Vincenzo De Luca è Presidente della Regione Campania da giugno del 2015, ma negli ultimi tempi lo abbiamo visto nelle vesti di soldato dei marines con lanciafiamme, di “padrino” armato di fucile a vigilare dinanzi ai locali della movida, o in stile Jep Gambardella (da “La grande bellezza”) col potere di far fallire le feste.
Tutto questo è avvenuto a seguito delle bizzarre dichiarazioni ufficiali rilasciate dal Presidente con le quali invitava – in teoria – i suoi concittadini al rispetto delle normative anti-Covid.
“In teoria” perché le sue dirette Facebook, più che mirare al sostegno dei cittadini nel difficile momento attraversato, erano dei veri e propri mini show televisivi.
Durante tali interventi, il Presidente non ha fornito alcuna informazione utile ai cittadini in merito alle decisioni assunte in sede regionale, né ha mai realmente sollecitato il rispetto del distanziamento sociale e l’uso corretto delle mascherine se non in via indiretta attraverso le offese rivolte ai trasgressori, né ha mostrato di voler dare conforto e rassicurare una regione in preda al panico da pandemia.
Viene da chiedersi per quali ragioni un Presidente di Regione dovrebbe parlare ai cittadini se non per fare almeno una di queste cose.
La risposta è che il vero intento di De Luca fosse di dare in scena il proprio narcisistico spettacolo; non senza, ovviamente, accaparrarsi visibilità per le votazioni che si sarebbero svolte a breve e che, di fatto, hanno riconfermato il suo ruolo.
È quella che possiamo definire come spettacolarizzazione della politica, in cui la sostanza si perde dinanzi a tanto sforzo di apparire.
Ma la cosa più preoccupante è che sembra che nessuno si sia accorto dell’inconsistenza delle apparizioni di De Luca; al contrario, è stato acclamato dai più come un paladino della giustizia ed è stato trasformato in un fenomeno social.
L’autoritarismo di cui non ci accorgiamo
Se è vero che in tempi di crisi sono necessari uomini risoluti, è anche vero che le dichiarazioni di De Luca manifestano uno strisciante autoritarismo non conforme alla vigente forma di governo.
Il Presidente De Luca, lungi dal considerare e bilanciare le istanze sociali che provengono dai governati, si limita a sbeffeggiarli e a favorire il risentimento nei loro confronti.
Alla donna intervistata da un giornale locale che manifestava il disagio della figlia per la chiusura delle scuole durante questa seconda ondata pandemica, il Presidente ha risposto in tono del tutto indifferente, come se la scelta della Regione non potesse essere in alcun modo contestata.
Per di più, ha sminuito la donna definendola “mammina”, e ha aggiunto in modo sarcastico “con la mascherina di tendenza”.
Sempre nello stesso intervento, ha proseguito sostenendo che la figlia della donna è l’unica bambina d’Italia a voler andare a scuola e che tale stranezza probabilmente dipende dal fatto che è stata nutrita con latte al Plutonio.
Sorvolando sul significato di tale ultima affermazione, che non ha altro senso se non di voler sminuire ancor di più le dichiarazioni della donna, al Presidente De Luca sono evidentemente sfuggite un paio di realtà.
Per prima cosa, seppur si possa comprendere che la curva epidemiologica possa costringere una Regione a chiudere le scuole per motivi di salute preminenti, un Paese che non si preoccupa dell’istruzione della sua prossima generazione è un Paese senza futuro.
L’istanza diretta a mantenere aperte le scuole è ben lontana da potersi considerare superflua e capricciosa, come invece vorrebbe farla apparire De Luca; e la figlia dell’intervistata non è l’unica bambina che avrebbe voluto tornare in classe.
Avvalorare il sentimento ostile deli ragazzi avverso la scuola non è una tendenza desiderabile e, al contrario, gli adulti dovrebbero incentivare i bambini all’istruzione, piuttosto che umiliarli pubblicamente come ha fatto il Presidente.
