci fosse bisogno di essere grandi.
È successo, alla fine, che ho iniziato a fare volontariato al termine del mio percorso di studi, per tutta una serie di coincidenze e fatti della vita. Come molte altre attività che prevedono il contatto con gli altri, essere un volontario è quasi una vocazione, qualcosa che senti dentro e ti muove attraverso dei fili sottili.
E non è una cosa che puoi respingere o ignorare, semplicemente capisci di volerla fare. E la fai.
Ho sempre pensato – anche oggi – che fare del bene sia, innanzitutto, la soddisfazione di un bisogno personale: sentirsi migliori. Tutti vogliamo sentirci migliori, sia degli altri ma anche, e soprattutto, di noi stessi. Aiutare il prossimo può essere una soluzione per colmare certe insoddisfazioni e attimi di noia che ci tormentano spesso. Oppure, può essere una richiesta d’aiuto, la necessità di sciogliere un nodo attraverso la mano di qualcun altro.
Questo non rende, però, le intenzioni iniziali meno nobili, perché scegliere di aiutarsi attraverso il volontariato non è mai la prima soluzione che si contempla. E allora, non c’è nulla di male ad accontentare quella piccola voce di egocentrismo, perché tanto, non appena si inizia a praticarlo, il bene, cambia tutto. Cambia il modo di percepire, sentire, vedere e, lentamente, muta anche l’intenzione iniziale. Quando si aiuta non si chiede nulla in cambio, si sta lì, in punta di piedi nel dolore e nella storia di chi si incrocia, e lo si fa con estremo rispetto. Sempre. Il volontariato, per chi lo fa con serietà e dedizione, è un percorso, una sfida continua. Si cresce, si sbaglia, ci si fortifica, ci si sostiene.
Io ho avuto la fortuna di affidarmi a delle persone che, fin dal primo momento, mi hanno messa in guardia: ci saranno giorni duri, momenti in cui parlare con gli altri potrebbe ferirti e spezzarti, ma non sarai da sola, neanche un attimo. Ed è stato così.
Ci sono stati racconti che mi hanno portata al pianto o ad arrabbiarmi fino allo sfinimento. Il volontario fa questo, si veste del suo sorriso, carica sulle proprie spalle il peso delle sue fragilità e paure mentre tende la mano verso gli altri. Accetta di avere a che fare con le proprie insicurezze e di lavorarci, perché il volontariato è una lunga strada da percorrere, in cui si impara a conoscersi meglio, ad avere contezza di sé stessi e della propria finitezza.
Il volontario non è un supereroe, è un essere umano che per un motivo, profondo e irrazionale, decide di dedicare parte del proprio tempo ad aiutare. Questo, però, non lo rende speciale o diverso, semplicemente lo porta a vedere davvero, a comprendere il silenzio, averne cura. Lo rende capace di saper donare in maniera incondizionata, senza che nessuno gli restituisca il favore. E sapete perché? Perché si riceve sempre qualcosa, in ogni istante. Lo scambio con l’altro è sempre una ricchezza.
Nel volontariato ospedaliero, è molto facile incontrare pazienti stanchi e sfiniti dalla malattia che non hanno alcuna intenzione di scambiare quattro chiacchiere e che respingono, anche in malo modo, la visita dei volontari. È difficile sentirsi dire di no, ma è allo stesso tempo necessario. Però, mi è capitato di vedere, anche dopo un rifiuto, una piccola smorfia sul loro viso, come se, quella semplice – e magari fastidiosa – frase “Buonasera, siamo volontari, le andrebbe di fare quattro chiacchiere? Siamo qui per voi” avesse suscitato un piccolo, impercettibile, sollievo. Altre volte capita di incrociare persone incredibili dalle esistenze straordinarie, le cui storie emozionano, commuovono e abbracciano il cuore. È in quel momento che si manifesta la bellezza, la potenza, di un gesto semplice: ascoltare.
Ho conosciuto tante persone, le ho sentite vicine a me, cucendo sulla mia pelle i loro volti e i loro sorrisi grati. E io spero di aver fatto lo stesso con loro.
Ripenso spesso ad Angelina, una nonnina di novant’anni che, avvolta in una camicia da notte rosa e le pantofole rosse, tagliava pezzetti di mozzarella per il mio amico che “è troppo magro per reggersi in piedi”; oppure a Francesca, di quasi trent’anni, con una malattia neurodegenerativa rarissima che ci salutava attraverso gli occhi e le mani di sua madre. Quel giorno – lo ricordo bene – uscii dalla stanza in lacrime, perché la dedizione totale di quel genitore alla propria figlia mi era sembrata la forma d’amore più alta che avessi mai conosciuto. Mi ha dimostrato che è vero che l’amore esiste, e cavolo, quanto fa bene.
Il volontariato è il modo migliore che conosca per far sapere che qualcosa di bello ancora esiste e merita di essere valorizzato, perché è in grado di mettere tutti sullo stesso piano, chi il bene lo fa e chi lo riceve. Tutto questo è, per me, crescere e realizzare che ci sono tante, forse troppe, realtà che non conosciamo. Il dolore è così comune da sembrare quasi banale, a volte. Ma non lo è mai, perché si rivela unico, purtroppo o per fortuna. E allora, il volontariato diventa una delle strade possibili per alleggerire il carico, per far sì che, anche per poco, non ci si senta soli.
Essere volontari è un gesto di estrema umanità, un atto di consapevolezza, la dimostrazione che sì, esistiamo, ci siamo. E anche se abbiamo paura, se siamo immersi nella nostra corsa quotidiana fatta di cadute, difficoltà e sacrifici, esiste ancora un modo per buttarsi nel mondo e aprirsi alle possibilità.
Vorrei ricordare a me stessa e a tutte le persone incredibili che mi accompagnano lungo questo percorso, che tra quelle esistenze straordinarie di cui parlo, ci siamo anche noi. Studenti, lavoratori, giovani che non hanno perso la fiducia negli altri e la coltivano, giorno dopo giorno. Anche nei momenti neri. E tutto questo è bellissimo. Sono grata di aver intrapreso questo cammino, perché, incontrandovi, ho avuto la prova che esserci per gli altri è sempre possibile.
Docente, laureata in Lettere Classiche e Filologia Moderna.
Ha conseguito un Master in Economia e Organizzazione dello Spettacolo dal Vivo, perché il suo sogno nel cassetto è di diventare la giovane manager degli artisti lirici italiani nel mondo.
Dalla spiccata sensibilità, fa dell’istruzione la sua missione quotidiana, plasmando giovani menti, e fa volontariato in ospedale grazie alla sua prepotente voglia di aiutare il prossimo.
Appassionata di musica (di ogni genere), lettura e scrittura, soprattutto creativa.