Djokovic, il tennista più uguale degli altri

"Il caso Djokovic mi schiaffeggia, ricordandomi che c'è qualcuno un po' più uguale degli altri nel mondo."

Quanto ci siamo gasati per lo sport quest’anno? Un patriottismo che nemmeno il ventennio è riuscito a generare, da quell’11 luglio in poi è stato tutto un godere. Eppure, quella giornata iniziò con una sconfitta per i colori italiani. Una sconfitta che i giornali avevano già trasformato in vittoria qualche giorno prima, quando Matteo Berrettini divenne il primo italiano ad approdare in finale a Wimbledon. Sono pronto a scommettere che, per tantissimi, quella è stata la prima partita di tennis guardata dall’inizio alla fine e, di conseguenza, la prima volta che in tanti hanno tifato contro l’avversario del nostro Matteo, il serbo Novak Djokovic.

Non sentitevi in colpa: è comune a tanti appassionati quel senso di antipatia nei suoi confronti. Sarà perché sta monopolizzando il tennis da oltre sei anni, stracciando tutti i record, sarà anche perché questi record appartenevano a Federer e Nadal, attorno ai quali si era costruita l’aurea di eterni rivali-amici: una narrazione che Novak (o Nole, per gli amici) ha distrutto, polverizzando anche le possibilità dei nati nei primi anni novanta di creare competizione attorno a lui.

Ecco, Nole si appresta a battere un altro record, anche questo (per ora) condiviso con Federer e Nadal: un’altra vittoria di un torneo del Grand Slam e li supererebbe, con 21 titoli. E non parliamo di un record da inseguire a lungo: fra una decina di giorni inizia l’Australian Open, uno di quei tornei (fra i quattro più importanti nello sport con la racchetta). Quale momento migliore, quindi, per un po’ di polemica?

E no, non su chi sia il migliore, anche perché il parere del sottoscritto è influenzato in maniera netta dall’amore per Roger Federer; ma sulla partecipazione di Djokovic, attuale numero uno al mondo, al torneo.

Facciamo un passo indietro: il mondo dello sport si è adattato alla pandemia, con controlli e vaccinazioni, anche prioritarie rispetto agli “altri”. E già qui, ci sarebbe di che parlare, anche tanto. Ma dai, senza quelle non avremmo mai esultato per i 100 metri di Jacobs, va bene così. Nel caso degli Australian Open del 2022 hanno diritto a partecipare solo i vaccinati e gli “esenti”: chi ha avuto una reazione grave dopo una dose, con particolare riferimento alle infiammazioni cardiache, oppure chi è stato colpito dal Covid da agosto 2021 in poi e che, per la legge australiana, può differire la vaccinazione. Ebbene, Djokovic è esente. Ma, sorpresona, non rientrerebbe in alcuna di queste categorie. Sì, è stato positivo, ma nel giugno 2020, e non ci sono news sulla sua positività da agosto 2021 in poi: semmai, ci sono le sue partecipazioni ad Olimpiadi e US Open a lasciare intendere che, forse forse, era in salute. E no, non sono documentate reazioni avverse alla vaccinazione, almeno finora: privacy, direte. Giusto, se non fosse che il suo strizzare l’occhio verso il mondo No Vax ha fatto nascere più di un dubbio a riguardo.

Proprio da qui nasce la polemica: gli appassionati ricorderanno sicuramente almeno un momento in cui un atleta del proprio sport preferito ha dovuto scrivere un lungo post su Instagram per annunciare il suo stop dalle competizioni, causa positività o quarantena. A me è rimasto negli occhi il momento in cui Jon Rahm, golfista spagnolo, in vantaggio di 6 colpi al penultimo giro (per i non addetti: con la vittoria in pugno), è stato fermato, proprio mentre avrebbe colpito l’ultima pallina di giornata, ed informato della sua positività: giù di lacrime davanti a colleghi e spettatori, via negli spogliatoi e poi a casa, senza vittoria né gloria. C’è anche il caso – comico, in realtà – della finale delle World Series della MLB, la principale lega di baseball americana, in cui Justin Turner viene informato della positività ed è costretto a saltare gli ultimi due inning, salvo poi tornare in campo per i festeggiamenti – ma no, non parleremo di chi sia da rimproverare in questo caso. Nel calcio, ormai, c’è la notizia di un positivo al giorno: cosa li rende diversi da Novak Djokovic? Anche Rahm è primo al mondo, nel suo sport. E Turner ha vinto il torneo più importante dell’ultimo anno, proprio come il tennista. Il calcio? È un motore economico ben maggiore del tennis, no? E allora, perché non dovremmo avere una, seppur minima, informazione riguardo lo stato di salute del povero Nole?