In secondo luogo, un esponente della pubblica amministrazione non può rivolgersi ad un cittadino attraverso appellativi dispregiativi e minimizzanti del ruolo sociale che ricopre all’interno della comunità, perché se c’è qualcosa che questa epidemia ci ha insegnato è che l’azione del singolo può avere influenza nella vita di tutti.
Perché il Presidente de Luca si sente autorizzato a mortificare una cittadina, che altro non è che la ragione per la quale, attraverso libere elezioni, lui ricopre quel ruolo?
Non c’è memoria nei sistemi democratici in cui sia stato utile per un governante inimicarsi i governati; al contrario, un despota non ha di questi problemi e forse qualcuno dovrebbe ricordare a De Luca che dovrebbe esercitare il suo ruolo nel rispetto della democrazia.
Dichiarazioni ancora più gravi e preoccupanti erano state rilasciate da De Luca nel corso della prima ondata della pandemia, quando commentando il rispetto della quarantena in Cina, ha elogiato il sistema cinese che fucila i trasgressori lamentandosi che “purtroppo” nelle democrazie occidentali non esistono questi “metodi terapeutici”. Dello stesso tenore dittatoriale è stata la comunicazione con la quale il Presidente avvisava i laureati dell’invio, alle loro eventuali feste di laurea, dei carabinieri con il lanciafiamme.
È evidente che nella moderna società affermazioni di tale tipo sono inammissibili; e sono inammissibili tanto se corrispondono ad un vero intento, quanto se se mirano solo ad enfatizzare il messaggio.
Su chi parla a migliaia di persone grava la responsabilità di influenzarne i pensieri ed anche i comportamenti.
E se qualcuno avesse davvero sparato a un trasgressore della quarantena, De Luca come avrebbe definito tale condotta? Un metodo terapeutico?

Non fatevi ingannare dal finto buon senso del Presidente, perché quello che sollecita con i suoi discorsi è la creazione di uno stato di caos e di disgregazione del quale solo gli oppressori si avvantaggiano.
Il messaggio di De Luca sembra una chiamata alle armi per scovare ed annientare i dissidenti delle sue disposizioni e mettere al bando ogni pensiero diverso dal suo.
Chi chiude un occhio sulla “forma” valorizzando il contenuto dei suoi interventi, appoggiando la linea di pensiero del Presidente, non ha ancora compreso che il contenuto è inesistente.
Il contenuto è la visione della gestione della crisi diretta a fare spettacolo, a far parlare di sé attraverso la singolarità delle proprie affermazioni e ad inasprire il dibattito pubblico in merito alla pandemia.
Come sostenne Giovanni Falcone: “Se poni una questione di sostanza, senza dare troppa importanza alla forma, ti fottono nella sostanza e nella forma”.
Ed ancora De Luca si è divertito a dare della “bestia” a chi non indossa la mascherina e ad etichettare come “vecchi cinghialotti” chi pratica running, con il solo effetto di fomentare la rabbia verso tali categorie di persone, invece di richiamare la società ad un più appropriato senso civico.
Le opinioni personali non dovrebbero entrare nelle dinamiche di governo di una Regione, ma è evidente che all’interno della Regione Campania, l’ego del Presidente occupa un considerevole spazio.
“Ma fa ridere!”.
È sicuramente il pensiero di molti. Probabilmente anche coloro che non ne appoggiano le idee non riescono a non ammettere che “faccia ridere”.
Avete ragione: fa ridere, ed è per questo che non è divertente.
Un presidente di Regione non deve, o a questo punto non dovrebbe, far ridere.
Un politico che ricopre una funzione istituzionale tanto elevata, quale Presidente di Regione, che assume decisioni dalle quali dipendono le vite di tutti i campani (sia in senso stretto per come viene gestita la sanità all’interno della Regione, sia in senso lato quando scelte politiche influenzano la stabilità economica e il controllo della criminalità) non deve far ridere.
La video-politica
Le affermazioni di De Luca sono profondamente riprovevoli e si inseriscono in quella scia di populismo al quale sembra non possiamo più sfuggire.
