“Dove vorresti essere con un milione di euro in più e parecchi anni di meno?”
L’interrogativo è il leitmotiv dell’ultimo romanzo di Marco Missiroli, Avere tutto.
Da Milano a Rimini ci sono 3 ore e 25 min o 333,2 km di distanza, passando per l’A1 e l’E45 dal caos cittadino si approda sul litoraneo romagnolo e si respira la brezza delle cose di sempre.
Sandro torna a casa e continua a sfidare – inconsapevole – la vita, il rapporto con il padre Nando, la sua storia, la sua perdita.
La relazione padre figlio, relazione sentimentale che richiama la struttura tipica dei romanzi di Missiroli, ruota attorno al vuoto lasciato da una donna e al gioco delle dipendenze, atte a colmare quella mancanza intollerabile che, infine, ci fa sentire sempre più soli.
Lo stesso titolo scelto dall’autore evoca il rischio che tutti noi corriamo nel vivere la nostra vita per Avere tutto quando basterebbe perdere tutto per Avere Tutto.
Missiroli dipinge, con kandinskyca arte, la storia di due uomini deboli, insoddisfatti a modo loro, ma desiderosi di riscatto, alla ricerca della redenzione nel gioco d’azzardo.
Tuttavia, Missiroli non è Dickens, Maupassant, Dostoevskij e neanche Schntizler. In Italia abbiamo avuto Niccolò Machiavelli che nella celebre lettera al Vettori del 1513 aveva descritto alcuni giochi di carte a cui era solito prendere parte. Con Macchiavelli poi, Mattia si illude di poter cambiare vita; ma alla fine, Adriano Meis sarà costretto dalla sorte a ritornare ad essere Mattia Pascal, e la sua vita non sarà più quella di prima. Pirandello fa dunque emergere l’idea secondo cui il gioco d’azzardo dia un’illusione e una parvenza di felicità, quando in realtà provoca danni e dipendenze dalle quali è difficile uscire. Dostoevskij, invece, ne “Il giocatore” con morale molto ironica suggerisce che nulla di materiale è perduto, come per esempio il denaro, mentre l’amore, un qualcosa di non tangibile e non commerciabile, se è perduto, potrebbe esserlo per sempre.
Questi autori hanno saputo parlare di gioco di azzardo utilizzando bluff linguistici e tecniche redazionali capaci di esaltare il significato di ciò che scrivevano.
Missoroli, credo, non sia riuscito nel suo intento.
Probabilmente, a differenza di molti, la mia non sarà una buona recensione. Con estrema e forse insolente franchezza devo ammettere di avere avuto altre aspettative nei confronti del romanzo di Missoroli che, in realtà, ho avuto difficoltà a finire.
Innanzitutto, ho trovato complicato entrare nella storia poiché già l’incipit è al centro del racconto e come lettore mi sono sentita fuori posto già alle prime pagine. Il romanzo in effetti inizia in medias res, con una telefonata di Nando al figlio Sandro. Fin dalle primissime righe troviamo i dialoghi serrati che caratterizzeranno tutto il libro. Lo stile definito asciutto e la sinesi affilata hanno contribuito, poi, ad alimentare l’interrogativo che mi ha accompagnato durante la lettura: qual è il pezzo che mi manca?
Questo è un romanzo fatto di istantanee temporali dove non puoi distrarti perché rischi di perdere tutto.
È proprio pensando di aver perso tutto che ho apprezzato Missiroli. A un certo punto della lettura mi sono chiesta, infatti, dove sarei se invece di correre sempre verso la meta per avere tutto, rischiassi di fermarmi e perdere tutto?
La vita oggi è una rincorsa verso il di più, verso l’ancora, il meglio.
Ma se fra trent’anni chiudessi gli occhi e mi chiedessero: “Dove vorresti essere con un milione di euro in più e parecchi anni di meno?” , probabilmente conoscerei la risposta.
Vorrei essere qui ed ora.
Vorrei essere qui ad assaporare ogni secondo di vita vissuta, circondata dall’amore delle persone che mi rendono felice e piena.
Vorrei non utilizzare incondizionatamente il mio tempo nel lavoro, la mia dipendenza, ma vorrei prendermi cura delle piccole gioie quotidiane.
Vorrei perdere la mia scommessa con il futuro solo per sentirmi più leggera ed esser certa di non aver abbandonato nessun sogno.
Non ci avevo pensato prima!
E allora forse Nando, Sandro e Marco hanno ragione: dobbiamo rischiare tutto, per avere tutto.
Sembra un gioco, una domanda interlocutoria per riempire gli imbarazzanti silenzi fra due uomini che si sentono colpevoli del loro status quo, ma in realtà in queste parole è nascosta la vita che tenta (invano, chi può dirlo?) di guardare dritto negli occhi i rimorsi e rimpianti.
Avere tutto è, dunque, un’opera fortemente icastica, dove ogni singola parola è stata soppesata con cura prima di arrivare sulla carta. Anche i silenzi, i non detto, fanno parte di questo romanzo e ci dicono più di quanto lo facciano le parole.
In conclusione, Missiroli non è il mio scrittore preferito ed Avere tutto non è per me un libro necessario.
Ma l’ho letto e, come ogni esperienza forte, mi ha lasciato dentro qualcosa.
“Scusa il disturbo”
“Smettila”.
Classe 1994, nasce e cresce a Cosenza, ma casa sua è il mondo intero.
Avvocato, donna in carriera e aspirante madre di famiglia, è laureata in Giurisprudenza alla LUISS Guido Carli e specializzata in Diritto di Famiglia e Minorile e in Diritto del Lavoro e Welfare, con esperienze di studio presso la Stockholm University in Svezia e la Universidade da Coruna in Spagna.
Ha viaggiato in numerosi angoli della Terra con lo zaino in spalla e la voglia di raccontarli.
Appassionata di letteratura, cucina, esplorazioni e ambiente!