Uscito nelle sale italiane il 20 luglio, “Barbie”, pellicola firmata Greta Gerwing, segna negli USA il miglior debutto per un film girato da una donna.
Un’ondata di rosa shocking, (Pantone – 219 c) che ha travolto tutt*, facendo salire alle stelle i guadagni della MATTEL, in calo negli ultimi anni.
Operazione di marketing che si è incastrata perfettamente con lo storytelling della regia, cucito su misura sulla bambola pop più famosa al mondo come un vestito di haute couture.
La stessa Gerwin, regista del film “Lady Bird”, che le è valsa la candidatura all’Oscar per la regia, ha da poco iniziato a lavorare al revival di Biancaneve della Disney, attirando l’attenzione degli scettici per lo stravolgimento della classica favola dei fratelli Grimm, al quale ha intenzione di ridare una versione “empowerment”, non più coadiuvata né da principi e né da nani.
Sarà forse la sua visione inclusiva dei grandi classici a far storcere il naso al mainstream?
Anche il blockbuster “Barbie”, prodotto dalla stessa Margot Robbie, ha diviso il pubblico in in delus* o in ottimist*.
I detrattori hanno ritenuto l’uso dei modelli patriarcali trash, distopico ed esasperato. D’altro canto c’è chi invece ha trovato la narrazione efficace e in grado di raccontare in modo incisivo gli stereotipi che aleggiano ovunque sia a Barbie Land che nel mondo reale.
Ma allora qual è il merito di questo film?
In effetti, fin dalle prime scene, Barbie mostra un gusto stomachevole per un’esagerazione che arriva a nauseare il pubblico in sala: dai sorrisi smaglianti, ai corpi perfetti, alle Barbie house disegnate su misura per costruire un mondo in cui il rosa predomina, insieme alle donne, unite, autonome, realizzate, libere (ma realmente felici?). Un mondo che è tutto sommato asettico e in cui non c’è spazio né per Ken né per i fallimenti.
A ferire l’ego maschile e a stimolare il livello di sopportazione del pubblico è stata la narrazione del personaggio di Ken, la costola di Barbie, che vive in modalità “bionditudine fragile”, in cerca della sua identità in un mondo al femminile, che lo sfida a cavalcare onde troppo alte per la sua self-confidence, oscurata da un femminismo esasperato all’ennesima potenza, proprio come avviene “al contrario” nel mondo reale: quello in cui viviamo noi donne ogni giorno.
Le difficoltà che le donne affrontano nel mondo vero, fatte di gender gap, discriminazioni multiple e soffitti di cristallo, sono perlopiù sconosciute alle Barbie girls, unite, invece, nella loro sorellanza, fatta di successi e di traguardi che pensano di aver raggiunto anche nel mondo parallelo degli umani.
Un ossimoro distopico che accentua l’abilità della regia di capovolgere la spada di Damocle e far cadere il peso degli stereotipi di genere sugli uomini, dipinti come “oche” o “pavoni” che si azzuffano, come primati, per accaparrarsi l’approvazione di Barbie, senza la quale si sentono invisibili e inutili.
Relegate a figure di contorno, senza un ruolo nella società né una posizione.
Una visione rovesciata che porta Barbie Land a rappresentare una costruzione sociale in cui alla fine non vince nessuno: né Barbie né Ken.
Il ritmo della narrazione cambia quando la palla di vetro in cui vive Barbie “stereotipo”, interpreta da Margot Robbie, si rompe e la protagonista incontra le emozioni di Gloria. Si dice che ogni Barbie sia collegata alla bambina umana che giocava con lei, e così anche se Gloria è un’adulta, Barbie inizia a sentire le sue emozioni, che sono sconosciute ai corpi di plastica, ovvero: ansia, tristezza, pensieri di morte… sentimenti collegati all’umanità, da sempre, nonostante ci si sforzi di nasconderli.
A far riflettere è come una bambola apparentemente perfetta possa sentirsi insoddisfatta nel suo mondo scintillante. Un mondo in cui non esiste il tempo che scorre, così come non esiste la precarietà della vita umana. La genialità della trama, al di là del concetto legato allo stereotipo della Barbie, porta spettatori e spettatrici a interrogarsi, insieme alla protagonista, sull’importanza delle imperfezioni e delle emozioni. Su quanto, alla fine, nonostante il rischio di incorrere in un cuore infranto, nel dolore e persino nella morte, la cosa più importante è vivere sentendo sulla propria pelle l’arcobaleno dei sentimenti umani.
Il rosa non basta quindi a Barbie che con ai piedi un paio di Birkenstock (che a quanto pare sono già sold-out) dà a sé stessa la possibilità di una scoperta chiamata coraggio che la porta a varcare la soglia del suo mondo fatato per scontrarsi con quello reale, in cui gli uomini sono professionisti di cat-calling e in cui le donne sono ai vertici di pochissime aziende, tra cui non rientra neppure quella che l’ha creata: la MATTEL.
E solo quando inizia il viaggio emotivo di Barbie che il film cambia veste, diventando inclusivo e accompagnando anche Ken alla scoperta di sé stesso.
Infatti, sono proprio le relazioni le vere protagoniste di questa storia, le più rilevanti risultano quelle tra Barbie e Ken e tra Gloria (America Ferrera) e sua figlia (Ariana Greenblatt).
L’epilogo è vincente perché scardina i modelli di mascolinità tossica, permettendo a Ken una presa di responsabilità nei confronti delle sue fragilità. Infatti sarà lui ad indirizzare Barbie verso una scelta che abbraccia l’umanità e le sue imperfezioni. E che porterà Gloria a riscoprire il suo potenziale.
Il segreto del successo della “Barbie” di Greta Gerwing sta nella modalità in cui la regista è stata in grado di raccontare una storia nuova a cui non siamo abituat*.
Una storia che parla di libertà conquistate dagli uomini che si liberano dal fardello di dover essere sempre quelli forti e possono permettersi di piangere e dalle donne che, mediante la riscoperta di loro stesse, imparano a scegliere e a darsi valore.
Un tempo nuovo dove non esiste prevaricazione tra i sessi, ma solo la piena accettazione delle proprie individualità – qualsiasi esse siano. Con coraggio, libertà e rispetto per le discrepanze che ci rendono creature diverse biologicamente, ma socialmente uguali.
Cor habeo

Nasce a Cosenza, nel 1991. Laureata in discipline economiche e sociali, consegue due master presso il Sole24ore in Digital PR: addetto stampa e social media, e in Data Protection. Oggi si occupa, tra le altre cose, di sistemi di gestione, privacy e anticorruzione: risolve problemi da quando è nata.
I suoi interessi sono in continua evoluzione, proprio come lei. È la curiosità che la muove, insieme al cuore.
Ama in maniera viscerale tutto ciò che ha a che fare con le parole: comunicare è il suo unico modo di stare al mondo. Non può vivere senza poesia e ai suoi occhi tutto è bellezza e combatte con la sua tendenza a innamorarsi ogni giorno. Adora scrivere, leggere, dipingere, ballare senza regole ed esplorare tutto ciò che si trova “dentro”, in quello spazio vuoto, interiore, che ci rende umani e non solo uomini. È alla continua ricerca dei suoi talenti, convinta di averne qualcuno, senza aver ancora capito quale. Sognatrice e falsa cinica, scrive per mettere in ordine le idee e capire chi è, ma vive nel caos dei suoi pensieri.