La cosa peggiore, infatti, è che tale tipologia di comunicazione risulta efficace e abbondantemente consigliata, poiché riesce nell’intento di attirare l’attenzione, non solo da parte di chi la osteggia, ma anche di chi la subisce senza percepirne la gravità.
A ben vedere, tale forma comunicativa immiserisce gravemente il livello culturale del Paese, poiché sottende l’idea che se chi riveste alte cariche di governo può lasciarsi andare ad un linguaggio da strada infischiandosene dell’impatto che le sue parole hanno all’interno della società, il resto della popolazione può evitare di investire tempo e denaro a maturare doti comunicative più elevate.
De resto, se è questo il livello linguistico di un Presidente di Regione, perché i giovani dovrebbero essere incentivati ad essere “di più”?
Il linguaggio di un politico dovrebbe rappresentare l’espressione più elevata della diplomazia; invece, ci stiamo accontentando di politici non solo inetti rispetto alle proprie funzioni istituzionali, ma anche di un livello culturale bassissimo.
Negli ultimi anni stiamo giocando un gioco al ribasso: a politici populisti consegue un popolo che non si migliora e che, a sua volta, formerà una nuova generazione di politici di bassa qualità.
In “Homo videns” (1997), Sartori avvertì come la Tv stesse introducendo una metamorfosi dell’intelletto umano, incapace di formare un’opinione discostandosi dall’effetto show da essa offerto.
In una società nella quale i più piccoli ricevono una prima educazione attraverso lo schermo televisivo, da adulti essi faticano a scindere l’aspetto giocoso della percezione audio-visiva dalla natura seriosa di alcuni temi.
Sartori non sapeva che il peggio sarebbe ancora dovuto venire.
Con l’avvento dei canali social, anche la politica ha usufruito di tali mezzi adeguandosi ad una comunicazione mirante più ad intrattenere che ad informare.
In questo modo tutto diventa uno spettacolo. Ma ci sono certi ruoli, sia istituzionali che professionali, che dovrebbero conservare decoro e onorabilità, poiché non rientra nelle loro funzioni farci divertire.
La video-politica, come l’ha definita Sartori, ci impoverisce della capacità di astrazione logica e ci riduce a spettatori che formano il proprio orientamento politico su slogan e simpatia.
Un politico dovrebbe essere solo l’incarnazione di ideali e scomparire dietro ad essi; invece, è diventato il protagonista principale, tanto che i cittadini non sembrano più votare un programma politico, ma il loro modello infantile. La video-politica ci ha riportati tutti ad essere degli adolescenti innamorati dei propri idoli.
L’altro lato della medaglia è che noi, spettatori inconsapevoli, sull’onda del divertimento contribuiamo alla diffusione e consolidazione di una siffatta becera comunicazione.
Nel momento stesso in cui diffondiamo i video di De Luca (e non solo i suoi) sosteniamo l’accettazione di quel contenuto.
Per tale ragione, possiamo forse affermare che ora De Luca è vittima stessa del personaggio che si è creato: constato che il primo video sulla “testa che non serve solo a dividere le orecchie” ha incrementato il suo successo politico, ora non può che continuare a rincarare la dose.
Il risultato è che noi ci divertiamo sempre di più, ma non consideriamo il grave danno che il paternalismo e narcisismo di De Luca ci sta infierendo.
È arrivato il momento di capire che possiamo avere di più e che dobbiamo pretendere di più dalle persone che ci rappresentano.
Ed è per tutto questo che De Luca non fa ridere!
“Un governo paternalistico è il peggior dispotismo che si possa immaginare” Immanuel Kant
Avvocato, classe 1990, nasce nella provincia cosentina.
Da sempre impegnata nella difesa dei diritti delle donne in ambito famigliare, è curiosa e dall’animo gentile ed equilibrato grazie alla sua passione per lo yoga, ma è anche incredibilmente impulsiva quando sa che c’è un’avventura ad attenderla.
Da ambientalista, ama e difende fermamente la natura e sogna di correre una maratona.
Appassionata di politica, viaggi, sociologia e yoga.