Potrei farmi i cazzi miei, certo. E, dopotutto, poco mi importa del percorso vaccinale di Djokovic. Ma come mi importa poco del percorso vaccinale del mio vicino al ristorante, proprio come pretendo che a lui interessi zero del mio. Ma le regole, di quelle mi importa molto: se il titolare non ha chiesto il Green Pass al caro amico che sta sbavando sulla tagliata di manzo, rovinandone la consistenza, mi girano. E poi non me li faccio più, i cazzi miei.

Proprio sapere che esistono queste regole mi tranquillizza, almeno rispetto alla parità apparente che io, seduto al ristorante, ho rispetto a chiunque altro lì dentro e fuori. E il caso Djokovic mi schiaffeggia, ricordandomi che c’è qualcuno un po’ più uguale degli altri nel mondo.

Ma come è stato possibile arrivare a questo? Da inguaribile garantista, mi chiedo: se Novak avesse avuto davvero una reazione al vaccino, magari facendogli scoprire qualche tipo di patologia che gli impedis- beh, ma come farebbe a giocare a tennis con un problema, che ne so, al cuore? O se avesse (ri)preso il Covid da agosto in poi, ma non vuole vedersi sbattuto in prima pag- eh no, non solo ha partecipato ad altri tornei in quel periodo, ma poi figurati se il tram-tram mediatico non ci sarebbe comunque arrivato.

La patata bollente sta già passando di mano in mano: dal primo ministro aussie che vuole rimandarlo a casa, l’organizzatore dell’Open che lo prega di fare chiarezza pubblica sui motivi dell’esenzione, la federtennis australiana non sembra intenzionata a rilasciare dichiarazioni. Al momento in cui scrivo, Djokovic è bloccato in aeroporto, per problemi al visto: finirà che dovranno gestirla loro, gli instancabilmente duri assistenti aeroportuali. E se lo trattano con la stessa fermezza con cui hanno trattato il mio profumo da 150 ml l’ultima volta, state sicuri che Nole non scenderà in campo.

In qualsiasi modo finsica la vicenda, i dubbi su quanto conti “essere qualcuno”, in questo mondo pandemico, rimangono. Poi, per carità, giusto proteggere la privacy: non voglio vivere in un mondo in cui debba essere classificato a seconda delle dosi di vaccino effettuate, non quando tutto questo sarà finito. Ma, fino ad allora, c’è un po’ di strada da fare, e pensare che ci sia qualcuno esente dal camminarci sopra fa strano: non gli basta essere infinitamente più forte di chiunque altro con una racchetta in mano, ho la strana sensazione che voglia essere trattato di conseguenza.

Guardiamoci negli occhi, Nole: non hai fatto il vaccino.

E, nonostante questo, vuoi giocare lo stesso: male, ma peggio è chi te lo consente. Chi ti rende ancora più uguale degli altri. Chi si è convinto che, senza di te, nessuno pagherebbe per guardare una pallina gialla rimbalzare per due ore. Chi ti ha scelto come uomo-immagine, come narrazione, come oggetto, non come sportivo.

Tu hai la sola, terribile, colpa di esserti deliziato di tutto questo, di esserti lasciato convincere di essere uno di quelli “che può”. Caro Nole, la racchetta è esistita prima di te, continuerà a farlo anche dopo: lasciaci il ricordo di ciò che fai in campo, quello di un campione. Fallo per questo sport, fallo per noi appassionati: non mi interessa che tu sia vaccinato, credimi. Mi interessa solo sapere che le regole che hanno reso, da sempre, bellissimo stare ore e ore a vederti correre su quel campo, siano le stesse per tutti, anche per te e per me. Altrimenti, Nole, finisce che se le regole del gioco non sono uguali per tutti, non vale nemmeno la pena giocarlo.

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